Dovrei dirti, semmai, che è giusto lottare. È questo che insegna un padre. Ma cos’è che c’è prima, cosa è la causa di tutto questo rifrullo d’anime sperse, di uccelli migratori e migranti, d’uomini d’ombra e luci fioche che s’accendono, svanendo, come fari notturni di un freddo Natale? Già, è fine Dicembre, e anche noi ci ritroviamo come viandanti nei vaporosi respiri che hanno visto troppe feste e pochi festeggiati, ma che importa ricordare l’ipocrisia quando è stata ricordata pure dagli ipocriti? Non c’è finzione, ormai, che non sia dichiarata, Teresa, annunciata e scusata. Sì, non è rimasto di cristiano che un pugno di cani randagi. Dovrei dunque dirti di lottare per cosa? Per cosa sto lottando io, da trent’anni? Vedo luci intermittenti, serrande socchiuse che fanno un sorriso (hanno battuto anche oggi i loro scontrini, anche oggi il pasto è servito), vedo disquisire di cose che non posso ascoltare, hanno detto qualcosa dai piani alti sembrerebbe, quaggiù non si fa altro che mormorare: non si urla, di cosa si dovrebbe urlare? E né ci s’indigna, perché la vergogna ha pur sempre un pudore, e ognuno sa, dentro di sé, di aver ben pochi motivi per scagliare una pietra. L’ho detto, Teresa, che ormai anche l’ipocrisia annuncia se stessa. Ma non sono più un semplice uomo, e devo dirti qualcosa. Non posso restare in silenzio, non posso; non si può tacere in silenzio, bisogna almeno che si taccia gridando. È questo il senso profondo, è questa l’ultima sconfitta dell’essere padri? Il silenzio di Dio, dopo tutto, non è la stessa identica cosa? E cosa siamo noi, per voi, se non una specie di dèi destinati a deludervi prima degli altri, Teresa? E allora, se è il disinganno che ti attende, dovrei forse io, apolide, offrirti una bandiera? Soldati di una legione straniera, è questo che siamo. Qual è il monarca da difendere e qual è, Teresa, il nostro popolo? Io non vedo che gente intermittente da secoli, da millenni. Arriva con il solito pretesto, se ne va con la solita scusa. È forse cambiato l’uomo, non dico nella sua misera vita, ma nella gloriosa esistenza del suo regno, nelle decadi secolari della sua presenza nel mondo? Ecco per cosa lotterai, Teresa: per un’identità immutabile e marcia. Ma dovrò pur farti sognare, finché non sarai in grado di comprendere l’intimità delle mie parole, dovrò anch’io illuderti, ingannarti come il Dio che mi credi. Lotta per la società, lotta per gli altri, lotta per la giustizia, Teresa. Non spetta a me decidere per te, non spetta a me svelarti se ci credo o meno in tutto questo, se sono un vero cristiano o se lo sono troppo. Imparerai che è facile, nell’estremismo di un’idea, cadere e fallire: la vita, l’intera vita, si fonda sul compromesso. Tu stessa, Teresa, sei un compromesso tra due semi, tra due anime, tra due idee. Non spetta a me accettarlo per te. Io posso solo educartici, posso solo dolcemente illuderti del meglio. È questo, dicevo, il ruolo di un padre. Forse, la chiave della stessa verità. È che mi sembra di mentirti, preferirei confessarti il mio smarrimento, la mia assenza di direzione, la sconfitta che mi attanaglia. Ma che importa? Anche scrivere, dopo tutto, è una grande bugia. Ogni menzogna che ha in seno l’amore reca in sé un grande potere. È questo il mio punto d’arrivo, la mia precaria condizione, la mia attuale meta intermedia. La bellezza, Teresa, sta in un’impressione, come un sorriso di Gioconda. In un tocco sfumato.
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Bernardo Giusti, nato a Firenze nel 1990, giovane speranza tra i romanzieri italiani ha pubblicato recentemente “Bivium” Edizioni Masso delle Fate. Teresa è nata da poco e Bernardo Giusti ha scelto Bebeez, nelle scorse settimane per condividere l’attesa per la prossima venuta, e adesso la gioia della presenza fisica.