Si è aperta lo scorso 7 maggio alla Fondazione Ferrero ad Alba la mostra Soffiantino. Tra oggetto e indefinito. Sarà visitabile sino al prossimo 30 giugno.
La mostra, ideata dai curatori Luca Beatrice, Michele Bramante, Adriano Olivieri, con un ritmo biografico e tematico, costituisce la più ampia ed esaustiva ricognizione storico-espositiva mai dedicata all’opera e alla vita del pittore e incisore torinese Giacomo Soffiantino.
Il percorso espositivo conduce il visitatore alla scoperta del lavoro dell’artista a partire dagli esordi, caratterizzati da un approccio aniconico-informale nutrito da influenze internazionali, passando poi per la sensibilità “naturalistica” delle opere mature sino agli esiti più recenti degli anni Dieci del Duemila.
“La pittura di Soffiantino apre porte e le socchiude. Osserva il reale e lo trasfigura. Offre domande e non dà risposte”, spiega Luca Beatrice, “mentre l’avanguardia del suo tempo si concentrava sull’uscita dalla pittura, c’era chi continuava a sperimentare soluzioni mai ovvie all’interno del supporto tradizionale. Soffiantino è tra questi: la sua è una generazione di mezzo dell’arte italiana che come tale ha bisogno di periodiche riletture per non risultare schiacciata”.
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ai curatori Michele Bramante e Adriano Olivieri
(video di Giuseppe Joh Capozzolo)
Il primo capitolo della mostra documenta il Soffiantino delle origini, dalle prime partecipazioni a premi e mostre collettive come quella del 1957 alla Galleria Il Milione a Milano, sino alla consacrazione del 1961, avvenuta con l’importate personale organizzata da Luigi Carluccio alla Galleria La Bussola di Torino. Nato a Torino nel 1929, Giacomo Soffiantino frequenta l’Accademia Albertina dov’è allievo di Francesco Menzio, celebre pittore torinese parte del gruppo dei “Sei di Torino”, a loro volta formatisi presso la scuola di pittura di Felice Casorati. Nel vivace ambiente artistico torinese, Soffiantino definisce il proprio linguaggio al fianco di artisti a lui coevi come Nino e Giuseppe Ajmone, Francesco Casorati, Mauro Chessa, Mario Merz e Francesco Tabusso, con cui condivide le prime esperienze espositive.
Il percorso prosegue con un approfondimento sul rapporto tra Giacomo Soffiantino e Venezia, documentando non solo la partecipazione a quattro Esposizioni Internazionali d’Arte della Biennale tra 1956 e 1972, ma anche e soprattutto la fondamentale personale del 1993 alle Prigioni Vecchie di Palazzo Ducale.
“La materia delle prime opere destinate alla Biennale di Venezia era ubertosa, carica, il segno inciso e a tratti acuminato, nei modi tipici di quella diffusa maniera che con il gesto aggrediva contorni e sostanze delle figure”, chiarisce nel catalogo Michele Bramante, che continua: “Ma già si evidenziavano alcuni caratteri individuali che rimasero inalterati per tutto il successivo evolversi della sua pittura, e che perciò potevano rappresentare, fin da allora, i segni di una ricerca indipendente e di uno slancio futuro senza compromessi: nessuna concessione alla decorazione e alla facile seduzione del colore; una gamma cromatica ristretta prevalentemente ai colori terrosi e ai verdi limacciosi, oppure alle tonalità tenui, pallide e smorzate dall’atmosfera diafana; il bianco e il nero puri come unici eventi estremi di luce e ombra, entro i cui limiti al grigio veniva concessa ogni possibilità di esistenza. Poco più tardi tutto confluì definitivamente in una mite leggerezza poetica, accordata su una gestualità sobria, dietro la quale si sente tuttavia vibrare una costante concentrazione sulla vita, seria e spiritualmente tragica”.
