A Pisa è di scena il surrealismo con la mostra Da Magritte a Duchamp, il Grande Surrealismo dal Centre Pompidou, aperta l’11 ottobre scorso e in programma fino al 17 febbraio 2019 (dal lunedì al venerdì orario continuato dalle 10 alle 19; sabato, domenica e festivi fino alle 20). Un’occasione interessante e non frequente di scoprire questo movimento singolare e complesso che ha avuto al suo interno personaggi molto diversi e che più di altri ha visto l’intreccio non solo di arti diverse ma di discipline differenti dalla letteratura alla psicoanalisi. L’esposizione è di alto profilo e offre uno sguardo originale anche su artisti molto noti ed esposti come Giorgio De Chirico, qui presentato in una chiave diversa, aprendo spunti di riflessione sulla condizione della contemporaneità. 150 opere distribuite seguendo filoni tematici, come quello dell’Eros e di un uso della fotografia teatrale vicina alla trasgressione pornografica che appare oggi di straordinaria modernità, insieme a spezzoni di film.
Dopo il successo dell’esposizione Modigliani et ses amis del 2015, un successo di critica e di pubblico con oltre 110mila visitatori, tornano a collaborare la Fondazione Palazzo BLU, il Centre Georges Pompidou di Parigi e MondoMostre, in occasione del decennale della Fondazione. Per la prima volta in Italia tra l’altro il Centre Pompidou presterà una serie di capolavori da cui difficilmente si allontana essendo parte della collezione permanente. La mostra, con il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, della Regione Toscana e del Comune di Pisa, a cura di Didier Ottinger – Directeur ad joint du Centre National d’art et de culture Georges-Pompidou, Musée National d’art moderne di Parigi – parte dal 1929, anno di crisi internazionale finanziaria, della quale risentì anche il Surrealismo, nato ufficialmente con il manifesto di André Breton del 1924, ma anche un momento che segnò la diffusione di questo movimento imponente. Ottinger è un grande curatore di fama internazionale e uno dei massimi esperti di Magritte, Picasso e del Surrealismo al mondo.
Il percorso espositivo si snoda tra capolavori pittorici, sculture, oggetti surrealisti, disegni, collage, installazioni e fotografie d’autore prodotti intorno all’anno 1929.
In quell’anno il teorico del movimento André Breton e il poeta Louis Aragon cercano di modificare il movimento dalle sue fondamenta teoriche. Questo nuovo approccio non trova tutti i membri d’accordo e sembra creare un’insanabile frattura all’interno del gruppo stesso, a cominciare dall’adesione di Aragon al Partito Comunista. Nonostante queste lacerazioni interne, la vitalità del movimento resta intatta e a dicembre, sulla rivista Révolution Surréaliste, André Breton pubblica il Secondo manifesto surrealista che sancisce l’allineamento al Partito comunista francese e imprime al movimento la nuova svolta “ragionante”. E’ importante considerare che il Surrealismo è una vera rivoluzione interiore, una visione della vita che coinvolge i suoi autori in prima persona: intorno al tema del sogno e dell’inconscio, promuovendo la distruzione del reale per quello che appare tale normalmente, gli aderenti fanno esperienza quali l’uso di droghe, il sonnambulismo, la roulette russa, esperienze che emergono soprattutto dalla cinematografia.
A Palazzo Blu ci sono tutti i protagonisti del movimento e la quasi totalità dei capolavori surrealisti conservati dall’istituzione francese, da René Magritte, Salvador Dalí, Marcel Duchamp, Max Ernst, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti, Man Ray, Joan Miró, Yves Tanguy, Pablo Picasso, Pierre Roy (nipote dello scrittore Jules Verne, antesignano del surrealismo magico, non ne ha mai fatto parte in senso stretto) e molti altri. Magritte, Dalí ma anche Duchamp e Picasso appaiono quali i protagonisti indiscussi della rassegna pisana a cui si aggiungono diversi altri celebri surrealisti per una presentazione esaustiva di questa ricca stagione creativa. Desideroso di avvicinarsi ai surrealisti parigini, Magritte si era trasferito con la moglie Georgette a Perreux-sur-Marne nel 1927, un “surrealista” sui generis detto anche le saboteur tranquille, per la sua capacità di insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, che evita deliberatamente il mondo dell’inconscio e si sottrae con ogni mezzo all’automatismo, non crede né ai sogni né alla psicoanalisi, denigra il caso e pone logica e intelligenza ben al di sopra dell’immaginazione, partecipa infatti alla svolta “ragionante” che André Breton desidera imprimere al “secondo” Surrealismo. Le sue inversioni di senso sono per altro a mio parere un preludio a quelle del belga Wim Delvoye e alla struttura di certa pubblicità ma anche dei meccanismi della teoria della programmazione neuro-linguistica. Fu nel 1929 che Salvador Dalí irrompe sulla scena parigina che con il suo celebre metodo detto della “paranoia critica” realizza i capolavori presenti in mostra e per diversi anni l’artista incarnerà agli occhi di Breton lo “spirito del Surrealismo”. Visse come un surrealista e affidò ai suoi “orologi molli” il senso fluido del tempo, quello della coscienza. In quello stesso anno uscì il primo film surrealista, Un chien andalou, ideato dal pittore insieme al compatriota Luis Buñuel.
