Abbiamo visto in anteprima la personale dedicata ad A.R. Penck (1939-2017) certamente tra i più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento, allestita dal 24 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022 al Museo d’arte di Mendrisio, a cura di Simone Soldini, Ulf Jensen, Barbara Paltenghi Malacrid, che segna una novità per l’Italia dove questo autore è poco noto. L’esposizione nasce sul concetto di Transizioni e ci accompagna con una grande retrospettiva, che comprende oltre 40 dipinti di grande formato, 20 sculture in bronzo, cartone e feltro, oltre una settantina tra opere su carta e libri d’artista, lungo le tappe principali di una figura molto importante non solo artisticamente quanto per comprendere la società tedesca del Novecento: ha esordito come pittore di paesaggio per poi interessarsi soprattutto all’uomo, così nei suoi quadri troviamo uomini tutti uguali, spesso con le mani in alto come a rivolgersi al cielo, in una figurazione che ricorda il Cristo in Croce, ma anche come chi alza le braccia in segno di resa.
Penck infatti, insieme ad altri pittori e compagni, quali Baselitz, Lüpertz, Polke, Richter, Immendorff e Kiefer, ha saputo esprimere le contraddizioni della Germania post-nazista e del conflitto Est-Ovest mediante un linguaggio originalissimo seppur concepito nelle forme espressive tradizionali, come pittura, disegno e scultura. La mostra si sofferma soprattutto sulle opere degli anni Settanta e Ottanta. Vissuto nella DDR in una situazione conflittuale, la critica ha evidenziato due possibilità per un artista, rispettivamente l’arroccamento in una torre d’avorio e l’esposizione totale. In qualche modo per Penck sono vere entrambe le posizioni, conquistate in tappe successive.
Al di là del primo sguardo, l’opera di Penck non ha l’immediatezza del primitivismo, l’ingenuità della forza della ribellione ma è un’arte concettuale maturata con un’attenta preparazione squisitamente intellettuale. Penck si definisce un artista concettuale con un’armatura teorica, soprattutto filosofica, politica ma anche scientifica – affascinato in particolare dalla cibernetica e dall’algebra, come anche dalla musica, che spariglia il panorama della seconda metà del Novecento.
A un certo punto si allontanerà dalla pittura dichiarando di essere interessato solo alla cibernetica e alla scienza dell’informazione con l’obiettivo di vedere il macrocosmo e i meccanismi sociali.
Dal 1961 elabora infatti un nuovo linguaggio nel quale l’immagine deve contenere il concetto, mettendo appunto un vocabolario nel quale ha abolito l’opera nel senso tradizionale di estetica per parlare di prodotti d’arte. Non c’è solo il rifiuto del bello tradizionale, dell’armonico: c’è il superamento del parametro estetico in favore del modello.
Così nei suoi dipinti ci sono molti segni che sono presi dalle scienze. E’ solo a un primo sguardo dunque che la sua arte può essere associata ad una spinta espressionistica del Novecento, mentre la sua opera risulta di interpretazione complessa. La sua costruzione filosofica nondimeno attraverserà un momento di crisi nel 1974 quando scriverà un racconto. Il modello messo appunto per la società non ha attecchito e da questa considerazione ne nasce una crisi. Tra l’altro il Regime lo vive sempre più come una personalità scomoda se non pericolosa. Non potrà più esporre nella DDR finché gli verrà notificato che entro la mezzanotte dello stesso giorno deve lasciare il paese.
Importante nella sua produzione anche la scultura, non una tecnica secondaria, che anzi gli censente di passare dalla teoria alla pratica, esplorando il fare e le possibilità di composizione partendo dagli elementi più diversi, secondo il caos. Si occupa infatti di scultura fin dalla giovinezza, e il suo primo gruppo plastico è costituito dai modelli realizzati con materiali poveri nell’ambito del progetto Standart; a metà degli anni Settanta quando realizza a colpi d’ascia sculture in legno.
