Articolo pubblicato in BeBeez Magazine del 24 giugno 2023
di Giuliano Castagneto
Con la volatilità dei mercati e la fiammata inflazionistica il private capital è diventato un’asset class molto più attraente rispetto anche a pochi anni fa per gli investitori privati, sia quelli più facoltosi, titolari di family office o clienti di fascia alta del private banking, sia quelli benestanti, titolari di partrimoni più contenuti o addirittura risparmiatori retail, che decidono di avvicinarsi a questo mercato sottoscrivendo prodotti ad hoc che sono via via proposti da varie case d’investimento oppure creandosi un loro “giardinetto” acquistando quote di startup e pmi sottoscrivendo campagne di equity crowdfunding sulle varie piattaforme.
D’altra parte l’interesse degli asset manager alternativi a coinvolgere i privati nella loro rosa di investitori è comprensibile, visto che si tratta di una prateria ancora molto poco esplorata e quindi le potenzialità di crescita di questo segmento di funding sono molto importanti. E l’Italia non fa eccezione. Anzi. Per certi versi è uno dei paesi che in Europa attrae di più.
Appena sbarcata in Italia (si veda altro articolo di BeBeez), è per esempio la società di gestione tedesca Golding Capital Partners, i cui clienti di riferimento sono sempre stati gli investitori istituzionali, guarda con molto interesse, e ha già contattato, diversi family office tricolore, soprattutto per proporre loro, oltre agli altri strumenti, alcuni fondi e fondi di fondi che investono in secondary private equity.
Nel frattempo, è di questi giorni l’annuncio da parte di Blackstone che proprio dall’Italia partirà la raccolta di un nuovo fondo paneuropeo di direct lending le cui caratteristiche sono tagliate su misura degli investitori privati facoltosi (si veda altro articolo su BeBeez). Annuncio contestuale a quello del lancio da parte di Muzinich di un secondo fondo dedicato al rescue finance, cioè il finanziamento di imprese momentaneamente bisognose di liquidità (ma non in crisi) in collaborazione con Azimut, il cui bacino di raccolta come noto è composto da High Net Worth Individual (HNWI) (si veda altro articolo di BeBeez). Con Azimut che in Italia è i prima linea sul fronte della “democraticizzazione” dei private markets, dato che nel 2019 si è posto l’obiettivo di raggiungere a fine 2024 un peso del private capital del 15% sulle risorse in gestione dal 12%, per 6,5 miliardi di euro, di fine 2022 (si veda altro articolo di BeBeez). E che a questo obiettivo sta arrivando sollecitando sia HNWI sia risparmiatori privati con possibilità economiche molto più limitate.
Resta vero comunque che la platea di investitori italiani cosiddetti esperti o semiprofessionali (gli HNWI e i family office) sembra diventata la nuova frontiera degli addetti al marketing delle società di private capital. Uno dei motivi è senza dubbio l’abbassamento, in vigore dal marzo del 2022, della soglia minima di investimento nei fondi alternativi riservati per gli investitori non professionali da 500 mila a 100 mila euro (si veda altro articolo di BeBeez).
L’asset allocation dei family office italiani
Stando all’edizione del settembre 2022, l’ultima disponibile, del Report dell’Osservatorio sui Family Office del Politecnico di Milano, due terzi dei single family office italiani avevano aumentato dal 2020 al 2021 il peso del private equity (in media pari al 14%) nella propria asset allocation, ma tutti avevano dichiarato di volerlo aumentare nei successivi 5 anni (si veda altro articolo di BeBeez). Non a caso, i ritorni sugli investimenti nel 2021 sono stati infatti per la maggior parte al di sopra, o molto al di sopra, delle aspettative. L’aumento dell’importanza del private equity nell’asset allocation dei family office era già stato evidenziato dalla Family office Survey di PwC, realizzata in collaborazione con Mondo Institutional in base a un sondaggio condotto a fine 2021 tra 36 tra i più importanti family office con sede legale in Italia e nella Svizzera italiana (si veda altro articolo di BeBeez). Dalla ricerca emergeva che Il 79% dei family office intervistati, prevedeva di aumentare gli investimenti in quote di fondi di private equity e venture capital dopo che nel 2020 questi investimenti erano arrivati a pesare per il 13% sul totale del portafoglio dal 10% del 2019. Inoltre, il 71% degli intervistati prevedeva di incrementare anche il peso degli investimenti diretti in società, co-investimenti e partecipazioni a club deal (sia di equity sia di debito), che era già salito al 7% del portafoglio nel 2020 dal 6% del 2019.