Le due tappe successive sono dedicate a due temi di assoluta centralità nella ricerca di Giacomo Soffiantino, ovvero la natura e la luce. Se nelle fasi iniziali l’opera di Soffiantino può essere assimilata alla corrente internazionale dell’arte informale, ciò che davvero la contraddistingue è l’attenzione molto particolare rivolta alla natura, che negli anni si trasforma in una tensione sempre più consistente tra astrazione e figura. L’allestimento della sezione rintraccia questo percorso evolutivo attraverso alcune opere iconiche: dal primo lavoro, datato 1960 e intitolato Lo Scoglio, di evidente ardore informale, si giunge al 1990 con l’opera Lago nell’ombra, già esposta nella mostra alla Galleria Davico del 1991, curata da Giovanni Testori. La luce, come già evidenziato da Marco Valsecchi (Tre di nuova leva, 1957 «Tempo»), è un problema a cui Soffiantino non smette mai di prestare attenzione. L’artista ammira in particolare Rembrandt, considerato “il pittore eccezionale dell’ombra e della luce”, come riferisce a Maria Grazia Spadaro in una delle sue ultime interviste, rilasciata nel 2010.
“In fragile equilibrio tra esperienza sensoriale e percezione psichica, l’artista calibra la sua boreale tavolozza in modo che le luci alimentino sì gli oggetti di una stentata linfa ma ne congedino al contempo l’acquiescenza vitale. In Soffiantino il tempo della pittura ambisce a corrispondere al tempo vegetativo e biologico”, scrive nel catalogo della mostra Adriano Olivieri, “per cui tanto la pittura si avvicina al suo oggetto tanto se ne allontana approfondendosi esistenzialmente in una vita che più s’afferma più si logora. La luce/energia quindi crea la realtà ma nel contempo la consuma, la leviga, la corrode. Risiede qui il senso delle sue spoglie vegetali, minerali, dei suoi bucrani e conchiglie, testimoni di un tempo trascorso che ha sostituito alla vita la pittura nel suo materiarsi. Pittura che, in un rigurgito romantico, coincide con l’esistenza tanto da spingersi alla cancellazione del soggetto eroso da un tempo/pittura che non ne lascia che grovigli segnici e orbite cave”.
Il capitolo della mostra chiamato Esistenza si concentra su alcuni soggetti ricorrenti nella pittura di Soffiantino riconducibili a tematiche esistenziali come la riflessione sulla vita e i suoi enigmi. Teschi, conchiglie, crani animali, corpi impagliati: oggetti che racchiudono sia le memorie del passato che il presentimento della sparizione. I segni che li attraversano sono vorticanti e spezzati come nel dipinto Alluvione (1995), dove si nasconde una figura cristologica spezzata a metà tra il fulgore luminoso e l’ombra terrena. Simboli che attingono valenze storiche e universali ricorrono nei quattro dipinti della serie degli anni Sessanta Musulmani: Olocausto. La composizione di queste opere evoca le immagini dei corpi ammassati nei campi di sterminio, scoperte con la caduta del nazismo. Nel titolo scelto per la serie, il termine “musulmano” si riferisce al vocabolo “muselmann”, che nella lingua franca dei campi di sterminio indica il raggiungimento di una condizione di sub-umanità.
Proseguendo lungo il percorso, ci si addentra nell’analisi del segno che anima l’opera dell’artista torinese: quella continuità lineare che è cifra stilistica di tutta la sua produzione. La linea ininterrotta che domina la composizione di Soffiantino ha origine nella lezione offerta dal maestro Francesco Menzio e si trasforma in un segno che non ha più necessità di racchiudere la forma, né di limitarsi alla superficie del supporto, unendo idealmente visibile e invisibile, umanità e spirito.
Continuità è anche il titolo di un ciclo pittorico, presentato nell’omonima mostra alla Galleria San Bernardo di Genova nel 2003, e qui rappresentato da tre dipinti del 2001. Suggerendo l’unità sostanziale tra i diversi regni dei viventi e dell’inorganico, tra il femminile e il maschile, tra tutte le polarità dell’esistente, le opere della serie si avvicinano a una poetica simbolista. Conclude il percorso espositivo all’interno della Fondazione Ferrero la sezione Epilogo che riunisce opere degli anni Duemila, periodo ricco di riconoscimenti per l’artista, ma non privo di tensioni sperimentali ancora riscontrabili all’interno della sua produzione. Giacomo Soffiantino si spegne a Torino il 27 maggio 2013.
