Al Teatro Litta di Milano ha debuttato Tu sei la bellezza, per la drammaturgia e regia di Alberto Milazzo, in scena fino al 12 maggio, con Giuseppe Lanino e Alessandro Quattro, scene di Guido Buganza, costumi MSGM, luci Luna Mariotti; direzione tecnica di Fulvio Melli, direzione di produzione affidata a Laura Capasso e produzione Manifatture Teatrali Milanesi.
Importante il contributo di Next 2022, testo vincitore del premio di drammaturgia Carlo Annoni 2021, vincitore del premio Artista per la mente 2022.
Una bella prova attoriale dal ritmo incalzante, senza cedimenti: una dialettica di coppia che diventa un dialogo teatrale serrato dove vita e rappresentazione si rincorrono, si specchiano, si confondono fino a che il teatro sembra salvare o almeno sublimare il quotidiano.
Teatro nel teatro: una riflessione lunga tutto lo spettacolo, atto unico in due scene, che parte e finisce con uno spettacolo. Il successo in streaming dello spettacolo durante la pandemia che mette in scena la relazione dello stesso regista con il marito, rispettivamente, Andrea e Leonard, una coppia che vive in un appartamento di una città italiana non meglio specificata, solleva le dinamiche di una coppia “malata”. È la notte di Capodanno che, per ragioni di forza maggiore, trascorrono in casa, da soli.
Andrea è un drammaturgo e quella sera è stata organizzata la prima del suo ultimo testo teatrale che a suo dire rappresenta un messaggio di speranza per coloro che si trovano in una situazione di confinamento e di costrizione appesantita da un disagio personale, mentale.
Dall’euforia del successo alla ricerca di complicità con l’altro, alla voglia di festeggiare fino al litigio, il passo è breve. Il testo rovescia più volte la prospettiva disorientando lo spettatore, decisamente ben congeniato.
In principio è il ruolo dei critici, la pedanteria rispetto al teatro, il tentativo di classificare i generi con la questione di confinare il teatro gay in uno schema che tosto però lascia il passo al tema del narcisismo e la palla passa a Leonard, un libraio, trasferitosi dall’Inghilterra per seguire il compagno Andrea. A Leonard è ispirato il testo appena andato in scena, al centro dell’attenzione, dei desideri del marito che si sente però usato perché Andrea è un seduttore ad oltranza e il teatro è un seduttore per eccellenza.
Questa dinamica cambia registro improvvisamente e come se fossimo in un tribunale lo spettatore è disorientato, non può che parteggiare per il libraio solo che si svela che a Leonard è stata diagnosticata la sindrome bipolare di tipo 2, quella che non ha le fasi di euforia ma solo le fasi depressive alternate a fasi ‘sotto controllo’.
La malattia mentale e il dramma di chi sta vicino a qualcuno che ha un male oscuro provoca la comprensione ma è lo stesso regista a mettersi a nudo dicendo che è malato anche chi sta accanto a un malato. È la sindrome della crocerossina, sentirsi la medicina dell’altro anche se in certi momenti la dedizione è ammirevole e insieme c’è una seduzione che diventa connivenza con la malattia. Origliare l’abisso in una zona di comfort senza rischiare di sprofondarci realmente dentro e quindi aiutare l’altro, esserci sempre, accettare di venire prosciugati, a cominciare dalle ore di sonno sottratte dagli incubi, eppure “utilizzarlo” involontariamente per nutrire il proprio ego, la voglia della sfida.
Fra Andrea e Leonard si aggira infatti quello che loro chiamano “il cane di Churchill”, perché il primo ministro britannico Wiston Churchill chiamava così la sua depressione. Il mostro immaginario è un fantasma che solo Leonard può vederlo, ma Andrea si è abituato ad averlo intorno come fosse un cane vero e dovranno farci i conti, perché il cane di Churchill non è mai stato così ringhioso come adesso.
Sarà metterlo in scena che ricompone la coppia, un’idea dello stesso Leonard che vuole stare sul palcoscenico, recitando se stesso, è questa la bellezza, quella che vede l’amore e quella del teatro, che è malattia e cura a un tempo della vita, e del suo effetto catartico e che vale per la sua imperfezione come la “crepa nel muro” che, dice il testo, spinse Virginia Woolf al fiume.
Un testo denso che meriterebbe di essere letto e riletto.
Indovinata la scenografia di un bell’appartamento tutto forzatamente in grigio, raffinato e pieno di libri e i costumi pop.
a cura di Ilaria Guidantoni