Dopo che lo scorso 16 settembre la grande maggioranza dei creditori ha votato no al piano concordatario presentato dalla famiglia Grotto per il rilancio del gruppo di Chiuppano (Vicenza) produttore dei noti jeans Gas (si veda altro articolo di BeBeez), scatta la corsa contro il tempo per trovare una soluzione che eviti il fallimento.
Secondo quanto risulta a BeBeez, la settimana prossima dovrebbe essere fissato un incontro al Ministero dello Sviluppo Economico con la tutte le controparti, dai rappresentanti della famiglia, al commissario giudiziale, dai principali creditori ai rappresentanti sindacali, in modo da esaminare le possibili opzioni e accordarsi affinché la società possa chiedere al Tribunale di Vicenza di non fissare immediatamente la data per per l’istanza di fallimento e concedere un’ennesima proroga dei tempi procedurali, in modo da trovare una quadra.
Nel frattempo, infatti, secondo quanto risulta a BeBeez, tre potenziali investitori seri di matrice industriale e imprenditoriale hanno contattato i creditori finanziari per sondare il terreno nel momento in cui si proponessero alla società nella veste di cavaliere bianco con il MISE che a sua volta starebbe mettendo a disposizione tutti gli strumenti possibili a supporto del salvataggio, in primo luogo prevedendo l’intervento del Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività d’impresa previsto dall’art. 43 del Decreto Rilancio (qui il testo coordinato del Decreto Rilancio del 19 maggio 2020 n. 34 con la legge di conversione 17 luglio 2020 n. 77), sulla falsariga di quanto già fatto per Corneliani (si veda altro articolo di BeBeez) e Canepa (si veda altro articolo di BeBeez). E la sensazione è, dicono a BeBeez fonti vicine al dossier, che Dea CCR II, il principale creditore finanziario, sarebbe pronto a intervenire al fianco del nuovo investitore e del MISE, convertendo parte dei crediti in portafoglio in equity e/o investendo nuova finanza. Una mossa che ragionevolmente potrebbe fare anche AMCO, a sua volta importante creditore. Si parla di necessità di nuova finanza per 6-10 milioni di euro.
Ricordiamo che in occasione dell’adunanza dei creditori di Grotto a far saltare il banco era stata in particolare l’astensione dal voto (che per la legge vale come voto negativo di fatto) proprio di DeA Capital Alternative Funds sgr, che detiene il 51% del debito, ossia 34,5 milioni di euro, tramite il fondo Dea Capital CCR II. Quest’ultimo a fine 2017 aveva acquistato dalle banche creditrici i crediti a medio-lungo termine di Grotto, insieme ai crediti di altre otto aziende (Canepa, Snaidero, Calvi, Pieralisi, Biokimica, Trend Group, Consorzio Latte Virgilio e Zucchi, si veda altro articolo di BeBeez). Nelle scorse settimane, poi, il fondo ha comprato anche i crediti a breve termine ancora in portafoglio a Unicredit (compresi nel calcolo dei 34,5 milioni).
Secondo quanto risulta a BeBeez, poi, in adunanza Banco BPM non si è nemmeno presentato (anche questa una mossa che equivale a un voto negativo), mentre non è chiaro se Intesa Sanpaolo e MPS abbiano davvero votato a favore, come invece aveva indicato la stampa locale nei giorni scorsi. In ogni caso le banche vantano al momento crediti verso Grotto per circa 4-5 milioni. Chi ha votato a favore del piano sono stati invece di sicuro AMCO (12,7 milioni), l’Agenzia delle Entrate e alcuni fornitori strategici.
Alla fine dello scorso marzo l’indebitamento complessivo di Gas ammontava a 53,7 milioni di euro, mentre i ricavi della società a fine 2020 erano scesi a 25 milioni dai 41,5 milioni del 2019 (già si erano praticamente dimezzati dagli oltre 80 milioni del 2016), quando aveva registrato un ebitda di 3 milioni (circa 1,5 milioni nel 2020) e una perdita di 350 mila euro, a fronte di un debito finanziario netto di 1,7 milioni ma con un patrimonio netto negativo per 40,8 milioni, dopo la perdita di 30,8 milioni del 2018 (si veda qui il report Leanus, dopo essersi registrati gratuitamente).
