Salto nel vuoto. Arte al di là della materia è il terzo e ultimo capitolo del progetto espositivo pluriennale “Trilogia della materia”, ideato da Lorenzo Giusti per la GAMeC di Bergamo, dedicato all’indagine sulla materia nell’arte del XX e del XXI secolo. L’esposizione apre il 2023 anno che vede Bergamo insieme a Brescia capitale della cultura in Italia e che probabilmente sarà il progetto più importante nei prossimi dodici mesi per la Gamec. Alle spalle un lungo lavoro sostenuto da sponsor importanti e supportato dal socio della Gamec, il comune di Bergamo. La Galleria tra l’altro nel 2026 si trasferirà in un ex palazzetto dello sport degli Anni Settanta che sarà oggetto di una ristrutturazione impegnativa. Tutto il progetto assume dunque il senso di un segno incisivo forte a livello urbano, sfidante anche per la scelta ardita di lavorare sull‘area dell’innovazione.
La mostra, parte di una trilogia, che è stata avviata nel 2018 con la mostra Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile e proseguita nel 2021 con Nulla è perduto. Arte e materia in trasformazione. Salto nel vuoto chiude la Trilogia della Materia esplorando il tema della smaterializzazione creando un racconto trasversale che evidenzia le connessioni esistenti tra le indagini sul vuoto – intraprese dai primi movimenti dell’avanguardia storica e sviluppate dai gruppi sperimentali del secondo dopoguerra – le ricerche sul flusso risalenti agli anni della prima informatizzazione e l’utilizzo di nuovi linguaggi e realtà simulate nell’epoca post-digitale.
Salto nel vuoto è una mostra, a cura di Lorenzo Giusti – che si è detto soddisfatto di aver potuto lavorare su un programma di ‘lunga durata’ – e Domenico Quaranta, che presenta i lavori di alcuni grandi protagonisti e protagoniste della storia dell’arte del XX secolo e pionieri dell’arte digitale insieme ad autrici e autori delle generazioni più recenti, grazie ai prestiti di importanti istituzioni internazionali e di collezioni private. L’idea è nata all’interno di un Simposio, ha raccontato Lorenzo Giusti, che si è tenuto a vedere Torino nel 2017 sul tema della svolta dei musei dopo la sterzata della post-digitalizzazione. Il tema di una presunta virtualità viene in un certo senso smentito dalla stessa esposizione che evidenzia come la realtà sia imprescindibile e questa mostra nasce proprio sulla materia e la diversa percezione che il digitale ha introdotto anche nel vivere la corporeità. Non è una mostra sul vuoto in senso stretto ma il titolo ne definisce l’ambito. Si recupera infatti il titolo di una mostra nota appunto come Le Vide del 1958 a Parigi di Yves Klein, che per altro è uno dei grandi assenti nel percorso espositivo. D’altronde un suo lavoro aveva introdotto ogni sezione della mostra precedente.
Nello specifico, Salto nel vuoto rivolge lo sguardo a quegli artisti e artiste che, in tempi diversi, hanno indagato la dimensione del vuoto negandola nella sostanza o identificandola quale mera dimensione ideale, o il cui lavoro si è rivelato in grado di riflettere i cambiamenti epocali nella percezione della dimensione materiale, introdotti dall’emergere dei paradigmi del software e dell’informatizzazione, così come dalla rivoluzione digitale e dalla sua sistematizzazione.
La mostra si articola in tre sezioni tematiche – Vuoto, Flusso e Simulazione – che inquadrano altrettante modalità di messa a fuoco, rappresentazione ed espressione dei principi della smaterializzazione, e si snoda in un percorso esperienziale che sollecita la percezione dello spettatore da un punto di vista visivo e corporeo.
Sulla linea delle pubblicazioni che hanno accompagnato le precedenti mostre della Trilogia, il Catalogo di Salto nel vuoto – edito da Officina Libraria e GAMeC Books con progetto grafico di Studio Temp – sarà costituito dai testi dei curatori Lorenzo Giusti e Domenico Quaranta e da approfondimenti sulle opere in mostra affidati a storici dell’arte italiani e internazionali.
