Dal romanzo di Silvia Ferreri Stefania Rocca dirige e interpreta La madre di Eva in cui un adolescente decide di affrontare la transizione e il cambio di sesso; Alessio Boni si cala nei panni di Don Chisciotte con Serra Yilmaz che diventa Sancho Panza; Elisabetta Pozzi e Laura Marinoni, dirette da Davide Livermore sono due memorabili regine nella Maria Stuarda di Schiller.
E’ un tema che negli ultimi anni ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, della stampa e dei media ma che il mondo dello spettacolo in generale ha soltanto sfiorato: parliamo della disforia di genere: la condizione di forte e continua sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso. Sappiamo quanto sia seminato di ostacoli il percorso di chi intende cambiarlo: da una parte l’ottusa burocrazia e dall’altra il calvario delle operazioni chirurgiche da parte di chi ha deciso di intraprendere la transizione. Se il cinema ci ha offerto spunti di riflessione e ha portato alla luce questa realtà quasi sommersa – di cui gli adolescenti sono i principali testimoni – a beneficio di più larghi strati di spettatori (tra i tanti ricordiamo Mery per sempre di Aurelio Grimaldi, Le favolose di Roberta Torre, Mater natura di Massimo Andrei, i documentari Nel mio nome di Nicolò Bassetti, Un uomo deve essere forte di Ilaria Ciavattini e Elsi Perino, oltre ai numerosi esempi della cinematografia straniera come Tomboy di Céline Sciamma, Girl di Lukas Dhont, Cowboys di Anna Kerrigan, The Danish Girl di Tom Hooper e Un uomo felice di Tristan Séguéla ora sugli schermi), il teatro italiano, a parte i
lavori della regista e autrice Marcela Serli e della sua compagnia Atopos, spettacoli come MDLSX dei Motus con la performer Silvia Calderoni o Delirio di una trans populista di Andrea Adriatico con Eva Robin’s) è stato più avaro di proposte. A colmare questa lacuna ci ha pensato una delle nostre attrici più sensibili e versatili, Stefania Rocca. E’ passato qualche anno ma la ricordiamo ancora con l’acconciatura punk blu di Naima in Nirvana di Gabriele Salvatores: è stato il film che le ha schiuso le porte di una carriera internazionale grazie alla capacità di recitare in più lingue straniere e agli studi a New York, Londra e in Russia. Dal Talento di Mr. Ripley di Minghella, a Love’s Labour’s Lost di Branagh, Inside Out di Godard, Go Go Tales di Ferrara, Le Candidat di Arestrup; fra gli italiani Rosa e Cornelia di Treves, Resurrezione dei fratelli Taviani, La bestia nel cuore di Comencini, sino ai recenti Dietro la notte di Falleri attualmente su Prime video e L’uomo che disegnò Dio per la regia di Franco Nero, sono esempi di coerenza artistica. In televisione l’abbiamo vista in fiction di successo come Tutti pazzi per amore, La grande famiglia, Cops, Tutta colpa di Freud e in autunno sarà nella nuova serie Vita da Carlo con Carlo Verdone. Scelte di alto profilo hanno caratterizzato anche il suo percorso teatrale: da Polygraf diretta dal geniale Robert Lepage, a Ricorda con rabbia di Osborne con la regia di Luciano Melchionna, Scandalo, testo inedito di Schnitzler diretto da Franco Però, e nella scorsa stagione Il silenzio grande di Maurizio De Giovanni firmato da Alessandro Gassman. A riportarla in palcoscenico è stato l’interesse suscitato dalla lettura del romanzo La madre di Eva di Silvia Ferreri, finalista al premio Strega, dove si racconta la lotta intrapresa da Alessandro, nato Eva ma che sin da bambino non ha mai accettato l’appartenenza al sesso femminile, per diventare un uomo al compimento dei suoi diciotto anni. “Sul tema della diversità avevo già portato diversi film a tematica al festival di Otranto nella sezione Connecting
World che dirigo – racconta l’attrice alla vigilia del debutto milanese – mi ci sono avvicinata per curiosità, essendo attenta ai diritti, al non rimanere incanalati nei binari nei quali la società ti pone. Mi sono innamorata della storia quando ho capito che io stessa non avevo gli strumenti per approfondire quella problematica e che sarebbe stato utile portarla a teatro per offrirli sia ai giovani che magari non sono direttamente coinvolti in un processo di transizione ma che forse lo vivono attraverso amici, sia ai genitori. Ho così iniziato a informarmi, ho incontrato associazioni di ragazzi e di padri e madri, scoprendo un’emotività e un’umanità incredibili.” Alessandro, ormai alla vigilia della maggiore età, si ritrova a