Articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 14 del 21 ottobre 2023,
di Giuliano Castagneto
Ultimamente i gestori di fondi private equity stanno incontrando difficoltà nel raccogliere nuovi fondi. Stando ai più recenti dati dell’AIFI elaborati in collaborazione con PwC (si vedano qui srticolo di BeBeez e qui la presentazione), la raccolta nel primo semestre del 2023 è stata di poco inferiore a 2 miliardi di euro. E se è vero che il dato è in aumento del 16% rispetto allo stesso periodo del 2022, se si considera solo la raccolta indipendente sul mercato (escludendo quindi quella di emanazione pubblica e in particolare i capitali che arrivano da CDP), si sarebbe invece registrato un calo del 32% a 1,07 miliardi, di cui le fonti principali sono risultate investitori individuali e family office, con ben il 24% del totale, mentre gli investitori istituzionali hanno latitato.
Un fatto questo che è conseguenza del calo generalizzato dei prezzi delle azioni e dei bond sui mercati quotati, a sua volta innescato dall’ampio e repentino aumento dei tassi di interesse. Il crollo dei prezzi di azioni e bond quotati ha infatti comportato in parallelo un aumento del peso relativo degli investimenti in private capital nei portafogli degli investitori istituzionali come fondazioni, fondi pensione, casse professionali o assicurazioni, tradizionalmente forti sottoscrittori di fondi di private capital che quindi ora stanno riducendo le nuove sottoscrizioni per restare coerenti con i loro obiettivi di asset allocation (come già evidenziato in un altro articolo di BeBeez Magazine N°11 del 22 luglio).
Questo fenomeno è per sfortunamente coinciso con un momento in cui gli stessi operatori di private equity hanno molta “fame” di nuova liquidità, perché negli ultimi anni hanno disinvestito in maniera significativa e in molti sono pronti al lancio di nuovi fondi. La situazione è ben evidenziata da BeBeez Private Data, il database di BeBeez che mappa le aziende partecipate o finanziate da investitori di private equity, venture capital e private debt, con il supporto di FSI sgr.
Se infatti si analizzano le operazioni di investimento (dirette o di add-on) e di disinvestimento condotte da operatori private equity nei sette anni compresi tra il 2017 e il 2023, si evidenzia una sensibile accelerazione dell’attività complessiva, in termini di numero di operazioni, a partire dal 2021. Accelerazione che è ancora più evidente nelle exit, probabilmente perché il blocco di tante attività economiche nel periodo della pandemia, e i conseguenti problemi non tanto di liquidità, ma soprattutto di valutazione, ha indotto molti investitori a rinviare le decisioni di investimento (e disinvestimento) agli anni successivi, cosa puntualmente riflessa nel grafico in pagina.
Il sensibile aumento delle operazioni in uscita può anche essere conseguenza di una certa necessità degli stessi gestori di accelerare lo smobilizzo dei capitali già investiti, avvicinandosi il termine della vita dei rispettivi fondi. Il secondo grafico illustra infatti l’andamento della permanenza media in portafoglio delle aziende uscite dai portafogli in ciascun anno, che nel 2021 ha toccato il picco arrivando a sfiorare i 6 anni, contro i poco più di tre anni e mezzo del 2019. E nel 2022 e 2023 il tempo di permanenza medio non è stato molto inferiore, di poco superiore ai cinque anni, per cui è prevedibile che l’andamento delle exit si mantenga ai livelli dell’ultimo biennio anche nel 2024, con un ulteriore contributo che potrebbe arrivare dalle ipo, dovessero i mercati borsistici stabilizzarsi.
E’ bene tuttavia ricordare che i proventi delle exit vengono via via restituiti agli investitori nei fondi che avevano investito, quindi non vanno a ricostituire la liquidità disponibile per nuovi investimenti. Quest’ultima nel frattempo è già stata utilizzata abbondantemente a causa dell’impennata degli investimenti nel triennio 2021-23, anche se il caro tassi ha posto un freno ai megadeal spesso in gran parte finanziati da grandi emissioni di bond.
Ne consegue che proprio ora sarebbe quanto mai importante per gli operatori del private equity riuscire a raccogliere nuova liquidità, compito reso tuttavia più difficile, come accennato in apertura, dalla complessa situazione dei mercati quotati.