A Pietrasanta, cittadina in provincia di Lucca, nota per essere un centro di artisti, vede con il deconfinamento la ripresa faticosa delle sue attività culturali. Il 23 maggio scorso ha aperto la mostra Italian Atypical Products di Federico Benedetti, classe 1972, nato a Pietrasanta, nella Sala delle Grasce nella cornice del Centro culturale “Luigi Russo” – in programma fino al 14 giugno – le cui opere riflettono la ricerca personale dell’artista e ne indicano il percorso tracciato. Il titolo dell’esposizione è un gioco di parole tra Atypical e Typical attraverso il quale l’artista affronta il tema della valorizzazione dei prodotti tipici del nostro Paese e dell’Italia stessa.
Ora il prodotto tipico ha per definizione un forte legame con l’area geografica nella quale nasce e caratteristiche che lo rendono unico. Focalizzando l’attenzione sui “prodotti tipici italiani” l’artista denuncia il bisogno di tutelare le specificità artistiche al pari di quelle alimentari, binomio che rende l’Italia il paese amato dai turisti che lo visitano o sognano di farlo. Proprio ricordando l’importanza della cucina anche in termini culturali per il Belpaese Benedetti invita il visitatore ha usare un metro ad hoc, oltre il consumo. Valorizzare i prodotti tipici assume oggi una valenza al di là della commercializzazione per diventare uno strumento di confronto e apertura.
Nelle sue opere l’artista gioca con la seduzione visiva, attraverso la quale si diverte a nascondere la percezione e la subitanea ricezione dei molteplici messaggi e delle metafore che si stratificano uno sull’altra. Già ad una rapida occhiata il visitatore della mostra si renderà conto della profonda riflessione che l’artista fa sull’arte di un passato lontano oggi ritenuta classica ma che essa stessa è stata “contemporanea”. In un mondo in cui la priorità sembra non essere più guardare ciò che ci sta attorno quanto essere osservati e visti, l’immagine non è più realtà assoluta e indiscutibile: pertanto l’operazione dell’artista è confondere realtà ed apparenza. Le immagini che ne risultano sono fotografie di attimi che non esistono, messe in scena in attesa di spettatori, teatri che attendono un pubblico. Pietrasanta, città a forte vocazione artistica e gastronomica, nel momento del disgelo e della riapertura delle porte ai viaggiatori e alla cultura, diventa il palcoscenico ideale per ripensare il turismo in una chiave di sviluppo del territorio.
Abbiamo raggiunto al telefono l’artista, diplomatosi al Liceo Artistico di Carrara, che sin da giovane sente forte dentro di se l’esigenza di esprimersi attraverso il disegno. Frequenta la facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Firenze, dove approfondisce la storia dell’Arte, la composizione, la progettazione e le Tecniche di rappresentazione. Inizia a farsi notare come street artist all’età di diciotto anni con i graffiti realizzati a bomboletta, che gli portano i primi riconoscimenti e le prime soddisfazioni.
Quale ruolo ricoprono nella società odierna l’arte, la cultura ed il cibo? “Ogni visitatore potrà cimentarsi nello scovare la risposta a tali quesiti e, come sempre accade, potrà divertirsi a scoprire il significato dei miei lavori, dando una sua personale interpretazione. Io stesso non lavoro alla ricerca di certezza ma scavando nel dubbio per metterlo in evidenza e giocarci.”
Qual è il rapporto tra visibile e invisibile nella tua arte?
“Gioco con la seduzione visiva, attraverso la quale mi diverto a nascondere la percezione e la subitanea ricezione dei molteplici strati di significato che si accavallano l’uno sull’altro. Nelle opere recenti non è difficile leggere i segni di una mia riflessione sull’arte di un passato lontano. D’altronde, in un mondo in cui la priorità non è più osservare, guardare e vedere, quanto essere osservati, l’immagine non è più realtà assoluta e indiscutibile. Ecco che le immagini che ne vengono fuori sono metaforiche, messe in scena in favore dello spettatore. Quasi fossero fotografie di attimi che non esistono, oltre che con il soggetto rappresentato, l’intenzione è quella di suscitare emozioni attraverso ciò che il dipinto non mostra.”
