L’eterna musa – L’universo femminile tra ‘800 e’ 900 al Centro Matteucci per l’arte Moderna a Viareggio (Lu), inaugura al pubblico oggi 2 giugno, fino al novembre prossimo, una mostra tematica, singolare per la fondazione sull’evoluzione dell’iconografia femminile nell’arte dall’Ottocento agli anni Cinquanta del Novecento. Sono donne normali, non più madonne e dame o dive che ci raccontano l’evoluzione della società dal ritratto di Francesco Hayez nel 1829 al nudo di Felice Casorati del 1953. Una scelta di continuità nello spirito della Fondazione e insieme una novità: non una mostra monografica su un autore, un collezionista o un preciso periodo storico, una corrente ma un’antologia su un tema ampio. Nella filosofia del Centro Matteucci però la scelta della provenienza delle 40 opere, da collezioni private, sempre con una ricerca attenta per offrire un alto livello e mostrare qualcosa che non è solitamente pubblico, come nel caso di opere mai esposte prima qual è il caso di Fattori, Lega, Induno, Favretto, Casorati e Ghiglia.
(Francesco Hayez)
Abbiamo chiesto a Giuliano Matteucci, direttore della Fondazione e curatore dell’esposizione insieme a Cristina Acidini e Camilla Testi, studiose che hanno contribuito all’organizzazione e ai testi del catalogo, di raccontarci com’è nata l’idea.
«Abbiamo avuto l’opportunità di attingere a vari nuclei di proprietà private scoprendo quasi per caso che si trattava di figure femminili, un fil rouge che abbiamo quindi raccolto e scelto, cercando di proposito immagini che raccontassero l’evoluzione dell’iconografia femminile.»
(Renato Natali, Donna con pappagalli)
Il percorso si snoda cronologicamente ma non in modo rigorosamente lineare, organizzando il cammino con delle associazioni mentre il catalogo è stato organizzato in modo originale da Cristina Acidini – ex direttore del Polo Museo Speciale di Firenze, studiosa di Rinascimento – con un’analisi psicologica dei ritratti, che in poche occasioni offrono una lettura univoca come ne Le svelate, raccolta di nudi e ne Le popolane, donne umili che indossano costumi tipici. L’ultima parte del catalogo, a cura di Camilla Testi – giornalista e studiosa, appassionata di musica che a Parigi è la referente per gli archivi dei tre italiani in Francia, De Nittis, Boldini e Zandomeneghi – raccoglie dei testi critici dal titolo Qual piuma al vento che commenta un’opera di Giuseppe De Nittis, una di Giovanni Boldini, una di Domenico Induno e una di Niccolò Cannicci, Signora con levriero del 1974, di grande fattura e raffinatezza, ben diversa nel soggetto e nel tratto dal Cannicci che è venuto dopo e che conosciamo.
Merito, non casuale come ha tenuto a precisare Matteucci, di questa mostra è la scelta inusuale delle opere di un autore rispetto al suo stile più riconoscibile. Così in un’esposizione che non guarda all’idealizzazione della donna c’è posto per Boldini, non quello delle nobildonne, piumate e frizzanti, ma per il Ritratto di signora russa, con lo sguardo delicato che volge di lato, timido, dolce e quasi dimesso.
(Virgilio Guidi, Ragazza dalla cintura rossa)
Il catalogo, stampato per conto della Fondazione presso Galli Thierry Stampa, con un fotografico di grande qualità, in copertina mostra Donna dalla cintura rossa di Virgilio Guidi, il pittore delle Venezie, opera manifesto della mostra, del 1934, inserita tra Le imperscrutabili, enigmatica e magnetica con lo sguardo azzurro intenso che naviga in un mare di azzurro stemperato da pennallate che donano trasparenza, dove il vestito, ridotto a tratti essenziali richiama lo sfondo. Ormai la decorazione ha ceduto il posto al rigore, un processo che vede lo stile déco e il liberty cedere il poasso al razionalismo del Bauhaus in architettura. Una figura la cui matericità pare essere il bozzetto per una scultura.
Il nostro viaggio all’interno del catalogo inizia con il Ritratto di Elisabetta Bassi Charlé di Hayez, inserito nel capitolo Una donna decisa, donna di cultura e ben inserita nella società milanese, all’epoca capitale degli Stati austriaci in Italia, vedova dall’abito nero che tiene nelle mani la foto del congiunto, ma sicura di sé non rinuncia a una cuffietta vezzoza di tulle bianco e ad uno scialle rosso.