A partire dal 1984 poi si concentra sulla tecnica di fusione in bronzo, lavorando a diversi formati fino a giungere alla dimensione monumentale, con un percorso analogo a quello già seguito in pittura. E’ il momento delle grandi sculture concepite come memoriali e non a caso il visitatore è accolto da una grande opera nel cortile dell’ex Convento dei Serviti. Dal 1980 con l’arrivo a Colonia, la sua arte si allarga e parlerà di Interspazio, di una nuova spazialità, portandolo lontano dalla presa diretta dalla politica ma sempre in una dimensione di carattere sociale. Penck è stato anche musicista, appassionato soprattutto di batteria, proprio per la sua aggressività e si è dedicato soprattutto al jazz, per il gusto dell’improvvisazione e per quel codice che è comprensibile solo ai musicisti, in grado di suonare insieme anche senza essersi un coordinamento studiato. Per rendere omaggio alla figura di Penck il Museo d’Arte di Mendrisio ha organizzato per il 19 dicembre prossimo un evento speciale con quattro musicisti di grosso calibro, che separatamente improvviseranno su quattro diverse opere esposte per poi riunirsi e suonare insieme.
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Penck nasce a Dresda il 5 ottobre 1939, con il nome di Ralf Winkler. Vive con la madre, di professione insegnante, e con la sorellina più piccola nel quartiere popolare di Nausslitz. In seguito ricorderà così la sua infanzia: «I miei genitori erano divorziati. Sono cresciuto senza l’autorità di un padre e ho acquisito presto una mentalità indipendente».
Comincia a dipingere all’età di dieci anni e dopo il diploma frequenta un corso di disegno e pittura presso la Volkshochschule, dove entra nella cerchia di Jürgen Böttcher, detto “Strawalde”. Interrompe il tirocinio presso un’agenzia pubblicitaria vicina al partito; fa domanda di ammissione a un corso di scultura, quindi ai corsi dell’Accademia d’arte di Dresda e di Berlino- Weißensee, ma senza successo.
Fa la conoscenza di Georg Baselitz e prende un atelier insieme allo scultore di Dresda Peter Mokolies. Sperimenta con la scultura in gesso; lavora a scenografie, ritratti, disegni e xilografie ispirati a opere di Rembrandt, van Rijn e Pablo Picasso. Negli anni Sessanta la sua unica partecipazione ufficiale a una mostra organizzata nella DDR si tiene nel 1961, all’indomani della costruzione del Muro di Berlino ma il pubblico dello “stato degli operai e dei contadini” reagisce ai suoi ritratti con accese critiche. E’ allora che ridefinisce la sua pittura in rapporto alla visione scientifica del socialismo, dal quale era partito: legge testi di storia della filosofia e della scienza, da Kant e Newton fino ai testi più recenti di psicologia, cibernetica, teoria dell’informazione. Sottolinea il messaggio dei quadri tramite simboli e figure creando i Weltbilder, visioni del mondo, e i Systembilder.
Nel 1963 presenta a Dresda un provocatorio dipinto murale sulla divisione della Germania. Si interessa sempre di più alle scienze empiriche, in particolare ad alcune discipline emergenti come la scienza cognitiva e la cibernetica, tanto che in una lettera a Baselitz osserva: «Ho lasciato perdere le questioni artistiche nel senso della pittura tradizionale e mi occupo di matematica, cibernetica e fisica teorica. Quello che ho in mente è una specie di fisica della società umana…»
Gli anni a cavallo tra il 1960 e il 1970 sono cruciali: sviluppa un forte interesse per il Jazz; in occasione della sua prima mostra nella galleria di Michael Werner a Colonia, assume lo pseudonimo di “A.R. Penck” e chiamerà Standartla sua dottrina elementare della figura e la esprime in numerosi libri d’artista, i cui primi esemplari vengono pubblicati già intorno al 1970. Stand come presa di posizione ma anche bandiera, stendardo. Stabilisce nel frattempo contatti con la Germania ovest, attirando su di sé l’attenzione della scena artistica locale. Lo scambio è intensificato dall’incontro alcuni galleristi e curatori, tra cui Harald Szeemann e Dieter Koepplin che gli fanno visita dalla Svizzera.
