Sono 2.541 le startup fintech e insurtech di tutto il mondo che hanno raccolto capitali dagli investitor e in totale hanno incassato round per 55,3 miliardi di dollari, con una media di 22 milioni di dollari ciascuna. Lo ha calcolato una ricerca dell’Osservatorio Fintech & Insurtech della School of Management del Politecnico di Milano, presentata ieri al convegno online “Fintech & Insurtech: la spinta COVID verso un nuovo ecosistema” (si veda qui il comunicato stampa).
Il 45% delle startup finanziate ha sede in America, con gli Usa sul podio per numero di nuove imprese innovative (39%) e investimenti (21,4 miliardi); il 30% delle startup è basata in Europa, in particolare Regno Unito con 296 startup e 5,3 miliardi; il 22% in Asia con il 31% dei finanziamenti, soprattutto grazie alla Cina, che ospita 175 startup per 8,5 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda l’Italia, ricordiamo tra inizio anno e metà settembre BeBeez Private Data ha calcolato che le startup e scaleup fintnech italiane o fondate da italiani hanno già incassato round per un totale di oltre 135 milioni di euro, dopo che gli investimenti di venture capital nel settore erano stati 261 milioni di euro nel 2019 e circa 200 milioni del 2018. I 135 milioni di euro raccolti dalle fintech rappresentano circa un terzo di quanto raccolto da tutte le startup italiane o fondate da italiani nello stesso periodo, cioè 466 milioni in 183 round (si vedano qui il Report Dove va il fintech. Tutti i deal da inizio 2020 e qui il Report Venture Capital di BeBeez sui primi 8 mesi 2020, disponibili per gli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data).
Tornando ai dati globali del Politecnico, il 60% delle startup finanziate opera nei servizi bancari, il 35% negli investimenti e il 15% nelle assicurazioni. Le insurtech sono state le startup più finanziate, con una media di 28 milioni di euro raccolti. Numerose sono le startup che offrono tecnologie accanto ad un servizio bancario o assicurativo (il 54%) e le RegTech (17%). Quasi due terzi si rivolgono ai consumatori retail (63%), il 39% al settore finanziario, il 50% a imprese di altri settori e il 12% alla PA. Le tecnologie più utilizzate dalle startup sono l’intelligenza artificiale (37%), le API (36%) e la blockchain (24%).
“L’ecosistema delle startup fintech e insurtech è florido e capace di offrire servizi innovativi a tutto il sistema economico, finalmente anche in Italia e con Milano capofila. Il numero delle startup è cresciuto ancora, nonostante la pandemia, con peculiarità e dinamiche diverse tra i continenti. Cresce in particolare l’Europa del fintech: +158% di finanziamenti nell’ultimo biennio, con oltre 768 startup finanziate sopra 1 milione di euro”, ha evidenziato Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech.
Fra le startup cresce l’attenzione alla sostenibilità: il 27% di esse è attento ad almeno un obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU, e questo interesse è premiato dagli investitori, che mediamente finanziano le nuove imprese sostenibili con 25,5 milioni di dollari (contro i 20,4 milioni delle altre), e dai regolatori, con il 10% che ha preso parte a un programma sandbox (contro il 7% delle non sostenibili). Le startup sostenibili si concentrano soprattutto su temi sociali (10% delle startup), come la riduzione delle diseguaglianze, e ambientali (4%), come la lotta al cambiamento climatico.
Oltre metà delle startup fintech e insurtech mondiali collabora con imprese non finanziarie (54%), il 32% con realtà del settore finanziario, il 30% con altre startup. Le nuove imprese innovative necessitano di supporto: centri universitari, acceleratori e incubatori hanno affiancato il 36% delle startup e l’8% ha interagito con le autorità regolatrici, partecipando a programmi sandbox (la sperimentazione di un’attività disciplinata dalla normativa del settore bancario, finanziario, assicurativo). “Le startup hanno una forte propensione a collaborare con attori non finanziari: questo evidenzia che i confini e le modalità per creare innovazione finanziaria stanno cambiando. Lo conferma anche la nascita in Europa di piattaforme di open finance, che sono più di 50. E ne vedremo molte altre nel 2021”, ha detto ancora Renga. E Marco Giorgino, direttore scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech, ha aggiunto: “Per banche e assicurazioni, startup e nuovi attori innovativi non rappresentano solo concorrenti, ma soggetti con cui creare importanti sinergie”.
Nel settore assicurativo, altri operatori con un’ampia base di clienti si stanno avvicinando al settore: telco, utilities, e-commerce, mobility e salute. Lo ha sottolineato Simone Ranucci Brandimarte, cofondatore e presidente di Yolo. “Si stanno creando nuovi ecosistemi: in Usa Tesla vuole diventare la prima compagnia assicurativa americana nella vendita di polizze auto. In Italia, Yolo ha chiuso un accordo con Fca per creare servizi assicurativi ad hoc per i clienti di quest’ultima. I limiti sono: regolamentazione, gestione dei dati, usability e CX. In Italia abbiamo 80-100 iniziative in ambito assicurativo da parte di operatori di diversi settori”, ha raccontato Ranucci Brandimarte.
