Il viaggio nel deconfinamento attraverso la musica italiana è alla sua quarta puntata con Tony Esposito, alias Antonio, che invita a “riscoprire la musica massaggio dell’anima” e lascia un videomessaggio ai lettori di BeBeez (si veda alla fine di questo articolo).
Il musicista, strumentista, una vita dedicata alla musica, alla composizione, al brevetto di nuovi strumenti, alla ricerca di suoni diversi lontano nel mondo, mette l’accento sull’aspetto terapeutico dell’arte e sul suo valore sociale che in questo momento va riscoperto.
“In questo periodo – ci ha raccontato, facendo per noi una pausa di lavoro nello studio di registrazione – l’arte doveva fare e credo abbia fatto la sua parte, non solo la musica, e io certamente ho spinto in tal senso ma credo che ora il Paese debba fare la propria parte per l’arte e per riconoscere che non è un passatempo ma un lavoro che coinvolge tante figure, soprattutto quello che stanno dietro le quinte e quelle che non sono famose e che devono essere sostenute.”
Musicista, strumentista, compositore napoletano, numero uno in Italia nel mondo della percussioni e dei tamburi, citiamo Kalimba de luna – inserita nell’album Il grande esploratore per l’etichetta Bubble che vendette 200.000 copie in Italia – con la quale nel 1984 vince Un disco per l’estate, non solo e non tanto perché si è imposto come un successo commerciale ma per la forza e la potenza che in quel brano ha fatto dialogare nuovo e antico, coralità di suggestioni diverse. Nel 1975 esce il suo primo LP da solista con l’etichetta discografica Numero Uno: Rosso napoletano. L’anno successivo esce il suo secondo LP: Processione sul mare.
Come ti rappresenteresti?
“Come un grande esploratore dell’anima, del pianeta e prima di tutto di me stesso; grande per lo sforzo quotidiano che intraprendo. Mi sento certamente soprattutto un musicista, cantautore non mi si addice, anche se ci sono le canzoni, certamente. Sono un compositore e nella mia carriera c’è grande spazio per brani solamente strumentali. Ho brevettato alcuni strumenti come il “Tambour border”, il tamburo di frontiera che rispecchia questa mia voglia di viaggiare attraverso i confini per unire diversità.”
Come nasce la passione per le percussioni e in particolare per i tamburi?
“Non saprei dirlo ma le percussioni per me sono un fatto atavico. Ho suonato fin da bambino e il tamburo esprime il mio bisogno di sentire il battito del cuore, il respiro della vita. Nasco artisticamente dalla pittura essendomi diplomato all’Accademia di pittura e le percussioni rappresentano al meglio la tavolozza dei colori. In realtà tra musica e pittura c’è una continuità che si avverte anche nel linguaggio quando si parla di tonalità e la pittura non è nient’altro che la trasposizione materica della prima. Non è un caso che nel Novecento si siano realizzati degli spartiti musicali a colori.”
La primavera 2020 ha congelato la musica e lo spettacolo dal vivo: la ripresa è in embrione, incerta. Quale scenario si disegna a tuo parere?
“Il virus ha portato dolore, smarrimento ma anche una rinascita della coscienza perché ha trasportato con sé un messaggio molto forte da parte del pianeta, un grido di sofferenze che sta costringendo l’arte ad adeguarsi. Al centro il tema dell’unicità e della fratellanza dei popoli, dell’ambiente e l’idea che la salvezza venga solo dalla cooperazione. Tra l’altro senza voler azzardare nessuna teoria né tanto meno dare una tesi, credo che in qualche modo la mano dell’uomo ci sia, anche involontariamente, dietro la pandemia tuttora in corso. L’arte come la musica si sono mobilitate per sostenere gli animi ma a loro volta ora devono essere sostenute sia economicamente – anche perché il lavoro quotidiano è un impegno duro in tutti i sensi, fatto ad esempio di investimenti in strumenti per stare al passo con i tempi – sia contrattualmente. Durante il confinamento dopo medici e infermieri il mondo dell’informazione e quello dell’arte sono stati in prima linea e credo con un valore medico o meglio psicoterapeutico; dato che sostenere gli animi aumenta le difese immunitarie e già gli Assiri e gli Egizi ne erano alla conoscenza. Mi sono interessato molto di musicoterapia, ancora poco conosciuta in Italia, sebbene molti studi ne dimostrino il ruolo attivo nelle situazioni di autismo o nelle tossicodipendenze ad esempio.”