Chi è Giacomo Soffiantino
Nasce a Torino il 1° gennaio 1929. Inizia giovanissimo a disegnare come autodidatta. Dopo avere sostenuto come privatista l’esame per il diploma al Liceo artistico, nel 1949 si iscrive all’Accademia Albertina di Torino divenendo allievo di Cesare Maggi.
Dopo un breve passaggio dal corso di Felice Casorati, nel 1951 comincia a seguire le lezioni di Francesco Menzio. Contemporaneamente segue i corsi di storia dell’arte di Aldo Bertini e quello di incisione diretto da Marcello Boglione. Inizia allora una profonda e duratura amicizia con Mario Calandri. Crea in questi anni le sue prime acqueforti. Diplomatosi nel 1953, conosce Luigi Carluccio che lo invita a esporre nella rassegna cittadina L’arte in vetrina organizzata nei negozi di via Roma. Aderisce al gruppo degli “ultimi naturalisti” pensato da Francesco Arcangeli e partecipa, nel 1955, alla collettiva allestita nelle sale della galleria torinese La Bussola intitolata Niente di nuovo sotto il sole e organizzata da Carluccio. Avvia la propria carriera di insegnante all’Istituto Fontanesi di Torino e riceve i primi riconoscimenti in concorsi nazionali. Nel 1956 espone alla Biennale di Venezia.
Il 1957 è un anno umanamente significativo durante il quale si sposa e si trasferisce in una nuova abitazione. La sua opera rientra quell’anno tra gli interessi del giovane Luciano Pistoi che lo presenta insieme a Piero Ruggeri, Sergio Saroni e Mario Merz alla Galleria Il Milione di Milano. Nel 1958 partecipa alla sua seconda Biennale veneziana con una serie di disegni colorati. Sono gli anni in cui Soffiantino risente più scopertamente del fascino dell’espressionismo astratto americano. Nel 1959 partecipa alla rassegna “Francia-Italia” e riceve il premio acquisto alla Biennale per la pittura della Repubblica di San Marino. Al 1960 risale l’inizio del ciclo Musulmani e l’anno successivo organizza la prima personale alla Galleria La Bussola. Con la vittoria nel 1963 della prima edizione del “Premio Biella per l’Incisione”, presentando l’acquaforte/acquatinta intitolata “Estate”, Soffiantino si conferma tra gli incisori più influenti della sua generazione. Nel 1964 partecipa per la terza volta alla Biennale di Venezia e l’anno successivo si sistema nella nuova casa-atelier di via Lanfranchi 24. Nel 1970 inizia a insegnare “Figura disegnata” presso il Liceo Artistico di Torino.
Dopo una breve incursione nel linguaggio della scultura, dalla metà degli anni Settanta Soffiantino adotta una tecnica para-divisionistica dall’accentuata varietà cromatica con la quale realizza alcune serie di opere tra le più suggestive della sua carriera. Organizza molte personali, ottiene numerosi riconoscimenti divenendo Accademico di San Luca nel 1983. Autore di molte opere murali, viene incaricato, nel 1982, alla cattedra della Libera scuola del nudo all’Accademia Albertina di Torino. Nel 1989 dipinge Il trittico della vita e negli anni successivi eleggerà a soggetti d’elezioni i Boschi, gli Ireos, le Teche, i Casellari e completerà il ciclo Continuità. Giacomo Soffiantino si spegne nella sua casa torinese il 27 maggio 2013.
