Il titolo TIM ha chiuso ieri la sessione di borsa con un +4,18% a quota 22,42 centesimi, sulle voci di una possibile sigla a breve del deal su Sparkle, la società proprietaria della rete di oltre 600mila chilometri di cavi sottomarini in fibra ottica che vanno dal Medio Oriente alle Americhe passando per l’Europa. Ma certo, nel rialzo delle quotazioni potrebbe aver giocato un ruolo anche la caccia alle azioni in vista della presentazione delle liste per l’assemblea TIM del 23 aprile: la scadenza è la mezzanotte di venerdì 29 marzo.
In ogni caso, tornando a Sparkle, si dice che l’accordo potrebbe arrivare prima dell’assemblea. Secondo quanto riferisce oggi Il Sole 24 Ore, il Ministero dell’Economia e delle Finanze starebbe discutendo pin questi giorni per formulare un’offerta congiunta su Sparkle con il fondo di private equity spagnolo Asterion Industrial Partners, che, a valle di un’opa conclusasi a inizio ottobre 2021 (si veda qui altro articolo di BeBeez), già controlla Retelit spa, il più grande player in Italia nelle telecomunicazioni focalizzato sul mercato B2B, che lo scorso dicembre ha a sua volta annunciato l’acquisizione del 100% di BT Enìa Telecomunicazioni spa, uno dei principali operatori ICT locali (si veda altro articolo di BeBeez). Ricordiamo che il fondo Asterion controlla Retelit attraverso Marbles spa, la stessa holding con la quale il fondo ha acquisito anche Irideos, altro ICT italiano leader nel cloud e nelle infrastrutture di data center e fibra ottica, (si veda altro articolo di BeBeez). Roberta Neri, presidente di Retelit e operating partner di Asterion (ex ad di ENAV), e Federico Protto, amministratore delegato di Retelit, hanno assunto rispettivamente il ruolo di presidente e ad di Irideos. In Marbles è socio con una quota di minoranza anche il fondo europeo Marguerite.
Tornando a Sparkle, ricordiamo che Il MEF, guidato da Giancarlo Giorgetti, a inizio febbraio aveva presentato a TIM un’offerta per l’acquisto del 100% di Sparkle, considerata strategica ai fini della sicurezza nazionale e per tale motivo protetta dal Governo con il golden power (si veda altro articolo di BeBeez). La proposta era arrivata al termine del periodo di esclusiva concesso al fondo statunitense KKR che a quel punto si era tirato indietro, per concentrarsi soltanto sul deal NetCo, società a cui sarà trasferita la rete fissa di TIM entro l’estate (si veda altro articolo di BeBeez). ll Consiglio di amministrazione di TIM, però, aveva rimandato al mittente l’offerta ricevuta dal MEF (si veda altro articolo di BeBeez) e aveva dato “mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, di negoziare con il MEF una diversa opzione, con possibili adeguamenti delle condizioni contrattuali, nell’assunto che TIM mantenga una partecipazione nella società per un determinato arco temporale e supporti la realizzazione del piano strategico”.
Sulla struttura e sull’entità dell’offerta sono circolate varie ipotesi nelle ultime settimane. Si era parlato di una cessione del 100% di Sparkle, mentre più di recente si è ipotizzato che TIM possa rimanere con una quota di minoranza nell’operatore internazionale e ottenere una valorizzazione più alta. Secondo indiscrezioni il MEF avrebbe valorizzato Sparkle 750 milioni di euro, tanto quanto aveva fatto KKR, ma TIM ha per Sparkle una valutazione a bilancio di 850 milioni. Lo scorso anno si parlava di una richiesta di un miliardo di euro.