Come hai vissuto questo periodo?
“Ho approfittato del tempo libero da impegni per rimettere insieme l’esperienza dei miei viaggi in giro per il mondo e nella musica occupandomi molto di World Music rivendendo alcuni aspetti inevitabilmente perché l’arte respira la vita e quello che accade”.
Un tempo difficile per fare progetti. Nel breve periodo cosa hai in programma?
“Ho due progetti di scrittura, uno in prosa e uno in musica. Sto ultimando Il ritmo del mondo, un libro che riunisce l’esperienza dei miei viaggi in giro per il mondo non solo con un tono personale ma in qualche modo sciamanico viaggiando nel mistero della musica. Spero uscirà a fine estate e i tempi dovrebbero esserci. Sono tendenzialmente pigro ma questo periodo la mia concentrazione è stata favorita proprio dal confinamento che ha imposto una nuova disciplina. Il secondo progetto, di natura musicale, è l’uscita di un nuovo disco dedicato ai popoli e alla ricchezza della diversità, dai climi alla musica che segue il battito del cuore.”
C’è già un titolo?
“Probabilmente La danza del sole, pensando alla danza come movimento armonico e non come ballo formale, pensando alla danza della vita e al movimento degli Indiani che nel sole riconoscono il cuore universale, il motore della vita, una figurazione cosmica, esterna al nostro pianete che non brilla di luce propria ma vive grazie all’unione con il sole. Credo fortemente in questa grande iper-coscienza che chiamo Dio e che oggi, dopo questa esperienza planetaria di quarantena, torna più forte che mai.”
Cosa lascerà nella musica in particolare il ricordo, speriamo sia un ricordo, pensando già ad un futuro anteriore, di questo periodo di emergenza?
“Spero che, come accennato, evidenzi l’importanza della musica nel suo ruolo sociale e che venga protetta e sostenuta come un settore del mondo del lavoro perché è importante non tornare alla normalità se per normalità si intende ‘com’era prima’. Occorre invece mettere un punto fermo per non aspettarsi il peggio. La musica dovrebbe tornare alla funzione originaria di risveglio delle coscienze, lasciando cadere quelle distinzioni commerciali e assurde, tra musica classica e leggera che sembra quasi offensivo. La leggerezza di certe canzoni ha avuto un grande peso e ha fatto storia. Il pericolo che intravedo al momento nel generale disorientamento non è la scomparsa dei grandi concerti ma dei piccoli e medi che sono la specificità della nostra cultura. I grandi concerti infatti sono omologati ormai allo standard internazionale, spettacoli molto appariscenti, dove non si va per scoprire qualcosa di nuovo, dettati da un profilo ‘commerciale’. Diversamente la musica come espressione culturale e non solo di svago è quella che racconta la nostra storia, che valorizza gli strumenti popolati e i linguaggi del Mediterraneo, a partire dagli stessi dialetti. In tal senso la pandemia è stata un’occasione non per chiuderci ma per centrarci di nuovo sul Mediterraneo.”
Il virus entrerà nella musica?
“E’ entrato e fa già parte del nostro corredo verbale in maniera più o meno esplicita e per un certo aspetto è inevitabile che l’arte respiri le emozioni. L’importante però è che non diventi moda scivolando nella banalità perché la musica autentica non deve cavalcare l’onda del momento o raccontare la cronaca che è l’oggetto del giornalismo. L’impegno per l’ambiente, per i popoli, per la difesa dei linguaggi non deve diventare un manifesto politico. L’impegno sociale della musica vola sopra l’onda”.