La seconda tappa è con Le popolane, donne semplici dagli abiti tradizionali, camicie dalle ampie maniche e gioielli in corallo. In particolare fermiamo lo sguardo su Costume umbro di Filadelfo Simi, pittore che poi è stato legato alla Versilia e si è trasferito a Stazzema dove c’è ancora il suo studio: coglie la modella in uno sguardo smarrito, una posa senza grazia di chi non è abituato a ricevere tante attenzioni e a mostrarsi vanitosa.
Una sola sosta per Le affermative con Bice con le rose dello stesso autore, una figura ritratta in un enigmatico sorriso senza schiudere le labbra, con vistose rose appuntate sul petto e una sciarpa sul cappello, estrosità che porta fiera.
Più comprensibile la sessione Le colte dove troviamo ad esempio Sotto la lampada di Giorgio Kienerk, ambiente dalla luce intensa, alla moda francese, con tinte calde e la donna in disparte che legge, dipinto raffinato. Sempre nello stesso capitolo La lettura di Giovanni Battista Crema, pittore lombardo che mostra l’assimilazione della lezione divisionista che nella città ha dato grandi prove, basti pensare ad Angelo Morbelli, Giovanni Segantini, con una visione però più serena e già, come fa notare Matteucci, anticipatore nel volto della donna, un ritratto quasi in movimento, del futurismo di Balla e Boccioni.
Nell’area le imperscrutabili, tra gli altri il dipinto di Giovanni Fattori Ritratto della cognata Carlotta Scali del 1865 circa e un Massimo Campigli con Figura arcaica, dipinto interessante perché realizzato in due fasi successive, quella del 1928 e vent’anni dopo. Si può notare l’assimilazione della lezione picassiana, del quale ha assunto l’influsso nel periodo parigino, con la sua spazialità geometrica quasi scultorea e poi la maturazione del pittore e la sua personalità che emerge senza diventare un ‘imitatore’ del grande autore spagnolo.
Affascinante la sessione dedicata a Le misteriose, donne colte di spalle o di tre quarti come La camicetta bleu del 1918-20 di Oscar Ghiglia, il ritratto di una fanciulla con l’immancabile treccia, quasi una sua firma per questo pittore. Splendido e seducente il dipinto di Renato Natali Donna con pappagalli così come la raffinata Anna Belimbau di Vittorio Corcos nella mostra posto vicino a Lega perché quest’ultimo ha il suo riferimento nel primo e la priorità è stata data a quest’associazione invece che alla vicinanza degli italiani a Parigi.
Tra Le svelate da segnalare due nudi di spalle di grande modernità e raffinatezza di Felice Casorati, rispettivamente Nudo con paesaggio del 1951 e Nudo con tenda rossa del 1952-3.
Un piccolo capitolo è ambientato Con gli animali, tre dipinti legati alle donne nelle loro attività quotidiane come in fanciualla che dà da mangiare a un’anatra di Cristiano Banti e ne La guardiana di tacchini di Federico Zandomeneghi ; oltre al raffinato Ore di ozio. Il micio sulla biancheria di Giacomo Favretto, pittore di istantanee curiose e di scorci minuziosi.
L’ultima sezione è dedicata a Le complici con tre opere molto significative, Les biches (1932) di Moses Levy, pittore considerato livornese ma nato a Tunisi, seducente e ambiguo in questo abbraccio femminile con donne che diventano quasi sirene; Signore che giocano a biliardo (1880-1882), gioco tipicamente maschile, di Amos Cassioli e L’ombrellino rosso (1895) di Federico Zandomeneghi rispetto al quale ci si chiede se abbia ricevuto all’Impressionismo più di quanto abbia dato. Puro Impressionismo che conserva una cifra tipicamente italiana, veneziana in questo caso, a differenza ad esempio del suo amico Edgar Degas che considerava a sua detta le donne ‘pezzi di carne’ da esplorare, con un sguardo morboso o cinico. In Zandomeneghi invece lo sguardo è attraversato dalla tenerezza.
Di questa carrellata di antidive ci resta tra l’altro l’assenza del sorriso che, come ha sottolineato l’Acidini, fa la propria comparsa nei ritratti con la fotografia, un’istantanea che può essere messa in discussione un momento dopo, a parte le foto dei documenti. Il ritratto era in qualche modo per sempre e, oltre tutto, il sorriso fino alla modernità è stato considerato sconveniente, volgare, se non una manifestazione di follia: ridevano giullari, zingare, attori e matti, tutti reietti della società.
La mostra estiva è quest’anno anticipata perché a settembre il Centro Matteucci sarà impegnato fuori sede nell’organizzazione di una manifestazione dell’arte contmeporanea, ancora top secret.
A cura di Ilaria Guidantoni