“Le famiglie imprenditoriali italiane sentono sempre più l’esigenza di investire la nuova liquidità riveniente dalla cessione delle rispettive aziende, e sempre più spesso ricorrono alla soluzione verso la quale si sentono più portati, ossia l’investimento nelle imprese, sia direttamente che tramite fondi”, spiega Roberta Crivellaro, partner responsabile di Withers, studio legale e fiscale specializzato negli aspetti giuridici e tributari legati alla gestione dei patrimoni di grandi famiglie imprenditoriali. Sono state tante infatti le cessioni parziali o totali di aziende da parte di altrettante famiglie imprenditoriali e di manager negli ultimi anni. Il database di BeBeez, Private Data, ne ha censite 80 nei primi cinque mesi del 2023, e ben 280 nell’arco del 2022.
Ciò ha contribuito a fare dell’Italia uno dei mercati più ambiti per i player globali del private capital, nei cui mercati di origine family office e HNWI sono da tempo un affidabile bacino di domanda dei rispettivi prodotti, che mediamente hanno un peso del 20% in portafoglio. “Sono sempre più numerosi i clienti che ci chiedono di valutare strumenti di investimento in private capital che gli vengono proposti tramite le principali private bank”, confida a BeBeez Magazine il responsabile dei prodotti illiquidi di uno dei principali multifamily office milanesi, che continua: “Non tutte le proposte ricevono semaforo verde da noi. Selezioniamo quelle che ci appaiono coerenti con il profilo della nostra clientela”. Dove per coerenti il manager intende quelle compatibili con la preferenze e il background del cliente investitore: “Si tratta per esempio di fondi di private equity che hanno un focus territoriale e/o settoriale condiviso dal cliente che ce li segnala. Un industriale del design si sente più a suo agio con un fondo che vuole finanziare il buyout di un’azienda del mobile, perché conosce le dinamiche e le criticità del settore”.
Ma non c’è solo il private equity nei pensieri di chi ha bisogno di investire un’abbondante liquidità frutto della cessione parziale o totale dell’azienda di famiglia. “Indagini condotte da alcune banche globali su 230 family office di 30 Paesi prevedono per la fine del 2023 un aumento del 5% del peso aggregato di private debt e infrastrutture nei portafogli della clientela servita dai family office, con il private equity invariato a circa il 15%. In Italia si è a livelli inferiori, mediamente al 10%, ma tutto indica una tendenza all’aumento di quella percentuale”, riferisce Emanuela Musci, managing director del multifamily office S&O, che gestisce i patrimoni di alcune famiglie industriali emiliane, che così motiva la sua aspettativa: “Vedo un sempre maggiore interesse per i private market, anche per il mercato secondario nelle sue varie forme, perché il momento storico concede di accedere a fondi a sconto, cui si aggiunge il ridotto J curve effect, che lo rendono più appetibile”. Parole che fanno eco a quelle di Laura Tardino, country head per l’Italia di Golding, confermate nell’edizione 2023 del Global Family Office Report di UBS.
Più in generale, ad attirare l’interesse degli investitori-imprenditori c’è “il fatto che gli investimenti in asset reali in senso lato costituiscono una protezione dall’inflazione”, aggiunge Musci, che segnala anche il buon gradimento riscosso dagli Eltif, gli European Long Term Investment Fund, la cui soglia minima di investimento, 10 mila euro, li rende accessibili a una platea di investitori privati molto più vasta, anche per l’appeal esercitato dalla deducibilità del 30% della cifra investita e l’esenzione dal capital gain.