L’introduzione di ciascuna sezione del catalogo è affidata a un testo di carattere scientifico, inedito, in lingua italiana, ritenuto di particolare importanza per lo sviluppo del progetto espositivo: Karen Barad per la sezione dedicata al Vuoto, Luciano Floridi per la sezione dedicata al Flusso e Myron W. Krueger per la sezione dedicata alla Simulazione.
Chiude il volume la ripubblicazione di un saggio di Italo Calvino, derivato da una conferenza del 1967 intitolata Cibernetica e fantasmi, in cui lo scrittore descrive la letteratura come processo combinatorio, soffermandosi sull’impatto della teoria dell’informazione sulla letteratura, sulla creazione e sulla nostra visione del mondo, sulla fine dell’autore, sul rapporto uomo-macchina, e su quella che allora non veniva ancora chiamata intelligenza artificiale.
I lavori di artisti e artiste del primo e del secondo Novecento sono posti in dialogo con opere recenti di alcuni tra i più significativi protagonisti dell’arte internazionale degli ultimi anni.
Il percorso
Vuoto
La prima sezione è dedicata alla rappresentazione del vuoto come spazio immateriale e inizia con un omaggio a Malevic e al suo Quadrato bianco che non è esposto ma lo evoca nell’assenza di un’esposizione che conta ben 80 artisti. Una dimensione forzatamente negata, continuamente smentita e fondamentalmente contraddetta dalla materialità stessa dell’opera d’arte. Accoglie una serie di lavori di artiste e artisti che, in tempi diversi, hanno operato, soprattutto in pittura, attraverso i principi della riduzione estrema, del minimo contrasto e dell’impercettibile, raccontando il vuoto come una dimensione immaginativa, ideale o concettuale.
Contraddistinte dalla presenza dominante del bianco, nelle prime sale il percorso espositivo si snoda tra le estroflessioni di Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani, i fogli in plastica trasparente perforati a cadenza regolare di Dadamaino, le composizioni minimaliste di Jean Degottex e Aiko Miyawaki, quest’ultimo meno conosciuto ha lavorato a Milano, fino alle sperimentazioni con la luce e lo spazio di Ann Veronica Janssens fatto di sculture impalpabile di luce e dimensioni riflettenti dove presenza e assenza dialogano tra di loro. Questo senso di vuoto non come nulla è presente altresì negli Schermi vuoti di Fabio Mauri sui quali è possibile proiettare idealmente qualsiasi presenza. Interessante il lavoro dell’artista Yayoi Kusama con Infinity Nets del 2000 dove la rete è un rinvio alla virtualità e al gioco tra assenza e presenza della rete fisica che “pesca”; opera molto suggestiva al livello estetico, che con i suoi rilievi ci costringe continuamente a cambiare il punto di vista su vuoto ed essere. L’omaggio a Fluxus nella terza sala, movimento molto aperto, presenta tutte opere della Collezione Luigi Bonotto e ci porta nella seconda sezione dedicata appunto al flusso.
Flusso
Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta alcune mostre storiche hanno interpretato sviluppi come la smaterializzazione dell’arte, l’avvento di opere-sistema e opere-processo, l’ampliamento dei linguaggi come conseguenza della crescente informatizzazione della società, dell’avvento dell’elaborazione dei dati e delle piattaforme globali di comunicazione, affiancando per la prima volta opere d’arte contemporanea, dispositivi tecnologici e i primi esempi di new media art.
Proseguendo idealmente questa linea di ricerca, la sezione Flusso presenta una selezione di opere di epoche diverse, dalle avanguardie storiche ai giorni nostri, testimoni del radicale impatto dell’informatizzazione e delle reti digitali sulla percezione della realtà materiale. Le dimensioni indagate sono quelle della materialità non-atomica dei dati, del bit come unità minima dell’informazione, del pixel come unità minima dell’immagine digitalizzata, del software come processo che può o meno generare un output sensibile. La sezione rende dunque conto della complessa maniera di esistere dell’arte nel cosiddetto “Informational Milieu”.