Quali sono i temi al centro della mostra?
“Molte delle opere, volendole analizzare, incorporano il tempo e lo spazio in un universo immaginario che è emerso solo poco a poco. Un occhio di riguardo sempre alla composizione, là dove gli equilibri e i contrasti lottano al fine di creare un soggetto che sia credibile, presente. In particolare è proprio il tempo al centro della mia riflessione: il tempo e lo spazio sono incorporati in un universo immaginario che è emerso solo poco a poco. All’inizio inserito probabilmente in maniera istintiva, si è poi ripresentato di volta in volta al momento di scegliere il soggetto da rappresentare.”
Può illustrarci alcune opere esposte?
“Le due tele esposte in prossimità dell’ingresso fungono da introduzione al vero e proprio corpus delle opere che compongono la mostra. Sono state inserite affinché il visitatore che non conosceva in precedenza il mio lavoro possa farsi un’idea del percorso artistico che ha preceduto le opere qui presentate; queste infatti sono rappresentative degli ultimi due anni. Per chi già conosce i suoi lavori e per chi aveva già avuto modo di vederle, questa è comunque l’occasione per ricordare quanto fatto fino ad oggi. Essendo queste due tele proprietà di un collezionista, anche per me è un’occasione per vederle tutte assieme, oltre che di mostrarle. Nelle opere recenti non è difficile leggere i segni di una riflessione sul ruolo dell’arte nella società. Nella tela I, del 2018, si può ritrovare ciò che verrà in seguito; nella II, del 2019. La I tela rappresenta una Wunderkammer, ovvero una sorta di camera delle meraviglie, quei Cabinet in cui, dal XVI al XVII secolo i collezionisti (perlopiù nobili, principi e studiosi) raccoglievano oggetti straordinari, rari. È stato in pratica il primo stadio dello sviluppo del concetto di museo. Possiamo vedere che sono rappresentati infatti quattro soggetti, apparentemente slegati uno dall’altro. In realtà rappresentano le quattro categorie che costituivano le wunderkammer: Naturalia, Mirabilia, Scientifica, Exotica. Essa è allo stesso tempo una citazione dei trompe l’oeil. Quest’ultimo è a sua volta citazione e omaggio all’arte del passato”.
Quest’opera diventa a sua volta un indizio per capire i messaggi delle opere successive? “È un genere che induce nell’osservatore l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. Consiste tipicamente nel dipingere un soggetto in modo sufficientemente realistico da trasformare e creare uno spazio. Esempi del genere esistono già in epoca romana fino al Rinascimento e al Barocco. Il dipinto che mostra un corvo che sporge e sembra uscire dalla tela, è una citazione e omaggio a Caravaggio, pensando allo sgabello che sporge del San Matteo conservato nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, come anche il Canestro di frutta dell’Accademia di Brera a Milano.”
Come la II tela parla del tempo?
“Il riferimento è ancora più esplicito, in particolare dello scorrere del tempo con la clessidra. Questa tela in particolare fa da spartiacque con le tele precedenti e per questo è scelta per introdurre la mostra. La scultura, il volto di marmo, che rappresenta la bellezza, la cultura, la storia, il passato del nostro Paese che va in rovina, inesorabilmente sommersa dalla sabbia del tempo – che poco a poco la nasconde fino a farla sparire del tutto – indica al contempo la memoria che sopravvive e che dev’essere difesa. Una critica quindi e insieme un messaggio di speranza perché la clessidra può essere capovolta e l’arte (rappresentata dalla scultura) salvata dall’oblio.”
