Se il cibo sposa l’arte nel cuore di Pietrasanta
La città degli artisti, nota per il suo ambiente internazionale, un grande numero di gallerie in poche strade, il museo dei bozzetti e molta mondanità, ha trovato un punto di fusione. E’ il crocevia del ristorante Filippo, non solo un punto di incontro, di buon cibo quant’anche uno spazio artistico con i suoi ‘muri’ interpretati da artisti nel segno dell’impermanenza, come un piatto che se piace viene finito e non esiste più se non nell’emozione e nella memoria di chi lo ha gustato. Ogni parete è allestita per tre mesi e poi si cambia come il menù al variare della stagione. Alla fine di dicembre BeBeez è stata invitata all’inaugurazione della quarta parete ad opera dell’artista Morgana Orsetti
Ghini, che si firma con l’acronimo MOG, un inno alla vita che sposa l’acqua, elemento imprescindibile per il cibo.
Abbiamo avvicinato Filippo Di Bartola, ideatore del ristorante, ormai nome affermato per capire com’è nata l’idea e farci raccontare la sua storia e i suoi nuovi progetti, che si intrecciano sempre di più con quelli dell’arte e l’impegno per l’ambiente.
“A dire il vero questo progetto nasce dall’iniziativa di Susanna Orlando, Gallerista fiorentina da anni a Pietrasanta, vera appassionata dell’arte e della scoperta di talenti e Nicola Gnesi, fotografo, sotto lo pseudonimo di “Due amici di Filippo”. L’idea era quella di utilizzare una parete d’ingresso non in modo banale ma facendola vivere. La mia richiesta è stata nel segno del legame tra cibo e arte, che cambiasse non come un arredo ma come uno spettacolo, ad ogni stagione, insieme al menu. All’inizio c’è stata un po’ di
ritrosia al pensiero di cancellare delle opere d’arte ma poi si è convenuto che è il senso stesso della creazione artistica, la vita che vivendola si consuma e questo non vuol dire semplicemente usarla.”
C’è un percorso che lega questi artisti, oltre il cibo?
“La presenza, il legame con Pietrasanta che non significa necessariamente artisti locali. L’avvio è stato con Girolamo Ciulla e una sorta di Menu, poi Andrea Collesano e i suoi animali e l’artista armeno Mikayel Ohanjanyan, fino a MOG.”
Morgana Orsetta Ghini viene da Roma dove ha vissuto per vent’anni, di padre bolognese e di madre piemontese – oggi si divide tra Pietrasanta e Berlino – con alle spalle un percorso artistico classico, dal Liceo artistico all’Accademia delle Belle arti a
Roma. Vince poi una borsa di studio per la fonderia in bronzo e ferro e parte per Tenerife. La sua vocazione artistica è iscritta nel DNA, già da bambina – ci ha raccontato – voleva fare la scultrice “per un bisogno forte di tridimensionalità. Mi è sempre piaciuta l’idea che un manufatto invadesse lo spazio e la comfort zone. All’inizio nel mio lavoro c’era forse maggior aggressività e mi affascinava l’idea di poterci girare intorno, poi con gradualità mi sono avvicinata a una forma più morbida di lavoro”. Ad un certo punto la curiosità per il marmo e la scelta di trasferirsi all’Accademia di Carrara: è una folgorazione.
Qui presenti un soggetto, delle labbra, che è una costante, il tuo unico soggetto. Come nasce?
“La vagina, il mio unico “titolo”, in infinite varianti, anche nei gioielli che creo, è il simbolo della vita e per me non è un tema erotico, che vede solo chi guarda, il più delle volte. E’ l’origine primordiale che voglio rappresentare”.
Nell’allestimento in mostra l’associazione è con il tema dell’acqua.
“Perché senza acqua non c’è cibo e l’acqua è per eccellenza il simbolo della vita e dello scorrere del tempo. Quest’idea fa parte di un progetto più ampio realizzato insieme al Collettivo OP che ho fondato con l’artista Luca Lagash, lo scrittore Alessandro Cremonesi, l’editore critico letterario Thomas Böhm e Paolo Grigoli, esperto di management turistico e culturale. Si tratta di una nuova progettualità che attraverso l’arte e la cultura coinvolge una comunità di persone. In particolare stiamo portando avanti un progetto in Trentino nella Val di Sole (Tonale) scavata dal fiume Noce, dove l’acqua rappresenta appunto la spina dorsale del territorio dove confluiscono varie dimensioni: quella ambientale della preservazione dell’ambiente del ghiacciaio e dell’acqua che rende fertile la valle, dell’industria turistica e delle acque minerali con Pejo 3000 e la Val di Rabbi, entrambe dotate di Terme.”
