Con la sua arte non compiacente Claudio Parmiggiani è di scena fino al 29 ottobre alla Galleria fiorentina Poggiali con la personale A cuore aperto, mostra a cura di Sergio Risaliti che firmerà anche il catalogo (in preparazione). Artista nato a Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, classe 1943, riconosciuto come uno tra i maggiori protagonisti dell’arte contemporanea internazionale, dopo la prima personale in un museo americano al Frist Art Museum di Nashville, presenta un gruppo di sue opere in un progetto appositamente concepito alla Galleria Poggiali di Firenze, inaugurata venerdì 24 maggio 2019, per quella che è la sua prima vera personale nella città. Undici opere installate nei due spazi di via della Scala e di via Benedetta, a due passi da Santa Maria Novella, la maggior parte delle quali realizzate per questa mostra, unitamente a lavori meno recenti, a parte “La campana” e “L’ancora”, di grande impatto. La riflessione è sull’assenza, sul vuoto, sul cammino verso il nulla, attraverso la combustione e la cenere, un’arte di rottura, eppure di grande pacatezza stilistica: metafisica.
Gli ambienti della Galleria sono molto ben studiati per la fruizione di opere contemporanee dal forte impatto e Lorenzo Poggiali ci ha raccontato che, come in questo caso, gli spazi sono rimodulati ad hoc, un impegno notevole anche in termini economici che è anche all’origine della lunga durata dell’esposizione. Gli spazi sono essenziali, minimali ma non freddi con sfumature di grigio che non diventano colore: nulla di troppo artefatto, come una scenografia per uno spettacolo, né di neutrale.
La personalità è nell’essenzialità come del resto l’arte di Parmiggiani, artista e scrittore, del quale è in mostra un libro, rieditato dalla casa editrice fiorentina Le Lettere, Una fede in niente ma totale, che racconta il suo pensiero sull’arte. Non si tratta di un saggio, ma di pensieri e poesie, una miscellanea in a cura di Andrea Cortellessa (critico letterario e storico della letteratura italiano, professore associato presso il DAMS dell’Università degli Studi Roma) con la prefazione di Jean-Luc Nancy. L’arte di Parmiggiani è parimenti materiale, tanto che inserisce oggetti preesistenti nelle sue opere, quanto spirituale, in un anelito che non si sa se sale alla trascendenza o scivoli nel nulla.
Il nostro viaggio comincia da un cuore fuso in ghisa serrato da due tubi in acciaio poggiati sulla Commedia di Dante, all’ingresso per continuare con un lavoro che è stato riproposto in una nuova versione, una mano con una combustione al centro. Di fronte un calco in cera di una statua antica con una lampada a petrolio, oggetto recuperato come altri in mostra, in un gioco di contrasto e dialogo di una statua non finita o forse già sciolta dall’ipotetico calore della fiamma. Si prosegue con uno strumento musicale come l’arpa con le farfalle, anch’essa strumento reale, recuperato, e ‘antico’, un accostamento quasi pop eppure di grande ariosità, nel rimando al volo leggero e fragile della farfalla e al suono raffinato dell’arpa. Una delle due opere non create per la mostra ma ancora non esposta in uno spazio privato occupa una sala dalle luci soffuse e dal tono livido: è una campana di bronzo del ‘600-‘700, appesa come un impiccato, legata per il batacchio preposto al suono. Una campana castrata come Giordano Bruno che quando fu portato a Campo dei Fiori per essere bruciato vivo nel 1600, fu legato per la lingua, in modo simbolico. Nella sala successiva, mentre la luce torna alta, un calco di gesso, la testa di un gladiatore borghese che riposa su un libro accanto a una sveglia, realmente funzionante. L’orecchio è teso verso di essa e, simbolicamente, verso lo scorrere del tempo. Si tratta di un lavoro ripreso da un’opera che aveva lo stesso motivo.
L’ultima sala presenta immagini realizzate con la tecnica del fumo e fuliggine, tra le quali una clessidra, una biblioteca di cenere e l’impronta di un quadro rimosso dalla parete. Immagini in bianco e grigio preparate addossando alla tela gli oggetti quindi provocando fumo al quale restano esposti due giorni. Ne segue l’estrazione e la rifinitura da parte dell’artista che determina l’opera finita. Si tratta di un procedimento del tutto personale iniziato a partire dal 1970, quando Parmiggiani presenta nella Galleria civica di Modena una serie di opere create con il depositarsi della fuliggine tra la superficie del muro e l’oggetto stesso.
Nella sede adiacente della galleria, negli spazi di via Benedetta, un grande ambiente unico, nel quale si è provveduto alla tamponatura della stanza attigua, sul cui fondo si staglia un’Ancora, esposta prima solo alla Biennale di Venezia del 2015. Un’opera di forte impatto emozionale, grande in termini di dimensioni, che provoca una rottura fisica, facendo un buco nel muro e un tappeto di vetri infranti a terra. E’ un’ancora, ci ha spiegato Lorenzo Poggiali, lontana dall’idea di solidità e punto di riferimento, di ancoraggio appunto, che evoca al contrario un dardo scagliato e i suoi effetti, perché “l’arte per Poggiali non dev’essere mai compiacente”, né rassicurante.
Per questo artista “un’opera dev’essere come un pugno nello stomaco. Silenziosa ma dura, dura ma silenziosa, come un fuoco sotto la cenere”.
A cura di Giada Luni