Le sale ospitano lavori di precursori come Giacomo Balla con I numeri innamorati del 1923; Umberto Boccioni, con il suo bozzetto preparatorio per Materia; František Kupka e Pablo Picasso con La Bouteille Bass stabilendo un dialogo ideale tra Futurismo e Cubismo alla ricerca di una quarta dimensione, sia essa il tempo o quella appunto nella quale la materia svanisce; opere che introducono al dinamismo percettivo dell’Arte Programmata legate ad una mostra realizzata in un negozio a Milano che evidenzia come il punto di partenza di un’opera d’arte possa essere comune da una matrice di compositiva e riproducibile (qui i lavori tra gli altri di Carla Accardi, che Grazia Varisco, ha Getulio Alviani o Enzo Mari e Bruno Munari) e di Fluxus insieme ad altri lavori degli anni Sessanta e Settanta che rappresentano sistemi complessi e basati su processi, istruzioni e programmi – da Agnes Martin a Roman Opałka, da Vera Molnár a Lillian F. Schwartz – accanto a numerose opere recenti di artiste e artisti internazionali.
Simulazione
L’età dell’informazione ha vaporizzato la realtà in una serie di esperienze relazionali, comunicative e mediali, in cui la materia di cui è fatto il reale si sublima nell’intangibilità del “virtuale”.
Vissuto inizialmente come una dimensione radicalmente altra, accessibile solo attraverso un temporaneo abbandono della realtà reso possibile da specifiche tecnologie immersive – analogiche come i panorami o digitali come i caschi di realtà simulata – il virtuale è andato progressivamente identificandosi con la realtà stessa, a mano a mano che le nostre relazioni ed esperienze venivano facilitate da schermi, dispositivi e reti di comunicazione.
La terza sezione si concentra quindi sullo snodo tra reale e virtuale, in un percorso cronologicamente altalenante che pone in dialogo opere che indagano criticamente l’impatto delle simulazioni sul nostro modo di percepire la realtà concreta – Lynn Hershman Leeson e Seth Price, tra gli altri – con altre che, attraverso il mezzo pittorico, ne amplificano la percezione creando potenti illusioni visive – Richard Estes, Duane Hanson, René Magritte – e altre ancora che costruiscono realtà alternative convincenti e immersive, mediate o meno dall’uso di dispositivi tecnologici di realtà virtuale e realtà aumentata, in un percorso che procede da lavori pionieristici a opere recenti, da Rebecca Allen a John Gerrard, da Jon Rafman a Timur Si-Qin. Interessante il paradosso dell’Iperrealismo che come una foto cattura una realtà che spesso non esiste come il caso di foto di volti inesistenti in realtà costruiti a livello digitale unendo artificialmente elementi presi da volti reali. In mostra anche il primo esempio di Photoshop con l’immagine deformata, decostruita e rivista e corretta della compagna del programmatore, inquadrata di schiena di fronte al mare di Bora Bora; e ancora un’opera dell’universo di Second Life nato nel 2006 dell’artista Italia Gazira Babeli esistita solo come Avatar. Conclude il percorso il lavoro di Ai Weiwei, Untitled, che ricostruisce in mattoncini Lego del Déjeuner sur l’herbe di Georges Seurat – e dove all’interno è presente un naufrago che ci riporta ai temi sociali tipici dell’artista cinese – omaggio al Pointillisme che in funzione dell’evoluzione scientifica ha cominciato a destrutturare l’immagine. In fondo come ebbe a dire Nietzsche non esistono fatti ma solo interpretazioni e dopo l’assetto Parmenideo-aristotelico della negazione del vuoto come non-essere e non intelligibile, la linea del non-essere come diverso intravista da Platone, si è affermata come determinante. Diversità è anche una questione di prospettiva tra sogno e realtà ad esempio, come ben mostrò il Surrealismo rappresentato in mostra da una bella opera di René Magritte che sembra uscita da un video gioco. E il gioco dell’ultima sala evidenzia proprio come realtà e assenza siano nella nostra mente e le nuove frontiere della scienza e delle tecnologie stanno proprio esplorando il vuoto ad esempio dato dalla perdita di memoria. Ora questa mostra non è tematica sul vuoto a dispetto del titolo ma sulla possibilità delle opere d’arte e del vissuto della realtà in un’epoca post-digitale. Percorso di ricerca interessante che evidenzia quanto una mostra d’arte oggi non sia solo né soprattutto una vetrina di ‘oggetti’.
