Dopo il grande successo della mostra Un artista chiamato Banksy, Palazzo dei Diamanti di Ferrara celebra, con una retrospettiva antologica, la vicenda umana e creativa di Antonio Ligabue, una vita da romanzo: Antonio Ligabue. Una vita d’artista in programma fino al 5 aprile 2021, attualmente chiusa al pubblico; curata da Vittorio Sgarbi (Presidente della Fondazione Ferrara Arte), insieme a Marzio Dall’Acqua con la supervisione del presidente della Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma, Augusto Agosta Tota. La mostra, dedicata a Franco Maria Ricci, recentemente scomparso, intellettuale di straordinaria sensibilità e intelligenza, editore colto e raffinato, grande collezionista d’arte e bibliofilo, contribuendo, tra l’altro, a promuovere e far conoscere l’arte di Ligabue, al secolo Laccabue, è accompagnata da un catalogo, edito dalla Fondazione Ferrara Arte, illustrato che racconta la vita e l’opera dell’artista, un’esistenza dominata da povertà, solitudine, emarginazione, riscattata da uno sconfinato amore per la pittura. Nato nel 1899 a Zurigo, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, viene espulso dalla Svizzera e giunge nel 1919 a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, patria del padre adottivo. Nella cittadina della Bassa padana la sua vita resta durissima, segnata da ostilità, incomprensioni e ricoveri negli ospedali psichiatrici. Nel 1928 incontra l’artista Renato Marino Mazzacurati, che, riconoscendo il suo naturale talento, lo aiuta materialmente e lo incoraggia a praticare il mestiere.
Geniale e visionario, “Toni al mat” – il matto, così veniva chiamato – trova nella pratica artistica quel “luogo sicuro” che non ha mai avuto, uno spazio, fisico e mentale, per trasformare le difficoltà in opportunità e per dar voce ai suoi pensieri. Lo sottolinea Vittorio Sgarbi secondo il quale «È l’arte, come era avvenuto per Van Gogh, a concedere il riscatto di una condizione che lo spietato pragmatismo della società borghese continuava a ritenere una malattia da rigettare in toto».
La consacrazione del pittore a livello nazionale arriverà nel 1961 quando, grazie a Mazzacurati e a Giancarlo Vigorelli, ha la possibilità di esporre alcuni suoi dipinti alla Galleria La Barcaccia di Roma. Dopo questa personale, susciterà sempre più l’ammirazione di collezionisti, critici e storici dell’arte, entrando nel novero dei grandi artisti italiani del Novecento.
La retrospettiva di Palazzo dei Diamanti – organizzata Fondazione Ferrara Arte, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea e Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma – documenta l’intera carriera di Ligabue e offre la l’opportunità di (ri)scoprire tratti e colori di un artista che resiste a etichette e a categorie troppo rigide per esprimere, come pochi, la forza naturale e istintiva del suo furore creativo.
Il suo fantastico e coinvolgente vocabolario figurativo si svela attraverso 100 opere, tra dipinti, sculture e disegni, alcune mai esposte sinora: dai celebri e intensi autoritratti, in cui Ligabue annota i tratti essenziali della propria personalità, alle scene ambientate in Svizzera, nostalgiche memorie dell’infanzia; dai ritratti alle nature morte, dai paesaggi agresti, alle scene di caccia e alle tormente di neve; dagli animali domestici del primo periodo, alle tigri dalle fauci spalancate, i leoni mostruosi, i serpenti, i rapaci che ghermiscono la preda o lottano per la sopravvivenza: una vera e propria giungla che l’artista immagina con allucinata fantasia fra i boschi del Po. Come sottolineava nel 1961 Giancarlo Vigorelli, la vita dell’artista «non può non sorprendere, non sgomentare e non convincere con lo spettacolo sbalorditivo di questa sua tenebrosa violenza e magica perizia di pittore che sa darci in un unico impasto l’ordine e il disordine dell’uomo e del creato».
Abbiamo raggiunto al telefono il presidente della Fondazione Ligabue, Augusto Agosta Tota, al quale abbiamo chiesto com’è nata l’idea di questa personale?
“Sappiamo che Palazzo dei Diamanti, una delle strutture più importanti in Italia per l’arte moderna e contemporanea, è un punto di arrivo per un artista che viene così consacrato e quindi abbiamo accettato con grande piacere l’invito, non senza qualche difficoltà avendo in piedi un’altra mostra a Parma. Il carattere dell’esposizione ferrarese è diversa, con un taglio storico dagli inizi, nel 1929, fino all’ultima opera dell’artista, del 1962. E’ una grande mostra con 87 quadri a olio, 20 sculture e 10 disegni, completa, risultato di una lunga ricerca per avere dei prestiti dalle collezioni private.”