Apparentemente di tutt’altro genere il cono del gelato, una citazione pop?
“È un’opera dell’estate del 2019 con la quale ho trovato la via che stavo cercando e mi sono divertito a lasciare, tra le altre cose, in evidenza il fondo: il grigio che vediamo non è altro che il fondo che prepara per la tela, colore che ha trovato mixando alcuni ingredienti. Fiero di esser riuscito a dipingere l’intero soggetto senza sporcare o schizzare il fondo, al momento di scegliere come rifinirlo l’ho osservato per qualche giorno, come faccio per altro di solito per poi decidere se un quadro è veramente finito. Il soggetto esce fuori e allo stesso modo è isolato perfettamente in primo piano. Diventa un soggetto metafisico, e da amante e studioso dilettante di De Chirico immaginate il divertimento e la soddisfazione provata.”
Qual è il significato, ripensando ai pesci e al pane ferrarese di De Chirico?
“Nel cono gelato c’è tutto ciò che abbiamo detto ma il messaggio diventa evidente: una critica al turismo usa e getta, argomento molto attuale. Ecco cosa è diventata l’arte, ecco cosa abbiamo lasciato che accadesse. Il turista, che non è più un viaggiatore, arriva, mangia un gelato, sporca per terra e se ne va. Consuma attratto dal richiamo delle città d’arte che vede solo attraverso il proprio smartphone. Nasce così la serie che in mostra è stata presentata, come la Coppetta e anche in questo caso lo sfondo è assente e il quadro viene completato con un fondo nero. La mia attenzione è sempre sulla ricerca del dettaglio, con la voglia di rappresentare le differenti superfici, le peculiarità dei diversi materiali: ad esempio la trasparenza della paletta, il bordo della cialda. Il riferimento è sia alla cosiddetta pittura classica, che si palesa sia attraverso i riferimenti, le citazioni e nella volontà di dipingere e rappresentare la realtà alla maniera cinquecentesca, sia alla Pop Art”.
Il tema del gelato ha diverse declinazioni.
“Ad esempio il Ghiacciolo, opera nella quale mi diverto a lasciarmi andare all’aspetto giocoso, uscendo dai limiti geometrici e spaziali della tela attraverso lo stecco del ghiacciolo che è parte integrante del soggetto dipinto ma in qualche modo pure scultura.”
Ci sono altre opere sulle quali possiamo fissare la nostra attenzione? “Il turista americano che non riesce ad uscire dal proprio orizzonte di riferimento, con l’hamburger, simbolo del junk food, il Milk shake e la critica alle grandi catene di fast food che abusano della plastica.”
Abbiamo già accennato alla scultura e della tridimensionalità: qual è il messaggio dei Sottolio su tela?
“Divertendomi a giocare con le parole e con le metafore nel 2017 ho dipinto il primo Olio su tela, non in mostra, giocando con il paradosso. Chiamo infatti olio un dipinto ad acrilico con un tocco di giallo tra bianchi e neri che sfumano nei grigi. In queste tre tele di nuovo ho messo i reperti, i frammenti di scultura che il tempo ma soprattutto l’incuria da parte nostra sta rovinando (ché poi il tempo di per sé in realtà non li rovina, ma dà loro carattere). E’ una rappresentazione del patrimonio artistico del nostro Paese e della nostra cultura messa per la prima volta sottolio; l’olio come prodotto tipico del territorio dunque valore e tradizione da preservare ancora una volta giocando sul double sense di olio come tecnica pittorica e prodotto alimentare, entrambi tipicamente italiani. I Vasetti dei sottolio rappresentano la sintesi dei dipinti che si fanno oggetto, simbolo del made in Italy ma dove al posto del cibo ci sono gessi d’epoca, i souvenir che il turista si porta via. E il cerchio si chiude includendo una dimensione ambientale di critica al turismo mordi e fuggi, usa e getta”.
a cura di Ilaria Guidantoni