Per l’estate 2019 il Museo del Paesaggio di Verbania, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, presso Palazzo Viani Dugnani, specchio del rapporto tra i suoi abitanti e il territorio quando divvene mèta di villeggiatura della borghesia e laboratorio della pittura lombarda di paesaggio, come testimonia la sua collezione permanente, ha realizzato un nuovo allestimento dedicato a Mario Tozzi, a quarant’anni dalla sua scomparsa, e The Red Road Project, la mostra fotografica di Carlotta Cardana e Danielle SeeWalker sui Nativi americani del 21esimo secolo.
Il Museo del Paesaggio è stato fondato nel 1909 da Antonio Massara, e riflette il paesaggio del Lago Maggiore e delle valli circostanti profondamente plasmato dall’opera dell’uomo, per secoli via di transito naturale per l’attraversamento delle Alpi; nell’Ottocento il lago entra nei percorsi del turismo internazionale d’élite e nella villeggiatura dell’aristocrazia e della borghesia industriale, mentre, dal punto di vista pittorico, diviene campo di sperimentazione della scuola lombarda di paesaggio.
Oggi il Museo del Paesaggio si offre al pubblico con le collezioni di Pittura e Scultura, le quali consentono di conoscere vari aspetti dell’arte e della storia del territorio provinciale oltre che di ricordare il forte legame che si creò tra gli artisti, le famiglie borghesi che passavano sul Lago, i loro soggiorni e questo territorio. Il patrimonio del Museo si colloca tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento e una discreta parte di opere raffigura il paesaggio lacustre e montano del Verbano e delle aree adiacenti. Delle collezioni del Museo del Paesaggio fanno parte – inoltre – pregiati esempi di opere appartenenti ad alcune delle principali correnti artistiche del XIX secolo: la Scapigliatura di Daniele Ranzoni e del suo primo maestro Luigi Litta, il Naturalismo lombardo di Achille Tominetti e altri, il Divisionismo di Vittore Grubicy De Dragon e Carlo Fornara. Molto nutrita e importante è anche la sezione dedicata alla scultura, con un unicum costituito dai 344 gessi dello scultore impressionista Paolo Troubetzkoy (1866-1938) nato a Intra da padre russo e madre americana, artista internazionale celebre per i suoi soggetti invasi da luci e ombre raccolti in una galleria di personaggi dell’alta società che fece di Suna la sua abitazione-studio. Inoltre, le 53 opere di Arturo Martini (1889-1947) la cui intensa attività artistica così ricca di esposizioni e continue creazioni lo porta a diventare uno dei più importanti scultori italiani del ‘900 e le 19 opere dello scultore cannobiese Giulio Branca (1850-1926), artista che si orienta verso il filone romantico, con attenzione veristica. Accanto a queste importanti collezioni bisogna ricordare anche oltre 1500 lastre fotografiche, 500 stampe e svariati bozzetti e disegni originali dei maggiori artisti rappresentati in museo.
La visita consente una sosta a pochi chilometri dalla Svizzera, Stresa e le splendide Isole Borromee, sede tra gli altri della Gipsoteca Troubetzkoy e della collezione Arturo Martini, si prepara ad accogliere i turisti con Omaggio a Mario Tozzi, aperta il 25 maggio e in programma fino al 29 settembre.