Una mostra dedicata ad Antonio Ligabue, si legge nel Catalogo, è un inno all’Emilia. In che senso?
E’ nella regione che nasce la sua arte, in un capanno sulle rive del Po dove viveva allo stato brado e dove inizia a lavorare l’argilla, nota come tivèr nel dialetto emiliano. Sulla sua vita ci sono tanti, forse troppi aneddoti, ma io che l’ho conosciuto posso dire che ho cominciato la commercializzazione delle sue opere nel 1953 per una decina di anni, fino poi alla costituzione del Centro Studi Antonio Ligabue a Parma, nel 1970, divenuto nel 1983 Fondazione Antonio Ligabue.
Le origini della sua arte sono quindi con la scultura, anche se il lato meno conosciuto?
“Purtroppo all’inizio fu molto difficile perché non era ben visto nelle fornaci dove portava a cuocere i manufatti – non aveva di che pagare e le sue sculture allora non avevano valore – e molti sono andati distrutti perché erano rimasti crudi e l’alluvione del 1952 li sciolse. Fu nel tempo, quando Ligabue assunse una certa notorietà che le fonderie d’arte decisero la fusione in bronzo dal calco in argilla.
Qual è il ruolo dell’autoritratto per questo artista?
Unico direi visto che il 12% della sua produzione, 120 opere su 1000 – sono autoritratti che diventano una sorta di diario quotidiano sui propri stati d’animo, un modo per guardarsi allo specchio, per sentirsi.
La pittura è rifugio e salvezza per l’artista e cosa trasmette: racconto o anche denuncia? Ad esempio che posto occupa la morte?
La sua pittura non ha scuola alle spalle e non lascia eredi; inizia con il colore sulla tavola prima che con il disegno ed è un racconto e anche il modo per essere riconosciuto, con il successo poi, finalmente rispettato. Ligabue aveva un amore smodato per gli animali, dei quali conosce perfettamente l’autonomia senza aver studiato, evidentemente per una sua genialità e sensibilità. Non è così interessato agli uomini, anche se poi ebbe un proprio riscatto dal successo economico. Si comprò così nove moto Guzzi 500 tutte uguali e due auto con autista, il suo modo per dimostrare di valere. A livello pittorico c’è una vitalità molto forte nei suoi quadri attraversata dalla morte. E’ semplicemente il ciclo della vita che intreccia le due componenti, con il ritratto di aggressioni a discapito del più debole.
Ritengo che in modo semplificativo sia stato spesso definito un pittore naïf. Qual è il suo parere?
La critica lo ha considerato poco e anche capito poco e ha frainteso la sua pittura che è tutt’altro che naïf nel senso decorativo. Ligabue è un autentico espressionista, non però etichettabile né attribuibile a una scuola come del resto succede ai grandi. La sua originalità è piena e forse per questo altri non sono riusciti ad ispirarsi alla sua arte.
Ci sono delle opere mai esposte prima, una bella soddisfazione.
In particolare ci sono due quadri della prima maniera, del 1929, e la difficoltà è il reperimento delle opere che abbiamo già catalogato quasi in via completa perché non sempre chi le possiede le presta volentieri per una mostra.
Che tipo di conoscenza e di interesse ha il pubblico per Ligabue?
E’ un pittore che piace a tutti e le sue mostre sono visitate spesso dalla famiglia al completo perché si tratta di un artista che parla a generazioni diverse in modo personalizzato e che è comprensibile a livelli differenti.
Da quale scelta è stato guidato l’allestimento?
La mostra occupa l’ala destra del Palazzo e le grandi sale presentano pareti nere dove l’unica luce è quella dell’illuminazione dei quadri che diventa una metafora: dalla condizione di buio interiore, di isolamento e smarrimento si trova la luce attraverso l’arte.
Qual è il senso della dedica della mostra a Franco Maria Ricci?
Un grande editore con una fine sensibilità artistica al quale ero legato da amicizia sincera, fin da quando è venuto a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia nel 1967, e con il quale ho portato avanti una collaborazione negli anni, occupandomi per lui di arte popolare e naïve e realizzando monografie su Ligabue.
a cura di Ilaria Guidantoni