fronteggiare l’iniziale rifiuto della mamma nei confronti della sua decisione di sottoporsi all’operazione del cambio di sesso. Mentre il padre cambia lentamente atteggiamento e accetta la volontà del figlio, lei, legata a modelli sociali tradizionali, sembra non voler cedere, a costo di scontri feroci e dolorosi, tipici di un conflitto anche generazionale. “Sono presenti diverse tematiche – continua Stefania – e nel mio adattamento del testo per la scena ho giocato su vari livelli, dal conflitto madre-figlio al senso di maternità e nascita. L’identità di genere viene messa in crisi dal nascere in un corpo che non è il tuo e quindi il proposito d’intraprendere una battaglia per rinascere come tu ti senti. Questo presuppone il taglio del cordone ombelicale con la madre che però può non accettare di partorire metaforicamente un nuovo figlio/a. E’ un rapporto ancestrale di odio/amore tra i due personaggi che però si allarga a un rapporto madre-figlio in generale: spesso noi genitori pensiamo d’insegnare e invece ci accorgiamo che gli adolescenti ne sanno più di noi. Siamo gravati da preconcetti che riteniamo giusti e da una serie di errori che da genitori si fanno continuamente anche per paura, per il desiderio che tuo figlio/a sia integrato/a al meglio nel mondo. Come molti genitori, la mamma di Eva non ha gli strumenti, emotivi e non culturali (quindi non dipendenti dall’istruzione o dallo status sociale) per gestire la difficile realtà che le è toccata: come tanti all’inizio pensa sia un desiderio passeggero, un fatto di moda legato alle nuove generazioni.” Dopo mesi di confronti bellicosi la madre acconsente prima all’intervento di una psicologa e alla prescrizione di ormoni, successivamente a far avallare da un giudice, data la minore età del ragazzo, l’operazione definitiva. Quando il magistrato esprime un parere negativo, Alessandro non si arrende e si rivolge a una clinica di Belgrado, pensando di dover attendere il diciottesimo compleanno per poter agire in autonomia anche contro la volontà dei suoi, invece la madre, tornando sui suoi passi, decide di accompagnarlo e stargli accanto prima di quella simbolica data. Lo spettacolo, che porta lo stesso titolo del romanzo, di cui Stefania Rocca firma la regia e di cui è protagonista insieme al giovane Bryan Ceotto (che anche nella realtà ha intrapreso la transizione e si alterna nel ruolo con Simon Sisti Ajmone, lui pure nello stesso percorso FTM) inizia appunto con lei che nella clinica attende la fine dell’operazione. Da qui inizia una serie di flash back che ci mostrano le tappe della vicenda, sin da quando la piccola Eva confida alle amichette di essere un maschietto, la presa di coscienza nella pubertà. la determinazione nell’adolescenza a nascondere gli attributi femminili e a vestire e atteggiarsi a uomo, la ricerca d’informazioni riguardo alla sua condizione e a come mutarla. Da parte della madre c’è il peso dei pregiudizi della società, i commenti increduli delle amiche, l’ostilità di suo padre e l’irresolutezza del marito. Mettendo benissimo a frutto la lezione di Lepage, la regista opta per la contaminazione tra teatro e cinema, dando alla vicenda in palcoscenico – che diventa vero e proprio viaggio di coscienza – una visione cinematografica con tutti gli altri ottimi interpreti (tra i quali Maeva Guastoni, Eva bambina, Francesco Colella, il padre, Diego Casale, il nonno, Vladimir Aleksic, il medico serbo, Selene Demaria, la psicologa, e Emanuele Fortunati, l’avvocato) che appaiono nei filmati e ai ringraziamenti si presentano in forma di ologrammi. Al suo personaggio l’attrice presta diversi registri: dolcezza, comprensione ed empatia ma anche rabbia e disperazione, riuscendo a non far pesare la matrice letteraria. Bryan è un Alessandro giustamente combattivo e risoluto ma a tratti lascia trasparire i tormenti e fragilità dell’adolescente. Non di sottofondo ma molto presente è la musica suonata dal vivo da Luca Maria Baldini, funzionali ed essenziali le scene di Gabriele Moreschi e d’impatto gli effetti di Marianna Sannino. La madre di Eva, prodotta da STAGE ENTERTAINMENT con Enfiteatro e ORA ONE, dopo il festeggiato debutto al teatro Lirico Giorgio Gaber sarà a Roma al Parioli il 27 e 28 marzo e all’Auditorium Parco della Musica l’11 e 12 aprile. Un’eccellente esempio di teatro civile che nella prossima stagione merita di circuitare in grandi e piccoli centri.
