Oriente Mudec, una suggestione per due viaggi espositivi che raccontano una via a doppio senso tra Oriente, in particolare il Giappone, ed Europa, con un focus su Italia e Francia, per raccontare come il Giapponismo non sia stata solo una moda ma un modello culturale che ha avuto grande influenza sulla cultura moderna e il gusto nell’arte e nel costume occidentale.
Oriente Mudec, ha sottolineato Anna Maria Montaldo, Direttore del Museo delle Culture, “è un progetto scientifico complesso di ampio respiro con l’obiettivo di approfondire vicende politiche, sociali, culturali e religiose e relazioni maturate in senso alle stesse tra Oriente e Occidente con particolare riguardo al XIX secolo”.
Hanno curato la mostra dedicata a Impressioni d’Oriente. Arte e collezionismo tra Europa e Giappone Flemming Friborg e Paola Zatti e Quando il Giappone scoprì l’Italia. Storie d’incontri (1585-1890) Carolina Orsini del Comitato scientifico della mostra con un lavoro che ha impegnato un gruppo ampio.
Il Giapponismo al di là di una tendenza ha rappresentato un orizzonte che è rimasto un modello di riferimento nella cultura moderna dell’arte occidentale sia nella moda sia ad esempio negli aspetti compositivi rappresentati dal ventaglio che non è solo un oggetto caratteristico. E ancora notoria è l’influenza del Giappone sulle arti grafiche come mostrano i manifesti esposti di Toulouse-Lautrec.
L’Oriente è per molto tempo un nome generico che non rispecchia le distinzioni tra i vari paesi, quanto la fascinazione da parte dell’Europa, per altro reciproca se si pensa che in Giappone si è parlato degli europei come di popoli esotici e, come ha spiegato l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno, il tema dell’orientamento, da “orientarsi”, diventa in Europa, nel tempo, un punto di riferimento. La mostra, con un taglio narrativo, ha messo in risalto sia gli autori europei che hanno risentito molto dell’influenza Giapponese, sia quelli Giapponesi per valorizzarne l’opera, con una speciale attenzione all’Ottocento e Novecento, con un allestimento di grande fascino e raffinatezza che contribuisce a dar vita ad un’esperienza immersiva e non soltanto visiva, di ricostruzione e racconto culturale e letterario di un periodo lungo e di una complessità di scambi. Giocato molto sui toni dei grigi con foto di grande formato in bianco e nero e pannelli sospesi, l’esposizione è di forte suggestione, soprattutto per la parte pittorica, completata da una ricca collezione di oggetti.
La mostra sul Giappone, un’esposizione di 170 opere tra dipinti, stampe, pezzi d’arredamento, provenienti sia da musei italiani sia esteri, è articolata in due sezioni, rispettivamente dedicata a Ito Mancio – di cui in mostra un ritratto probabilmente di Domenico Tintoretto – e le ambascerie giapponesi 1585-1615, quando la prima curiosità verso quelle terre fu legata al tentativo di tracciare mappe in quella terra; e un museo giapponese in Lombardia legato alle collezioni in particolare quella del conte Giovanni Battisti Lucini Passalacqua. Purtroppo a partire dal 1639 fino al 1853 il Giappone ha intrapreso una chiusura graduale dei porti e un politica di isolamento. In quel periodo comincia a fiorire un’arte di imitazione e copie degli oggetti originari in particolare in porcellana.
Con la riapertura della via della sete i commercianti lombardi ripresero gli scambi non solo commerciali. La mostra dedicata all’Oriente in senso più ampio racconta la fascinazione dell’Europa in relazione al Giappone in particolare tra il 1860 e il 1900 secondo quattro sessioni: il Giappone tra realtà e fantasia; da Oriente e Occidente: che racconta l’ispirazione dell’oriente per l’arte italiana e francese; l’import ed export per gli scambi globali e il Giapponismo in Italia che incantò in particolare artisti nazionali e francesi dove importanti gallerie. Negli ultimi anni a seconda dei paesi è stato tra l’altro un fiorire di mostre sul Giappone in occasione dei 100 o 150 anni dell’apertura dei rapporti tra gli stati. Nel XIX secolo l’Europa attuò una politica di espansione territoriale che la portò ad abbracciare l’Esotismo, sebbene, come hanno sottolineato gli stessi curatori occorre sempre far attenzione all’uso di queste parole in un’ottica di lettura critica rispetto alle civiltà. Il progetto abbraccia alcuni filoni narrativi, come ad esempio il collezionismo, in particolare quello di Enrico Cernuschi che ha rappresentato una delle tappe principali del collezionismo giapponese in Italia, come anche quello di Primoli, collezionista meno importante ma significativo per alcune scelte nel suo salotto parigino come i Kakemono (pittura o calligrafia su seta o carta in formato arrotolato destinate ad essere appese) che usò come libri firma, in mostra per la prima volta.
Sono presenti in particolare opere di Van Gogh, Gauguin, Fantin-Latour, Toulouse-Lautrec, Monet e artisti italiani come Giuseppe De Nittis, Galileo Chini – questi profondamente ispirato dall’Oriente – come anche Giovanni Segantini e Gaetano Previati esposti accanto a pittori giapponesi in un intrigante e suggestivo dialogo.
Come dimostra la storia dell’artista Vittorio Ragusa che sposò un’artista giapponese e furono ospitati all’interno dell’Accademia della Belle Arti a Palermo, il Giapponismo gradualmente entra anche nelle accademie e diventa materia di studio.
a cura di Ilaria Guidantoni