Tanti i capolavori, per la maggior parte realizzati tra il 1927 e il 1935, quali l’immagine della mostra stessa, il capolavoro di Magritte intitolato Le double secret, un’opera di notevoli dimensioni (114 x 162cm) e tra le più iconiche del Maestro. E’ con la realizzazione di questo dipinto che l’artista belga prende coscienza della natura pellicolare delle immagini, della loro infinita possibilità di scomporsi. Da uno sfondo diviso tra cielo e mare emergono ieratici due grandi volti sezionati, da quello di destra emergono le consuete sfere metalliche, tema ricorrente nella produzione dell’artista belga.
In mostra anche Le modèle rouge di Magritte, del 1935, lo strano paio di scarpe-piedi che rimanda a una realtà inventata, al sogno e persino alla sfera del mostruoso: sembra che l’opera sia originata da un sogno reale, quasi un ossimoro.
Singolare in questa esposizione l’aspetto del macabri e del mostruoso che è uno dei caratteri protagonisti dell’inconscio. Fondamentale anche il nucleo di dipinti presenti in mostra di Salvador Dalí, tra i quali Dormeuse, cheval, lion invisibles del 1930 e L’âne pourri di poco precedente, del 1928, getta le basi di quel metodo della paranoia appunto e del concetto della putrefazione al centro della poetica di Dalì; proveniente dalla collezione di Paul Eluard, appartiene alla serie dei dipinti-collage di Dalí e ha come soggetto il macabro tema della putrefazione sul quale l’artista rifletteva insieme all’amico e poeta Federico García Lorca. I dipinti dialogano con i collage di Max Ernst, con le sculture di Alberto Giacometti e Man Ray, con le maschere in filo di ferro di Alexandre Calder nonché con gli altri grandi dipinti di Picasso, Mirò, De Chirico, considerato come il primo dei surrealisti, solo per citarne alcuni.
Il 1929 vede anche l’affermarsi della fotografia surrealista, testimoniato dagli stretti legami tra i grandi fotografi quali Brassaï, Lotar, Boiffard, Man Ray, Jean Painlevé, Claude Cahun, i cui capolavori fotografici sono in mostra.
A coronamento del percorso espositivo e in “surreale antitesi” con la visione enigmatica di Magritte, ci pensa Marcel Duchamp con l’opera L.H.O.O.Q (1930) a dissacrare il dipinto più celebre e enigmatico del mondo, La Monna Lisa di Leonardo da Vinci, con i famosi e irreverenti baffi. Si tratta di un prestito eccezionale.
La mostra risponde bene all’idea del Surrealismo come esperienza da vivere e la prima e l’ultima sezione chiudono il cerchio: l’ingresso è nel segno della fotografia che cerca di restituire l’anima con foto tessere in serie dove generalmente i Surealisti si fanno ritrarre con gli occhi chiusi o in pose irriverenti, inutilizzabili come documento d’identità, anche se spesso gli uomini hanno la cravatta, un accessorio molto amato da questi artisti. La fine è nel segno della trasgressione e dell’Eros con una singolare scultura fallica di Giacometti che siamo abituati a conoscere per le sue figure umane filiformi e ascetiche, accanto a foto provocatorie che disegnano giochi di immagini, con una riproduzione esplicita del corpo, nondimeno un effetto fantastico.
Giada Luni