Rimane uno dei personaggi che la letteratura ha reso immortali: è il Don Chisciotte della Mancha creato da Miguel Cervantes de Saavedra (1547-1616), pubblicato in due volumi nel 1605 e 1615, il paladino che, novello Astolfo e fervente appassionato dei romanzi cavallereschi in cui questi compare, accecato dalla follia ma convinto invece di esser vittima di un mago malefico, combatte contro i mulini a vento scambiandoli per giganti, le greggi di pecore prese per eserciti arabi, i burattini per demoni e dedica le sue imprese a una dama che in realtà è la contadina Aldonza ma che lui trasfigura nella nobile Dulcinea. Montato in sella a Ronzinante, convince l’arrendevole Sancho Panza a seguirlo in sella a un asinello nelle sue sconsiderate imprese. Il nostro teatro non poteva ignorare questo capolavoro e sin dagli anni venti è stato messo in scena sotto forma di adattamenti assai diversi tra loro. Fra i tanti ricordiamo quello firmato da Carmelo Bene del 1968, la versione televisiva di Carlo Quartucci del ‘70 e in anni più recenti quelli diretti da Armando Pugliese, Henning Brockhaus, Maurizio Scaparro, Antonio Latella e Franco Branciaroli. A misurarsi con questa figura è oggi l’attore Alessio
Boni che si divide tra teatro, cinema e televisione con eguale fortuna. “Chi è pazzo e chi è normale? La lucida follia è quella che ti permette di sospendere per un eterno istante il senso del limite e la consapevolezza della morte che spogliano di senso il quotidiano umano ma che è il solo ci rende umani. Don Chisciotte combatte per un ideale che arricchisce di valore ogni gesto quotidiano e che, involontariamente, lo ha reso imperituro. È follia questa? È meglio vivere a testa bassa, inseriti in una serie di regole pre-determinate che a loro volta ci determinano? Gli uomini che nel corso dei secoli hanno osato svincolarsi da questa rete, avvalendosi del sogno, della fantasia, dell’immaginazione, sono stati spesso considerati pazzi, salvo poi venir riabilitati dalla Storia stessa. Sono proprio coloro che sono abbastanza folli da credere nella loro visione del mondo, da andare controcorrente, che meritano di essere ricordati in eterno: tra gli altri, Galileo, Leonardo, Mozart, Che Guevara, Mandela, Madre Teresa e Steve Jobs.” Il suo Don Chisciotte, con l’adattamento di Francesco Niccolini, liberamente ispirato al romanzo di Cervantes, di cui Boni, oltre a esserne protagonista, firma anche drammaturgia e regia insieme a Roberto Aldorasi e Marcello Prayer, inizia a palcoscenico in ombra con le voci di chirurghi intenti a operare un paziente che sognerà poi di essere un cavaliere deciso a difendere i deboli e a riparare i torti subiti. L’attore infonde al personaggio coloriture assai vivaci e talvolta un po’ sopra le righe ma gli eccessi fanno necessariamente parte della chiave spesso comica scelta per la messa in scena. A interpretare lo scudiero Sancho Panza troviamo a sorpresa l’attrice turca Serra Yilmaz (musa del regista Ferzan Ozpetek) che alle stramberie del padrone oppone ragionevolezza e raziocinio, oltre a un comprensibile desiderio di migliorare la propria condizione anche sfuggendo a una moglie oppressiva, spesso usando l’arma dell’ironia che ritroviamo anche nei suoi film. Accanto a loro ci sono lo stesso Prayer, Francesco Meoni, Pietro Faiella, Liliana Massari, Elena Nico, generosamente impegnati in circa 30 personaggi, alcuni en travesti e con spiccati accenti regionali, e Biagio Jacovelli come Ronzinante; le scene dai colori accesi sono di Massimo Troncanetti e i costumi dell’epoca di Francesco Esposito. Don Chisciotte rimane in scena al teatro Manzoni di Milano sino al 5 marzo, poi sarà all’Alfieri di Torino (10-12/3), Cristallo di Bolzano (14/3), Sociale di Trento (16-19/3), Massimo di Palermo (24/3- 1/4) e Pirandello di Agrigento (4 e 5 aprile).