Meru Art*Science Research Program
La mostra si avvale della collaborazione della Fondazione Meru – Medolago Ruggeri per la ricerca biomedica, già promotrice, tra il 2013 e il 2017, con Associazione BergamoScienza e GAMeC, del prestigioso Meru Art*Science Award, finalizzato alla promozione di progetti artistici legati allo sviluppo delle ricerche scientifiche.
Il nuovo programma di ricerca – Meru Art*Science Research Program – finanzia la realizzazione di un progetto site-specific per lo Spazio Zero della GAMeC, come avvenuto in occasione delle mostre Black Hole e Nulla è perduto.
Per Salto nel vuoto, i MSHR (Brenna Murphy e Birch Cooper) presentano una nuova installazione della serie Nested Landscapes (2017- in corso), che esplora e potenzia livelli diversi di immersività e di fruizione che si manifestano, intenzionalmente o meno, ogni volta che si presenta la realtà virtuale in uno spazio pubblico. Nelle sue installazioni, MSHR crea infatti sistemi complessi radicati nella cibernetica e nella teoria dell’informazione, che intersecano diversi processi di feedback tra ambiente e spettatore, e che attivano quest’ultimo come protagonista di un esperimento che estende la realtà percepita sollecitando al contempo, attraverso la realtà virtuale, la riattivazione di forme di pensiero creativo e mind wandering connesse a quello che le neuroscienze chiamano DMN (Default Mode Network), normalmente compromesse dalla distrazione indotta dai dispositivi e dai flussi di informazione digitali.
Artisti in mostra
Josef Albers, Agostino Bonalumi, Regina Cassolo Bracchi, Enrico Castellani, Dadamaino, Jean Degottex, Aleksandra Domanović, Ann Veronica Janssens, Yayoi Kusama, Francesco Lo Savio, Scott Lyall, Fabio Mauri, Aiko Miyawaki, Andrés Ramírez Gaviria, Antoine Schmitt, Gerhard von Graevenitz.
Carla Accardi, Cory Arcangel, Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Maurizio Bolognini, Paolo Cirio, John F. Simon Jr., Channa Horwitz, Ryoji Ikeda, Vladan Joler, František Kupka, Sol LeWitt, Mark Lombardi, Agnes Martin, Eva e Franco Mattes, Vera Molnár, Roman Opałka, Trevor Paglen, Pablo Picasso, Casey Reas, Evan Roth, Lillian F. Schwartz, Hito Steyerl, Addie Wagenknecht. Arte Programmata 1962: Gruppo T [Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Grazia Varisco] Gruppo N [Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi], Getulio Alviani, Enzo Mari, Bruno Munari. Fluxus [Nanni Balestrini, John Cage, Robert Filliou, Alison Knowles, Yoko Ono, Nam June Paik, Mieko Shiomi].
Rebecca Allen, Gazira Babeli, Petra Cortright, Constant Dullaart, Richard Estes, John Gerrard, Elisa Giardina Papa, Duane Hanson, Lynn Hershman Leeson, Agnieszka Kurant, JODI, René Magritte, MSHR, Katja Novitskova, Seth Price, Jon Rafman, Rachel Rossin, Manuel Rossner, Jeffrey Shaw, Timur Si-Qin, Ai Weiwei.
a cura di Ilaria Guidantoni