di Paolo Mandelli
socio Studio Spada Partners
Tra le misure di interesse e di necessario approfondimento, il Decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 70 del 17 marzo 2020) prevede, all’articolo 55, un’articolata disposizione normativa che è volta, in presenza di determinate condizioni e regole, a riconoscere un incentivo fiscale (nella forma di credito d’imposta) connesso e parametrato alla cessione di crediti deteriorati che le imprese vantano nei riguardi di debitori inadempienti (si veda altro articolo di BeBeez, ndr). Come evidente e visto l’attuale contesto di forte criticità, le posizioni creditorie interessate da tale norma possono rivestire caratteri di significatività ove, ad esempio, in ipotesi di crediti incagliati e accumulati nel corso degli anni.
Per andare subito al punto circa la portata applicativa di tale misura agevolativa, occorre segnalare che, mentre sotto un profilo soggettivo, tale disposizione trova in linea generale applicazione nei riguardi di tutte le società e dei soggetti d’impresa (ad esclusione dei soggetti in stato o rischio di dissesto – art. 17, D.Lgs. n. 180/2015 – ovvero in stato insolvenza), sotto invece il profilo “oggettivo” e di spettanza dell’incentivo, la norma trova applicazione unicamente ove sussistano (in capo alle imprese) determinate posizioni soggettive fiscali e precisamente: i) perdite fiscali riportabili di cui all’articolo 84 del Tuir e/o ii) la cosiddetta eccedenza di base ACE riportabile in avanti di cui all’articolo 1, comma 4, D.L. n. 211/2011.
In altre parole e in sintesi, dunque, la misura agevolativa in esame non è fruibile dalle imprese che, pur vantando crediti deteriorati, non dispongono di perdite fiscali e/o di un’eccedenza di base ACE riportabili nel corso del 2020.
In tale contesto e prospettiva, il Decreto Cura Italia ha introdotto un “nuovo regime speciale” di conversione delle imposte anticipate (c.d. deferred tax asset – di seguito anche “DTA”), riscrivendo, così come risulta per l’espresso rinvio operato dall’articolo 55, l’articolo 44-bis introdotto lo scorso anno con il decreto Crescita (D.L. n. 34/2019).
Più in dettaglio le società che cedono a titolo oneroso, entro il 31 dicembre 2020, i crediti pecuniari (sia commerciali sia di finanziamento) vantati nei confronti di debitori inadempienti, possono trasformare in credito d’imposta le attività per DTA riferite appunto a i) perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile alla data della cessione e/o ii) eccedenza di base ACE non ancora dedotta o fruita alla data di cessione del credito.
Una prima indicazione rilevante: le DTA riferibili alle predette posizioni fiscali oggetto di riporto possono essere trasformate in credito d’imposta anche se non sono iscritte in bilancio. Tale punto è certamente di interesse per le imprese che, pur in possesso di ingenti perditi fiscali, non hanno iscritto in bilancio (ovvero in via parziale) le imposte anticipate in ragione del non superamento del cosiddetto probability test, cioè il piano pluriennale di budget con incapienza di redditi imponibili futuri in grado di assorbire le posizioni di perdita pregressa fiscale.
Per quanto attiene alla nozione di credito deteriorato, la norma dispone che si è in presenza di un “debitore inadempiente” quando il mancato pagamento si protrae per oltre 90 giorni dalla data di scadenza.
Altro punto di interesse è dato dal fatto che i crediti devono essere ceduti solo nei confronti di soggetti terzi; non sono infatti interessate dall’agevolazione le cessioni di crediti infragruppo quali appunto operazioni di cessione tra società legate da rapporti di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. tra controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.
Passando ora a tratteggiare in breve le modalità di computo e determinazione del credito d’imposta, la norma dispone in primo luogo che la quota massima di DTA trasformabili in credito d’imposta è rappresentata dall’ammontare corrispondente alle posizioni fiscali oggetto di riporto (dunque stock di perdite fiscali pregresse e/o eccedenza di base ACE). All’interno di tale soglia, la norma fissa, ai fini della quota “trasformabile” in credito d’imposta, la misura percentuale del 20% del valore nominale dei crediti ceduti.
Per semplicità e con un esempio, se una società cede crediti per 10 milioni di euro, potrà trasformare in credito d’imposta al massimo una quota di DTA riferibile a 2 milioni di euro (nel presupposto ovviamente che la società disponga di almeno 2 milioni di perdite fiscali) e dunque con la rilevazione di un credito d’impost (aliquota IRES ordinaria del 24%) pari a 480 mila euro.
Solo per completezza, la norma (mirata e calibrata più per operazioni all’interno del mondo bancario e finanziario) pone un limite quantitativo nella cessione dei crediti (rilevanti ai fini della trasformazione) pari a2 miliardi di euro di valore nominale (per i soggetti appartenenti a gruppi, tale limite si intende calcolato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate da soggetti appartenenti allo stesso gruppo).
Quanto ai meccanismi temporali, la trasformazione in credito d’imposta avviene alla data di efficacia della cessione dei crediti. A decorrere da tale data, il soggetto che ha ceduto i crediti non potrà più utilizzare in futuro e in diminuzione di propri redditi le perdite fiscali e/o l’eccedenza di base ACE riferite alle attività per imposte anticipate complessivamente trasformate in credito d’imposta (in pratica e nella generalità dei casi a decorrere dalla dichiarazione fiscale dei redditi relativa al periodo d’imposta 2020).
Quanto alla modalità di fruizione e utilizzo, si segnala che i crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione, non produttivi di interessi attivi, possono essere utilizzati, senza limiti di importo, in compensazione in F24 ovvero possono essere ceduti o in alternativa anche chiesti a rimborso. I crediti d’imposta vanno indicati nella dichiarazione dei redditi e non concorrono alla formazione del reddito di impresa né della base imponibile IRAP.
Quale ultima notazione di carattere prettamente operativo, ci si limita a segnalare che la conversione delle attività in DTA è subordinata all’esercizio di un’opzione che può essere esercitata entro la chiusura del periodo in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti.
Alla luce di tale articolata normativa e come risulta dalla Relazione illustrativa al decreto, la ratio di tale misura agevolativa è quella di consentire alle imprese di anticipare finanziariamente l’utilizzo, sotto forma di crediti d’imposta, delle posizioni di perdita fiscale e/o eccedenza ACE riportabili nel tempo e che, altrimenti e in assenza di tale regime, avrebbero trovato assorbimento e dunque beneficio solo in anni futuri. Ciò va dunque nello spirito di ridurre il fabbisogno di liquidità connesso con il versamento di imposte e contributi, aumentando così la disponibilità di cassa per le società in un periodo di crisi economica e finanziaria connessa con l’emergenza sanitaria.