Quanto al deal sulla NetCo, al momento si trova in fase di prenotifica presso l’Authority Antitrust UE che, lo ricordiamo, presterà soprattutto attenzione al tema Openfiber, operatore di fibra controllato al 60% da CDP Equity (e quindi in ultima istanza dallo stesso MEF) e al 40% da Macquarie. Non a caso già la scorsa estate erano circolate voci circa un possibile spacchettamento di Open Fiber, con l’acquisizione delle aree nere, quelle di maggior valore (più densamente popolate), da parte di Macquarie mentre dovevano restare in capo a CDP le aree bianche e grigie. Le prime sono quelle in cui non è previsto che nel giro di un triennio ci sia più di un operatore di rete, le seconde sono quelle in cui non è presente alcun operatore e nessuno è interessato a investire (si veda altro articolo di BeBeez).
Cosa sarà di Openfiber è particolarmente importante per il deal NetCo anche per il fatto che la gran parte dell’earn-out previsto dall’accordo con KKR deriverà dall’eventuale realizzazione del progetto di rete unica (si veda altro articolo di BeBeez). Al momento della sigla dell’accordo lo scorso novembre, era stato infatti precisato che il pagamento di eventuali earn-out a favore di TIM fosse “legato al verificarsi di eventi futuri quali, in particolare il completamento, durante i 30 mesi successivi alla data del closing, di alcune potenziali operazioni di consolidamento che riguardino NetCo e all’eventuale introduzione di modifiche regolamentari idonee a generare benefici a favore di NetCo, che potrebbero comportare il pagamento a favore di TIM di un importo massimo di 2,5 miliardi di euro”. Nel complesso, l’offerta vincolante di KKR valorizza NetCo (esclusa Sparkle) a un enterprise value di 18,8 miliardi di euro, senza considerare eventuali incrementi derivanti dal potenziale trasferimento di parte del debito a NetCo e appunto da earn-out legati al verificarsi di determinate condizioni che potrebbero aumentare il valore sino a 22 miliardi di euro.
Open Fiber sta nel frattempo passando un momento di tensione finanziaria non indifferente. Secondo quanto riferito da Il Messaggero nei giorni scorsi, banche infatti, nelle scorse settimane hanno bloccato l’erogazione dell’ultima tranche da 1,2 miliardi di euro del pacchetto di finanziamenti da complessivi 7,2 miliardi che il gruppo si era assicurato nel 2021 insieme a un’ulteriore linea di credito da 2,8 miliardi per supportare il piano industriale 2022-2031 che prevede 11 miliardi di euro di investimenti (si veda altro articolo di BeBeez). La società era stata finanziata alla fine del 2022 anche dall’Infrastructure Debt Fund 1, il primo fondo di debito infrastrutturale di F2i sgr (si veda altro articolo di BeBeez), che si era unito al pool di finanziatori già attivi al fianco del gruppo: Banco BPM, BNP Paribas, Crédit Agricole, ING, Intesa Sanpaolo, Santander, Société Générale e Unicredit.
Secondo Il Messaggero le banche avevano bloccato il finanziamento perché Open Fiber aveva violato le conditions precedents, cioè vincoli contrattuali che fissano i paletti per tirare la liquidità. Ieri, però, nel corso di un summit di emergenza avvenuto a Milano presso la sede di Lazard, advisor di Open Fiber, le banche, alla presenza degli azionisti di OF e del loro advisor Evercore, avrebbero dato disponibilità condizionata a scongelare 880 milioni di linea. Una delle condizioni è che gli azionisti CDP e Macquarie sottoscrivano un aumento di capitale da 375 milioni di euro, cosa che sarebbero pronti a fare. L’altra condizione emersa ieri, sarebbe il rilascio della garanzia SACE Archimede sul 70% del valore delle linee, in modo da alleggerire il rischio delle banche.
Ricordiamo che soltanto lo scorso gennaio Open Fiber aveva chiuso una delle più grandi operazioni fidejussorie mai realizzate nell’ambito delle anticipazioni dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (si veda altro articolo di BeBeez). La società ha infatti ottenuto una linea di credito per l’emissione di garanzie fidejussorie a sostegno dell’anticipo del 30% dei fondi del PNRR. pari a circa 550 milioni di euro, relativi al bando pubblico del piano Italia a 1 Giga