La tragica vicenda di Mary Stuart (1542-1587), regina di Scozia (da dove era fuggita dopo il coinvolgimento in fatti di sangue), poi regina consorte di Francia dal 1559 al 1560 e infine regina d’Inghilterra per i legittimisti del tempo che non riconoscevano Elisabetta I come legale erede di Enrico VIII, ha ispirato Friedrich Schiller (1759-1805) per l’omonima tragedia romantica che si focalizza sugli ultimi tre giorni della sua vita, prima della decapitazione decretata da Elisabetta, esitante ma infine convinta dalla corte dei nobili, e portata a compimento nel castello di Fotheringhay in cui era tenuta prigioniera da diciotto anni, accusata di complottare con i francesi, fomentare la ribellione dei cattolici e attentare alla vita della sovrana. Il poeta e drammaturgo tedesco pone a confronto diretto le due donne (anche se la Storia ci dice che non si siano mai incontrate) che nel loro unico colloquio, dopo le ipocrite parole di convenienza, palesano il vero animo, pregno di rancore, gelosia e invidia. Da una parte la cattolica Maria, responsabile dell’uccisione del marito per unirsi all’amante, avvezza agli intrighi, ma sincera nel voler godere delle gioie dell’amore e del sesso, sfortunata nell’essere sacrificata alle trame di governo. Dall’altra la protestante Elisabetta, chiusa nella rinuncia alla
femminilità in nome di una rigidità pseudo moralista, umanamente arida, destinata a non conoscere la passione e ingannata dall’uomo che dice di amarla, alla fine trionfante ma al contempo perdente in dignità. Un altro importante tema è il desiderio e il conseguente conflitto per mantenere o raggiungere il potere ed è quest’ultimo che la messa in scena di Davide Livermore, apprezzato anche per le regie nel campo della lirica, sembra voler sottolineare. “Nel trovarci di fronte a queste due gigantesche figure, non possiamo non chiederci come e quanto la donna abbia dovuto interiorizzare certi meccanismi maschili della gestione del potere e il suo ruolo all’interno dello stesso. Le due regine contrapposte diventano una sorta di ensemble femminile che ci induce a riflettere su quanto oggi la donna possa essere se stessa, al di fuori da abusati stereotipi, o nel trovarsi talvolta costretta a rinunciare alla sua femminilità.” La sua regia, supportata dalla scorrevole traduzione in endecasillabi liberi di Carlo Sciaccaluga, trasforma la tragedia romantica in un’opera musicale non priva di qualche eccesso che sembra ammiccare al grand guignol. Determinante (spesso incombente) è infatti la colonna sonora di Mario Conte e di Giua che canta e suona dal vivo. I rutilanti e bellissimi costumi d’epoca delle regine portano la firma di Dolce & Gabbana mentre tutti gli altri di foggia contemporanea sono opera di Anna
Missaglia; scene sontuose con scalinata al centro di Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi e disegno luci di Aldo Mantovani. Due primedonne del nostro teatro, Elisabetta Pozzi e Laura Marinoni ogni sera si scambiano i ruoli, decisi da una piuma lasciata cadere dall’alto da un angelo. Noi abbiamo visto Pozzi nei panni di Elisabetta e Marinoni in quelli di Maria: a nostro parere la distribuzione ideale. Altera, fredda ma nell’intimo tormentata dai sensi di colpa la prima, vibrante, appassionata e disarmante la seconda: entrambe splendide in una performance che rimarrà nella memoria al pari di quella con Rossella Falk e Valentina Cortese dirette da Franco Zeffirelli nel 1983. Alcuni ruoli dei nobili sono stati arditamente affidati ad attrici, a cominciare dalle brave Gaia Aprea, Linda Gennari e Olivia Manescalchi, mentre la componente maschile è ben rappresentata da Giancarlo Judica Cordiglia e Sax Nicosia. Infiniti applausi al teatro Fraschini di Pavia dove Maria Stuarda è stata in cartellone un paio di settimane fa e sicura ripresa della tournée nella prossima stagione.
a cura di Mario Cervio Gualersi