Viene però respinta la sua richiesta di ammissione all’associazione degli artisti della DDR e fonda a Dresda il gruppo artistico “Lücke-TPT”, che realizza opere collettive sulla base della figura Standart, realizzando i modelli Standart e alcuni film sperimentali. In seguito elabora l’idea di concentrarsi su tipi di opere tradizionali, “manuali”. Può esporre solo in spazi privati; si intensifica la sorveglianza da parte degli organi di sicurezza. In occidente invece dal 1971 le sue opere vengono esposte a Basilea e Krefeld; nel 1972 alla documenta 5 di Kassel e si confronta con i principali esponenti della scena artistica occidentale come Marcel Duchamp, Andy Warhol, Josef Beuys. In stretta collaborazione con i curatori, progetta mostre ad Halifax, in Canada, quindi in Svizzera e nei Paesi Bassi. Alla fine del 1972, Penck trasferisce il suo atelier a Schloss Lindenau, a nord di Dresda, e pone fine ai lavori delle serie Standart, che considera il proprio contributo al socialismo.
La situazione si fa intanto sempre più pesante. Si esibisce nella scena free jazz di Dresda, registra dei dischi di cui disegna le copertine.
Nel 1977, il processo di riavvicinamento politico tra Germania Est e Germania Ovest impedisce la sua partecipazione alla documenta 6 di Kassel. L’idea di lasciare la DDR, sulla scia di molti altri artisti, si trasforma in un vero progetto. Dalla fine degli anni Settanta cresce l’importanza delle grafiche a stampa; nel 1977 si dedica per la prima volta alla scultura in legno, che interpreta come un’esperienza liberatoria, semplice ma essenziale nella quale trova una libertà simbolica da tutte quelle teorie fallite sotto le quali aveva lavorato per vent’anni, come lui stesso racconta.
Negli anni Ottanta, in seguito all’acuirsi del conflitto con le autorità della DDR, lascia la Germania est attraversando la frontiera a piedi. «A mezzogiorno – racconta – ricevetti il certificato che mi classificava come espatriato. Dovevo lasciare il paese entro mezzanotte. Non c’erano più treni. Un amico mi accompagnò in macchina alla frontiera… Avevo con me solo alcuni quaderni e due audiocassette». Si stabilisce a Kerpen, fuori Colonia, dove nel 1981 tiene una prima retrospettiva delle sue opere. Stringe amicizia con Markus Lüpertz e Per Kirkeby, fa visita a Joseph Beuys. Soggiorna in varie città dell’Europa occidentale, tra cui Napoli, Parigi, Londra, e in Israele. Sempre nel 1981, la galleria di Ileana Sonnabend presenta le sue opere a New York; partecipa a documenta 7 e alla Biennale di San Paolo.
Sarà un susseguirsi di mostre: importante il soggiorno a New York dove frequenta la scena jazz e rock, ha contatti con pittori di graffiti, come Jean-Michel Basquiat e Keith Haring; e nel 1984 partecipa alla Biennale di Venezia insieme a Lothar Baumgarten.
In Irlanda, nel 1987, trova una sua nuova patria. Dopo il crollo del muro nel 1989, la sua prima mostra di nuove opere si tiene all’Albertinum di Dresda nel 1992. Riceve a quel punto numerose commissioni di opere destinate allo spazio pubblico quale il murale ad Amburgo, “art’otel” a Dresda.
Nel 2007/2008 si tengono le grandi retrospettive alla Schirn-Kunsthalle di Francoforte sul Meno e al MAM di Parigi; contemporaneamente la Städtische Galerie di Dresda espone i suoi primi lavori. Nel 2014 sue opere vengono incluse nella mostra collettiva Germany divided: Baselitz and his Generation presso il British Museum di Londra. Nel 2017 si tiene la retrospettiva della Fondation Maeght a Saint-Paul-de-Vence. A.R. Penck muore a Zurigo nel 2017, all’età di 78 anni.
A cura di Ilaria Guidantoni