Al pittore marchigiano (Fossombrone, 1895-Saint-Jean-Du-Gard, 1979) che a Suna, sul Lago Maggiore dove la famiglia si trasferisce, ha trascorso gran parte della sua vita, fondatore degli Italiens de Paris insieme a Massimo Campigli, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, René Paresce, Alberto Savinio e Gino Severini, il Museo del Paesaggio dedica una nuova sezione degli spazi di Palazzo Viani Dugnani, con oltre trenta le opere esposte, che raccontano l’evoluzione dello stile dell’artista, a partire dagli anni Dieci del Novecento, fino alle ultime tele geometriche e stilizzate degli Anni ’60 e ’70. L’esposizione, in collaborazione con l’Archivio Mario Tozzi di Foiano della Chiana (Arezzo) e lo Studio d’Arte Lanza di Verbania, presenta l’intera collezione delle opere dell’artista – di proprietà del Museo del Paesaggio – accanto a due recenti depositi ricevuti dal museo (La preghiera e Compianto) e una serie di schizzi e disegni, alcuni inediti, così come la piccola e rara porzione di affresco che raffigura la testa di una Madonna in prestito dalla Galleria Lanza di Verbania. L’esordio artistico di Tozzi appare segnato dal rapporto con la pittura del secondo Ottocento, in particolare con la tradizione del Naturalismo lombardo: le opere degli anni Dieci infatti, legate perlopiù al contesto famigliare (Ritratto della madre) e alla descrizione di scorci del territorio del Verbano (Notturno), rivelano quella grande attenzione al dato naturale, resa con una pittura quasi “a macchia”. Nei primi anni Venti, a Parigi, Tozzi ha modo di conoscere la pittura di Cézanne e dei Fauves, ma soprattutto entra in contatto con gli artisti italiani lì residenti, tra i quali Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, che lo introducono al movimento di Valori plastici e alla pittura metafisica: le figure assumono grande “plasticità” in un rapporto tridimensionale con lo spazio che le circonda (Serenità, Donna seduta di schiena, La toeletta del mattino – tra le più note). Il suo linguaggio muta decisamente a partire dalla fine degli anni Cinquanta: la pittura si fa via via più geometrica, con figure sempre più bidimensionali e un ricorso maggiore a elementi astratti (La grande Piazza 1962, Testina 1970, solo per citarne alcune). L’esposizione sarà completata da un incontro che si terrà il 15 giugno con la storica dell’arte Elena Pontiggiapresso la mostra. Abbandonati gli studi di chimica, il giovane Tozzi si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove conosce Giorgio Morandi. Dopo la tragica esperienza della guerra, nella quale perde due fratelli, il pittore si sposa e si trasferisce a Parigi, dove inizia a esporre ottenendo un sempre maggiore successo. Nella capitale francese, nel 1926, fonda il gruppo degli Italiens de Paris mentre in Italia, nel frattempo, espone alle mostre del gruppo Novecento, alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali romane. Dalla fine degli anni Trenta vive un lungo periodo di crisi; riprende l’attività artistica con una mostra presso la Galleria Annunciata di Milano soltanto nel 1958. Nel 1971 si sposta definitivamente da Suna in Francia, dove resterà sino alla morte, avvenuta nel 1979.
L’altra iniziativa concerne The Red Road Project – un progetto di Carlotta Cardana, giovane fotografa di Verbania che si occupa principalmente di ritratto e documentaristica e dell’artista Danielle SeeWalker, un viaggio fotografico tra le riserve indiane dei nativi americani del ventunesimo secolo, a Villa Giulia in programma dal 9 giugno al 29 settembre.
La mostra, curata e prodotta da Fonderia 20.9 di Verona, mette al centro il rapporto tra identità della comunità, cultura e paesaggio, nello specifico con una rilettura del complesso legame odierno dei nativi d’America con la loro terra e la cultura tradizionale. Circa 70 opere, tra immagini d’archivio e fotografie realizzate appositamente per il progetto, esplorano e documentano il rapporto tra la cultura tradizionale dei nativi americani e l’identità delle popolazioni tribali di oggi, in un viaggio tra diversi stati USA.
Carlotta Cardana, dopo gli studi al DAMS e all’Istituto Italiano di Fotografia, ha lavorato a progetti a Buenos Aires, Città del Messico, Londra, negli Stati Uniti e più recentemente in Giappone. I suoi lavori più recenti analizzano l’impatto degli squilibri economici e dell’oppressione sulle comunità. Il suo lavoro è stato premiato ed esposto all’interno di festival e gallerie in tutta Europa e negli Stati Uniti.
Danielle SeeWalker, classe 1983, del North Dakota, negli USA, è un’artista Hunkpapa Lakota, attivista e madre di due figli che risiede a Denver, in Colorado. È membro della tribù degli Standing Rock Sioux nel Nord Dakota, dov’è nata e cresciuta, e discende dal capo Hunkpapa Lakota, Tȟatȟáŋka Íyotake (Toro Seduto).
A causa dello stigma storico spesso associato all’essere nativi americani Danielle da ragazzina si vergognava della sua identità di indiana americana. Quest’esperienza ha alimentato la sua passione e dedizione a questo progetto, con la speranza di ispirare i giovani nativi americani e le comunità indigene in generale. Oggi, Danielle studia la cultura dei nativi americani nel 21° secolo e tiene conferenze sull’argomento. Inoltre analizza le questioni storiche e contemporanee relative agli Indiani d’America. Danielle SeeWalker ha una formazione accademica in sociologia, antropologia, psicologia e studi nativi americani presso l’Albright College (BS) e l’Università di Kutztown (MA).