Ricordiamo che il piano presentato da Grotto non prevede l’intervento di un nuovo investitore, né nuova finanza né una nuova governance, ma basa l’ipotesi di rilancio della società sul successo di nuove iniziative commerciali e soprattutto sull’esito di una serie di azioni risarcitorie in corso. Nel dettaglio era stata infatti deliberata una azione di responsabilità, votata dalla stessa famiglia Grotto, nei confronti di Enrico Acciai, Claudio Grotto, la figlia Barbara, i fratelli Giuseppe e Roberto, come membri del cda, ma anche del collegio sindacale, dei revisori di EY e dei consulenti Roland Berger e Mediobanca, per i precedenti piani di risanamento che avrebbero solo peggiorato la situazione patrimoniale (tra 2015 e 2019 di 25 milioni di euro).
Secondo quanto risulta a BeBeez, gli uomini di CCR II avrebbero deciso di non approvare il piano scritto dall’amministratore unico Cristiano Eberle, perché non ritengono realistico che queste soluzioni permettano alla società effettivamente di riprendersi. D’altra parte anche lo stesso commissario giudiziale Guerrino Marcadella nella sua ultima relazione sul piano concordatario inviata al giudice delegato Giuseppe Limitone lo scorso agosto ritiene che “visto il trend e l’andamento del settore di riferimento, il raggiungimento degli obiettivi di piano non sia a oggi tecnicamente possibile“, tuttavia concede che tra l’ipotesi di piano (31,9 milioni di euro di generazione di flussi da offrire ai creditori) e l’ipotesi minimale (19,1 milioni), corrispondente alla liquidazione dopo una sentenza di fallimento, ci sia una differenza di 12 milioni a favore del piano che consentirebbe quindi una soddisfazione pur minima dei creditori chirografari (si veda altro articolo di BeBeez).
Per Grotto quello appena andato a monte era l’ennesimo tentativo di mettere in sicurezza l’azienda. Ricordiamo che la società già nel 2012 aveva siglato un’accordo con le banche sulla base di un piano attestato ex art. 67 della Legge Fallimentare ma che poi quell’accordo era saltato nel 2014 ed erano iniziate nuove discussioni con le banche per un accordo sulla ristrutturazione del debito ex art. 182-bis. Alla fine nel 2018 si era arrivati poi a siglare un’intesa per un nuovo accordo ex art. 67 che prevedeva la trasformazione di parte dei crediti in strumenti partecipativi e l’iniezione di 4 milioni di euro di nuova finanza, di cui una parte proveniente dalla famiglia Grotto (si veda altro articolo di BeBeez). Il debito già allora era in mano ad AMCO (allora ancora SGA) e al fondo CCR I, con le banche che avevano a loro volta già in pegno le azioni Grotto a garanzia dei finanziamenti erogati alla controllante Luna srl. Si parlava allora di un’esposizione complessiva di 50-60 milioni di euro.
L’operazione non era però poi andata a buon fine e nel giugno 2019 Grotto aveva richiesto al Tribunale di Vicenza, come detto sopra, l’ammissione al concordato in bianco (si veda altro articolo di BeBeez). All’epoca, la società aveva confermato l’interesse di alcuni investitori a entrare nel gruppo immettendo nuova finanza e avviato un piano di rinnovamento aziendale per consolidare la redditività e il posizionamento dell’azienda nel suo settore, che prevedeva la razionalizzazione dei canali distributivi e dei costi. Grotto è stata poi ammessa al concordato preventivo in continuità nel novembre del 2019.
Successivamente, però, gli obiettivi del piano si sono rivelati troppo ambiziosi vista l’emergenza Covid-19 e la società aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale la possibilità di presentare un nuovo piano concordatario, che era stato poi depositato a inizio dello scorso febbraio. Nel frattempo però l’accordo con il soggetto industriale che inizialmente avrebbe dovuto ricapitalizzare la società non si è mai concretizzato.