La collaborazione tra startup e istituzioni finanziarie tradizionali è favorita dalla crescente digitalizzazione del settore finanziario e assicurativo, accelerata dall’emergenza coronavirus. Durante il primo lockdown, il 51% dei clienti italiani ha avuto necessità di interagire con la sua banca e il 73% di questi si dice soddisfatto del servizio ricevuto grazie a strumenti digitali, in particolare della possibilità di eseguire facilmente bonifici e pagamenti online, di interagire con il personale e di firmare documenti in digitale. Sono meno (39%) i clienti che hanno interagito con la compagnia assicurativa e di questi il 77% si dice soddisfatto, soprattutto per la facilità di interazione con l’agente e la semplicità del rinnovo della polizza, anche se il 23% degli insoddisfatti si lamenta per le difficoltà di comunicazione. Nel mese di aprile 2020, i clienti online delle banche sono aumentati in media del 17% rispetto allo stesso periodo 2019, le transazioni digitali sono cresciute del 32% e i nuovi clienti acquisiti digitalmente sono saliti del 75%.
Nell’emergenza è cresciuto l’uso di servizi fintech e insurtech, in particolare quelli di identità digitale (utilizzata dal 48% dei consumatori), di telemedicina inclusi nella polizza (6%) e di roboadvisory (6%), anche se per alcuni l’effetto potrebbe essere di breve periodo, legato alle necessità contingenti. Il lockdown ha spinto il 51% delle pmi a ridurre gli incontri di persona con il consulente bancario e il 45% a diminuire l’accesso alle filiali. Il 13% ha compensato la minore interazione fisica dialogando con i consulenti in videoconferenza, il 20% ha aumentato il ricorso all’home banking, il 7% ha sostituito l’anticipo fatture tradizionale con soluzioni online e il 5% ha sottoscritto prestiti in rete. Solo una minoranza delle pmi è insoddisfatta dei servizi digitali della propria banca (3%), una su tre li ha apprezzati (34%) e il 63% neutrale.
Non sono però mancati i problemi: il 19% delle pmi ha segnalato l’indisponibilità di alcune soluzioni digitali necessarie, il 17% problemi con le soluzioni digitali offerte. L’impatto è evidente anche sul mondo assicurativo. Il 32% delle pmi ha diminuito le interazioni di persona con il proprio agente e il 39% ha ridotto la frequenza con cui si recava in agenzia. In particolare, il 9% delle pmi ha sostituito l’incontro di persona con videoconferenze e il 10% è passato a soluzioni online. Anche la modalità di gestione delle polizze ha subito importanti cambiamenti: il 24% delle pmi ha aumentato la sottoscrizione tramite internet, il 29% la gestione online.
Alessandra Perrazzelli, vice direttrice generale di Banca d’Italia, ha sottolineato che le regole attuali non sono in linea con uno sviluppo così rapido della tecnologia, ma sono legate a un mondo analogico, con servizi finanziari erogati da strutture fisiche. “Servono norme a livello europeo e fintech sempre più resilienti, ossia che si poggino su norme chiare e le rispettino”, ha auspicato Perrazzelli. Secondo Emanuela Aiani, ricercatrice di BVA Doxa, “il digitale non sostituirà il fisico completamente, ma assisteremo a una ricomposizione della complementarietà tra online e offline”.
Per ora, i consumatori italiani confermano la fiducia nelle istituzioni tradizionali: tra i coloro che si rivolgerebbero ad almeno un attore per i vari servizi, il 72% affiderebbe la gestione dei risparmi e il 65% la richiesta di un finanziamento alla propria banca, l’83% assicurerebbe la salute con una compagnia assicurativa. Ma sono sempre più propensi a sperimentare anche attori meno tradizionali: per piccoli finanziamenti, il 53% si affiderebbe anche ad attori innovativi, fra cui produttori di smartphone come Apple e Samsung (21%), startup (19%), e-commerce come Amazon (19%) e aziende internet come Google e Facebook (17%). Anche fra le pmi, banche e assicurazioni sono ancora gli attori più fidati, ma avanza la tendenza a valutare anche altri operatori non tradizionali. Il 33% delle pmi ha una propensione medio-alta a chiedere un prestito a breve termine o un finanziamento del capitale circolante a un attore innovativo, come supermercati (23%) e utility (16%). Il 29% si affiderebbe ad un soggetto tradizionale non finanziario come la propria associazione di categoria. Per i servizi assicurativi, il 69% delle pmi si affida a compagnie assicurative, il 50% alle banche, il 31% valuterebbe anche un attore innovativo come un’azienda internet (19%), utility (18%), comparatori online (24%).