Chi è Luca Beatrice
È nato nel 1961 a Torino, dove vive. Critico d’arte e curatore, insegna storia dell’arte e storia del design all’Accademia Albertina di Torino, Arte contemporanea allo IAAD di Torino e allo IULM di Milano. Curatore e critico d’arte contemporanea tra i più noti del panorama italiano, ha cominciato la sua carriera verso la fine degli anni ottanta con mostre storiche sul futurismo torinese. In qualità di critico ha scritto sulle riviste d’arte Tema Celeste, Arte e Flash Art. Dagli anni novanta è stato curatore di numerose mostre legate alle nuove arti figurative italiane. Viene nominato curatore della Biennale di Praga (2003- 2005) e commissario alla sezione Anteprima della XIV Quadriennale di Roma (2004). Nel 2009 è stato scelto come curatore del Padiglione Italia alla 53a Biennale d’arte di Venezia. Punto di partenza dell’esposizione, intitolata “Collaudi”, era l’omaggio a Filippo Tommaso Marinetti e al futurismo, prima e avanguardia italiana del Novecento. Dal 2010 al 2018 è stato presidente del Circolo dei lettori di Torino. Tra le mostre più recenti, l’antologica di Andy Warhol al Palazzo Ducale di Genova (2016) e di Edward Hopper a Palazzo Fava, Bologna, e Vittoriano, Roma (2015-2016), le collettive “Jackson Pollock e la Scuola di New York”, Palazzo Reale, Milano e Vittoriano, Roma 2018, “Easy Rider. Il mito della motocicletta come arte”, Reggia di Venaria 2018, Warhol and friends, Palazzo Albergati, Bologna 2018. Per Gallerie d’Italia. Intesa Sanpaolo ha curato al Palazzo Zevallos di Napoli le mostre dedicate a New York, Londra, Berlino e Los Angeles, e la rassegna “Futuro” presso il Palazzo Leoni Montanari di Vicenza (2020). Ha pubblicato numerosi saggi di critica d’arte e musicale: “Da che arte stai?”, “Pop, Sex” e “Nati sotto il Biscione” per Rizzoli; le biografie di Renato Zero e Lucio Dalla per Baldini & Castoldi, “Canzoni d’amore” per Mondadori, “Arte e libertà?” per Giubilei Regnani. Nel febbraio 2021 è uscito il nuovo saggio “Da che arte stai? Dieci lezioni sul contemporaneo” (Rizzoli). Collabora a Libero, Tuttosport, Corriere della Sera (edizione Torino), Linkiesta. Da settembre 2021 partecipa in qualità di opinionista a Tiki Taka.
Sposato, è padre di quattro figli.
Chi è Michele Bramante
Laurea in filosofia, è curatore e critico d’arte indipendente. Collabora con la rivista Espoarte dal 2016 come corrispondente, pubblicando articoli e interviste su mostre e artisti internazionali. È autore di corsi e conferenze per la divulgazione dei temi dell’arte contemporanea e cura un progetto web personale di promozione culturale.
Chi è Adriano Olivieri
Storico dell’arte e pubblicista torinese, laureatosi con una tesi su Giacomo Soffiantino, ha condotto studi sulla Battaglia di Torino del 1706 (2006), sugli affreschi del XVI secolo di Giovanni Oldrado Perini (2007), su Luigi Spazzapan (2008) e ha contribuito alla riscoperta storica della pittrice Marisa Mori (2009).
Ha curato la mostra al Circolo degli Artisti di Torino sul secondo futurismo torinese (2010) e ha scritto il saggio storico per il catalogo della mostra “Gli anni del Boom” (Palazzo Mathis, Bra 2012). Autore della biografia dello scultore Paolo Spinoglio (Silvana Editoriale, 2013), con Armando Audoli si è occupato della riscoperta della scultrice Anna Maria Perroncito (2019). Si è interessato di fotografia (Ferdinando Fino, Giorgio Cutini, Olivier Durrande) e di illustrazione (Albert Robida, Attilio Micheluzzi). In questi ultimi anni ha approfondito alcune personalità artistiche meno note del Novecento torinese (Albino Galvano, 2021) e ha compiuto il primo studio sul pittore Mario Reviglione (2016). Per i tipi Skira è autore della biografia dedicata a Ezio Gribaudo (2008).
a cura di Ilaria Guidantoni