Nello specifico qual è l’idea?
“Un progetto che duri tutto il 2021 e che coinvolga a vario titolo le comunità con una serie di azioni, in particolare in vetta io realizzerò un’opera in acciaio e legno e stiamo organizzando residenze con i bambini delle scuole di musica del territorio. Il tema è lavorare con dati scientifici che diano credibilità grazie alla collaborazione con il Museo della Scienza di Trento, il MUSE, che ha rilevato la stessa quantità di particelle di plastica sulle vette del mare, portate dall’aria. Impressionante. Inoltre con l’Accademia della Scala che poi la inciderà si sta componendo una sinfonia per l’aprile 2020, della quale svelare una nota per volta, proprio perché la musica come l’acqua fluisce e la composizione musicale è intesa come una grande azione di partecipazione collettiva. La cultura nel progetto intreccia arte e azione ambientale con il simbolo della borraccia in acciaio perché siamo nella prima area sciistica al mondo plastic free”.
Una storia di attenzione alla natura che è la stessa di quella per le materie prime che Filippo ha da sempre nel suo locale che oggi ospita la parete di MOG e la sua voglia di regalare visibilità alle emozioni che già nel precedente locale, sempre a Pietrasanta, offriva ad artisti e artigiani locali in un regime di autogestione.
Ci racconti la storia di questo luogo?
“L’ho aperto nel 2016 dove c’era una Galleria d’arte, Cardi di Milano, e prima in origine un’autorimessa della quale si conservano le vestigia. Già con la galleria era iniziata una collaborazione con l’esposizione di opere di artisti quali Uncini o Pistoletto, finché appunto si è passati ad un progetto integrato nel locale con i muri dell’arte.”
Andiamo indietro nel tempo e prima di saperne di più sulla tua idea della cucina e sui nuovi progetti, raccontaci la tua storia.
“Il mio ristorante e la mia cucina riflettono il mio temperamento irrequieto: ho bisogno di cambiare per restare me stesso. Sono stato forgiato dalla sala e non dalla cucina, facendo una buona gavetta senza una scuola alberghiera alle spalle. Ho fatto il liceo classico e poi mi sono iscritto alla facoltà di Economia e commercio, abbandonandola tosto, consapevole che la mia strada era un’altra. Volevo fare il giornalista ma poi ho scelto la cucina con il proposito di aprire un mio ristorante a 30 anni, anche per consolare i miei genitori dell’”abbandono scolastico”.”
Il ristorante arriverà a 33 anni, 3 anni fuori corso come ama dire con autoironia, dopo un percorso nella storica e rinomata Enoteca Pinchiorri a Firenze e da Lorenzo a Forte dei marmi, dove il connubio arte e tavola è ben visibile (Il proprietario Lorenzo Viani, è nipote dell’omonimo pittore).
Com’è stato l’esordio e il tuo approccio filosofico alla cucina?
“Conoscevo i desideri del cliente per la mia esperienza della sala e all’inizio scelsi di fare solo sei piatti, un menu ridotto, che però cambiavano tutti i giorni per non annoiarmi e non annoiare una clientela che volevo fidelizzata. La mia attenzione era sulla riconoscibilità dei sapori e la valorizzazione della materia prima nel piatto. In un momento in cui qui a Pietrasanta c’erano quasi solo trattorie con menu con una sfilza di piatti che non finiva più. Nel 2016, come accennato, il salto in uno spazio nuovo, questo appunto. L’altro, La casa di Filippo, resta aperto a pranzo e per eventi.”
Se dovessi raccontare in una frase la tua cucina cosa diresti?
“E’ un progetto in movimento come me, sempre sulle spine in cui ognuno della brigata è uno strumento di un’orchestra: il risultato al quale ambisco è una tavola schietta e senza fronzoli.”
Nuovi progetti?
“Continuerà l’idea del muro dell’arte che magari a primavera mi piacerebbe fosse allestito da un designer o da un musicista che disegnasse, per creare una fusione tra le arti. Quanto alla cucina il sogno è tornare indietro di trent’anni, tornare a scaldare l’atmosfera, l’ambiente, sia in termini di arredo sia di apparecchiatura, dopo tanto minimalismo, scaldando anche la cucina, ad esempio con lunghe cotture.”
Il mood è prendersi il tempo per vivere la cucina e la tavola, realizzando un ristorante dove si sta, si fanno lunghe soste, non si viene per assaggiare o consumare e il risultato si misura dai piatti che restano vuoti.
a cura di Ilaria Guidantoni