Ecco perché piace anche il venture capital
Un’altra asset class che sta riscuotendo crescenti consensi presso i risparmiatori di alto profilo e i family office è il venture capital, il che suona per certi versi sorprendente considerato che anche tra questi investitori fino a qualche anno fa le asset class più apprezzate erano il real estate, soprattutto residenziale, e i titoli di Stato. “Il venture capital sta diventando popolare tra gli investitori più esperti grazie certamente agli incentivi fiscali, in particolare la detrazione che ammonta al 30% dell’investimento, ma soprattutto per la sua natura anticiclica e decorrelata dai mercati, quindi molto meno volatile”, sottolinea Elisa Schembari, key partner del fondo Kairos Ventures ESG One, che traghetterà nei prossimi mesi un secondo closing.
“Affidarsi a un fondo di venture capital potrebbe essere vantaggioso anche per i business angel, per i quali investire direttamente in poche aziende in fase early stage può essere molto rischioso, investirci invece indirettamente tramite un fondo aiuta a diversificare e a ridurre il profilo di rischio, senza rinunciare agli incentivi fiscali e beneficiando dei potenziali ritorni elevati che questa asset class può riservare”, aggiunge Roberto Zanco, responsabile degli investimenti alternativi illiquidi di Kairos Partners sgr, key partner e gestore del fondo Kairos Ventures ESG One, insieme a Schembari. E poi c’è il tema Eltif. Aggiunge Zanco: “Gli strumenti Eltif compliant, a differenza dei fondi chiusi, sono tra i veicoli europei più adatti e utilizzati per una gestione del capitale di rischio illiquido nella forma del permanent capital, modalità di gestione del capitale che di recente si sta
affermando soprattutto negli Stati Uniti anche tra gli operatori venture, come la famosissima Sequoia Capital. Riteniamo inoltre possa essere un’opportunità interessante quella di sviluppare un prodotto di venture capital non riservato che possa dare accesso a questa asset class anche ad una classe di investitori retail con disponibilità di investimento inferiori”.
Che il venture capital attiri anche l’interesse delle famiglie imprenditoriali lo dice poi chiaro ancora Musci di S&O: “Per quanto l’allocation delle nostre famiglie sia prudenziale, un peso residuale del portafoglio viene investito nel venture. Trattandosi di imprenditori, spesso visionari, questi vengono infatti attratti dalle capacità di giovani colleghi, nonché dalle opportunità accedere o entrare in contatto con tecnologie di cui ancora non disponevano, ma che ritengono necessarie anche al fine di migliorare la sostenibilità del proprio business”.
Tuttavia il forte aumento sia della liquidità disponibile di tanti imprenditori, sia della disponibilità a investire in private capital non vuol dire affatto che il mercato italiano è una tavola apparecchiata per il banchetto. Il motivo lo spiega Crivellaro di Withers: “Il liquidity event, soprattutto quando coinvolge una famiglia, deve essere anticipato da una razionalizzazione del patrimonio familiare, fino a poco tempo prima rappresentato nella quasi totalità dall’azienda. Gli asset esterni al core business vanno infatti segregati in una apposita struttura (una holding per esempio) in modo che non vi siano commistioni con l’azienda operativa. Dopo di che vanno prese delle decisioni, magari con l’ausilio di un family officer, riguardo le priorità finanziarie e l’asset allocation. Non è un processo rapidissimo”. E inoltre, pare proprio che il numero degli invitati al banchetto possa rivelarsi molto limitato. “Se per un investitore istituzionale come un fondo pensione o una fondazione è importante selezionare gli operatori stabilmente nel primo quartile in termini di track record e rendimento, nel caso di HNWI e family office ciò diventa una priorità assoluta”, conclude Musci.