Marco Giorgino, direttore scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtechm, ha affermato: “Il Covid ha impresso una decisa accelerazione alla digitalizzazione del settore finanziario e assicurativo italiano, sia dal punto di vista della domanda che dell’offerta di servizi: se il fintech è sempre stato considerato un’opportunità, ora è diventato anche una grande necessità che non potrà che rendere più efficiente il sistema. Ma al di là dell’emergenza, in Italia si evidenzia un ecosistema che si muove con decisione, tra accordi e collaborazioni, per garantire al cliente un’esperienza d’uso di qualità ai consumatori, sempre più esigenti su velocità di risposta, facilità di interazione, servizi integrati e personalizzati”.
Per garantire una user experience adeguata servono i dati dei clienti, i quali però spesso non sono disponibili a condividerli se questo, come allo stato attuale, non viene adeguatamente valorizzato: oggi solo l’11% condivide già con la banca dati su viaggi e spostamenti, il 9% con l’assicurazione; il 15% comunica alla banca informazioni sulla famiglia, il 10% all’assicurazione. Il 27% dichiara che al momento non intende condividere nessuna informazione con la banca, il 26% con l’assicurazione, il 17% con nessuna delle due. Sei clienti su dieci non vogliono condividere informazioni provenienti dai social: un tema poco chiaro, proprio per l’apertura allo scambio tipica dei social. Emerge l’interesse nel disporre nell’app della propria banca di altre informazioni oltre a saldi, movimenti e operatività del conto corrente: il 47% dei consumatori vorrebbe poter visualizzare e pagare le bollette, il 38% servizi per l’identità digitale, il 36% servizi per la telefonia mobile, il 34% servizi per la mobilità, un altro 34% carte fedeltà. Gli under 35 in particolare richiedono servizi per gestire e accrescere le proprie risorse, come budgeting (31%, contro il 19% tra gli over 55) e opzioni di investimento personalizzate (30%, contro 21% tra gli over 55).
Laura Grassi, direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech, ha chiosato: “L’emergenza sanitaria ha scosso e innovato le abitudini ed esigenze dei consumatori che, abituati all’interazione digitale con attori di eCommerce o social network, richiedono la medesima immediatezza ed efficacia ai servizi di banche e assicurazioni. Anche in ambito finanziario, emerge la richiesta di una user experience di qualità: velocità di risposta e trasparenza sono ormai caratteristiche imprescindibili, ma da sottolineare come cresca l’attenzione alla sostenibilità. L’esperienza richiesta dai consumatori a banche e assicurazioni può essere garantita solamente attraverso la collaborazione con altri attori e startup”.
A questo proposito, da uno studio diffuso ieri dalla fintech svedese Tink, partecipata da Poste Italiane (si veda altro articolo di BeBeez), emerge che oltre i due terzi dei top manager (70%) vedono l’opportunità offerta dall’open banking in tutta la loro organizzazione (si vedano qui il comunicato stampa e qui la ricerca completa). Quasi la stessa percentuale pensa, inoltre, che offra un buon rapporto qualità-prezzo (67%) ritenendo che i benefici superino i suoi costi potenziali. Tuttavia, mentre i team senior mostrano fiducia nell’open banking, la ricerca dipinge un quadro più vario in altri dipartimenti aziendali. La maggior parte dei channel owner (63%), responsabili dell’online, del mobile o sviluppatori di interfacce, riconosce l’opportunità dell’open banking in tutta la propria organizzazione. Al contrario, meno della metà (45%) dei product owner, quindi proprio chi ha il compito di massimizzare il valore generato dal prodotto, la pensa allo stesso modo. Quanti lavorano nell’IT sono i più fiduciosi (65%) di possedere le competenze per offrire servizi di open banking, seguiti da chi lavora con il management (61%) e dai canali di banking digitale o mobile (60%). Tuttavia, solo il 43% dei product owner è fiducioso che il proprio team disponga delle risorse necessarie per capitalizzare l’open banking.
Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia, ha concluso: “In qualità di custodi di denaro e fornitori di servizi finanziari, le banche hanno già una solida base clienti che si fida di loro ed è quindi più propensa a condividere i propri dati. Tuttavia, è lecito attendersi che alcuni rami del business potrebbero rimanere indietro nell’abbracciare tale opportunità. Man mano che i membri del top management costruiscono la propria strategia di open banking, è essenziale colmare eventuali lacune di conoscenza o culturali per garantire l’allineamento interno. Che si tratti di partnership strategiche fintech, acquisizioni o di un riallineamento aziendale, le banche devono assicurarsi di essere ben posizionate nella corsa alla migliore offerta di customer experience attraverso l’open banking”.