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Alla Gnam di Roma si è inaugurata, il 25 ottobre scorso, la personale di Ettore Spalletti, il cielo in una stanza, con ventidue opere – provenienti dallo Studio Ettore Spalletti che si affiancano ad altre opere appartenenti alla collezione permanente della Gnam, esposte come inserti in Time is Out of Joint – del maestro abruzzese scomparso nel 2019, nome molto noto, riconosciuto come uno dei più grandi maestri contemporanei della storia dell’arte universale e italiana; l’esposizione, a cura di Éric de Chassey e in collaborazione con lo Studio Ettore Spalletti, resterà aperta al pubblico fino al prossimo 27 febbraio 2022.
Più che commentare le sue opere è interessante raccogliere ricordi e testimonianze di chi lo ha conosciuto bene, gli è stato amico, ha lavorato con lui: Cristiana Collu, Laura Cherubini, Bruno Corà, Penelope Curtis, Danilo Eccher, Daniela Lancioni e altri ancora. Tutti hanno raccontato un prezioso ricordo sull’uomo, sulla sua opera. Spalletti ha insegnato nella scuola dove ha studiato, in Abruzzo e si racconta che un giorno, durante una lezione, abbia steso un capello su un foglio bianco
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chiedendo agli studenti di disegnarlo….La scuola, la casa dove vive, nonostante l’attività e il successo internazionale, Spalletti rimane legato alle sue origini, alla sua terra e a quella costa abruzzese i cui colori abitano le sue opere, e nel Gran Sasso trova un paesaggio ideale, “la bella addormentata”. Attraverso il colore ha cantato il suo Abruzzo e il suo mare, albe e crepuscoli. Che cosa è il COLORE per Spalletti? È materia e spiritualità, è il centro di una ricerca continua che esplora l’universo cromatico. “Il colore si muove e occupa lo spazio che prima era delimitato dalla cornice, senza di essa il colore si riversa all’esterno e si impadronisce dello spazio…” e infatti dinanzi alle distese di azzurro, i quadri-pareti, c’è il mare di Napoli e i cieli della sua terra e c’è “Dolce far niente” . E ancora il colore è presenza fisica quando sulle assi vengono passati strati e strati di pigmenti, grumi di pittura, fino a farlo diventare forma e scultura e poi arriva la carta vetrata che rompe il colore modellandolo, creando un pulviscolo che si deposita ovunque e cambia la luce. E c’è il tatto, fondamentale, che Spalletti considera il più importante dei sensi e che si sviluppa prima degli altri, con il tatto si sente il colore e la polverosità che resta nelle mani, oltre le strutture in
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legno o marmo che si animano nel colore. E tutto diventa emozione. La tecnica di Spalletti evolve e si perfeziona con gli anni e scultura e pittura si incontrano in una perfetta simbiosi. Azzurro, giallo, rosa, porpora sono i suoi colori, la sua cifra espressiva ancorata alla realtà del suo passato e alla sua memoria. Questi i pensieri e le testimonianze di amici, critici e altri artisti e queste sono le cose che questa mostra ci racconta nel “porgere l’arte agli altri” come Spalletti diceva e Bruno Corà ricorda. In ultimo, merita l’attenzione un video che gira con la musica di apertura di Philip Glass, in un angolo della mostra, un po’ fuori dalla folla, in una sorta di capanna di legno tranquilla e quasi intima. È Spalletti che parla, con sé stesso e con le sue creature entrando nel loro spazio, mentre passeggia nel suo studio dove luce e colore avvolgono ogni cosa. Al mattino e al pomeriggio è lì tra loro, si accomoda nella poltrona preferita e guarda le sue opere e se ne sente guardato, a volte con simpatia a volte con rimprovero e l’invito a tornare al lavoro. Sente l’energia che le opere sprigionano e sente che ne hanno quasi più di lui. E’ un dialogo costante che si conclude sul suo ultimo commento: è come se le opere non avessero più bisogno di lui e della sua presenza perché sanno come mostrarsi e come cogliere la luce migliore con tutta la loro anima.
a cura di Daniela di Monaco