Con la mostra Giorgio Morandi. Il tempo sospeso, la Galleria Mattia De Luca di Roma prosegue il percorso di esposizioni dedicate ai grandi maestri del Novecento italiano e internazionale. La mostra – a cura di Marilena Pasquali, Fondatrice e direttrice del Centro Studi Giorgio Morandi di Bologna – e realizzata in collaborazione con il Centro Studi Morandi si articola in due tappe, rispettivamente fino al 2 luglio nella sede di Roma l’esposizione dagli anni Venti ai primi anni Sessanta e in autunno a New York un’antologia ancora più ampia con molti lavori su carta.
Un’iniziativa singolare come ci ha raccontato Jodie Petrosino, la Gallery Manager della Galleria Mattia De Luca, il cui titolare è cresciuto in mezzo alle opere di Morandi essendone i genitori collezionisti. L’idea della mostra gli è nata per l’idea di sospensione presente nell’opera dell’artista bolognese che incontra il tempo sospeso della pandemia. L’incontro poi con Marilena Pasquali è stata l’occasione giusta per un’iniziativa che ha visto l’incontro di collezionisti privati, di fondazioni pubbliche e private e di musei, dando luogo a un’esposizione di 42 opere tutte italiane ad eccezione di una Natura morta del 1927 proveniente dal Museo Siegen. Il lavoro dietro le quinte è stato importante per ottenere prestiti molto lunghi dallo stesso Mambo di Bologna sede del Centro Morandi. Interessante che in una Galleria privata e commerciale solo una minima parte delle opere sia in vendita e la priorità sia la voglia di realizzare un racconto unico e corposo con la disponibilità per il pubblico di usufruire gratuitamente di visite guidate da storici dell’arte, rispettivamente Massimo Belli, Marco Zindato e Ilaria Benci.
L’idea dell’allestimento è studiata per coppie di opere legate allo stesso anno o allo stesso periodo e quindi a soggetti simili anche per lo stile. Morandi fu influenzato dal Futurismo nel 1914, dalla Metafisica nel 1918 quindi da Valori plastici nel 1920 pur rielaborando le suggestioni in una chiave personale a seconda del tavolino allestito. Così nella prima sala due lavori del 1954 con un soggetto quasi identico e una scatolina giallo ocra tipica dei lavori di questi anni. Due opere con i colori dell’arancio e del blu tipici degli anni Quaranta mostrano un Morandi dalle tinte decise che poi si schiariranno. E ancora due lavori del 1921 e del 1929 mostrano un sapore astratto che risente dell’influenza di Valori plastici e dell’astrazione. Un Morandi candido sceglie un effetto trasognato che sfiora la Metafisica senza assumerne però i toni cupi che caratterizzano ad esempio la pittura di Giorgio De Chirico. Un’opera del 1952 mostra un campionario che cambia anche se fondamentalmente resta uguale come la brocca rossa che è già presente in un’opera del 1927 esposta nella seconda sala dove si apre un’antologia dei soggetti, pochi, ritratti dall’artista, dalle nature morte con le famose bottiglie, ai fiori fino ai paesaggi. Questi ultimi talora sono vedute da lontano quasi in un impianto che ricorda il Vedutismo veneziano oppure in altre opere un campo ristretto, come gli scorci dal suo studio. D’altronde Morandi non fu un viaggiatore: dal 1899 al 1960 fu sempre nella casa studio di Bologna e poi gli ultimi anni in una tenuta fatta costruire ad hoc nel borgo di Grizzana, poi ribattezzato Grizzana Morandi. Personaggio solitario ma non isolato, si è fatto nutrito delle ‘avanguardie’ rappresentate in particolare da Gauguin, Derrain e Picasso e dai grandi maestri del passato, segnatamente, Masaccio, Piero Della Francesca e Paolo Uccello. La pittura di paesaggio morandiana risente della scuola francese, ha di quel tratto smussato in particolare che mutua da Cézanne del quale forse tra i primi intuisce la novità è stata di quella che sarà la “pennallata isioncratica” dove ogni segno ha un senso, un valore autonomo. Accanto ai paesaggi i fiori, 6 opere in tutto, presentate come un ensemble quasi un horror vacui, dove si mostra l’evoluzione del suo stile che mano a mano che evolve fa sì che i fiori siano sempre meno fiori, lontani dalla mimesi, ricordando così le 67 prove di Monet per la Cattedrale di Rouen.
La mostra continua in una sala più raccolta dove sono esposte opere degli ultimi anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta, fino al 1963, un anno prima della morte quando è già malato. Qui l’impianto è quasi astratto e il segno nervoso; fanno ad esempio la comparsa i neri come in un quadro del 1963 dove davanti a un’unica bottiglia una coppetta rovesciata forma una sorta di croce, probabilmente non casualmente. In questo spazio sono esposti degli acquarelli ai quali l’artista dà valore anche se si tratta di una tecnica meno apprezzata dell’olio così come accade per le opere su carta. D’altronde Morandi, autodidatta nell’incisione, sarà docente della materia per 26 anni all’Accademia di Bologna. Al piano inferiore della Galleria sorprendenti le opere su carta di grande potenza, nelle quali il nero con le sue sfumature riesce ad essere emozionante e a restituire il senso della luce e del colore. Così ad esempio nell’opera Pane e limone, del 1921, natura morta di piccolissimo formato, che l’artista non riteneva degna di una terza prova di stampa, fu miracolosamente salvata ed ora esposta. Nei disegni Morandi esprime una grande potenza espressiva. La sua notorietà è già evidente nel 1939 quando espone alla Quadriennale di Roma dove il secondo posto appare la punizione per i contrasti con il Regime, mentre vincerà Bruno Saetti. Morandi si prenderà la rivincita alla Quadriennale del 1957 e poi l’anno seguente a Sao Paulo del Brasile dove si aggiudica il Premio per la pittura.
Completa la mostra una piccola esposizione di documenti che mostrano quanto Morandi pur solitario non sia stato isolato viste le lettere e le richieste di opere da parte di nomi internazionali come Oskar Kokochka e Igor Stravinskij.
A corredo dell’esposizione un catalogo con saggi della curatrice e di altri studiosi, letterati e artisti che raccoglierà le immagini di entrambe le mostre, inediti documenti di archivio e le testimonianze sulla vita e l’opera di Giorgio Morandi studiati e analizzati appositamente per questo progetto.
L’appuntamento con Morandi è anche l’occasione di vedere un Palazzo storico di Roma, Albertini Spinola, il cui cantiere è stato avviato a fine Cinquecento dall’architetto Claudio Della Porta e poi completato solo nel Settecento anche se l’impianto resta seicentesco. Una curiosità, la sede della Galleria è stata lo studio di Mario Schifano prima che questi si trasferisce in via delle Mantellate.
a cura di Ilaria Guidantoni