Si avvicina il fallimento per Gas, marchio di abbigliamento casual di proprietà del Gruppo Grotto, a sua volta controllato da Claudio Grotto e partecipato da altri componenti della famiglia. Lo scrive NordEstEconomia.
A decretare la fine dell’azienda è stato il mancato pronunciamento sul piano concordatario, in occasione dell’assemblea dei creditori del 16 settembre scorso (si veda altro articolo di BeBeez), di DeA Capital Alternative Funds sgr, detentore del 51% del debito, ossia 34,5 milioni di euro, tramite il fondo Dea Capital CCR II. Quest’ultimo nel 2017 aveva acquistato dalle banche creditrici i crediti a medio-lungo termine di Grotto, insieme ai crediti di altre otto aziende (Canepa, Snaidero, Calvi, Pieralisi, Biokimica, Trend Group, Consorzio Latte Virgilio e Zucchi, si veda altro articolo di BeBeez).
Per la legge fallimentare italiana l’astensione sul piano di Gas da parte di DeA Capital equivale al dissenso. Invece AMCO, Unicredit, Intesa, MPS e UBI Banca hanno approvato il piano di Gas. Le banche hanno in pegno le azioni Grotto a garanzia dei finanziamenti erogati alla controllante Luna srl. Alla fine dello scorso marzo l’indebitamento complessivo di Gas ammontava a 53,7 milioni di euro: oltre a quello detenuto da Dea Capital, si tratta di 12,7 milioni vantati da Amco e 6,5 milioni distribuiti fra MPS, Intesa, Unicredit e BPM.
Federico Casa, il legale vicentino che con gli avvocati Fabio Sebastiano e Paolo Dal Soglio aveva presentato la proposta di concordato in continuità per l’azienda, ha spiegato a NordEstEconomia: “Nei prossimi giorni il tribunale fisserà la data per l’istanza di fallimento, che salvo novità imprevedibili sarà dichiarato a metà novembre. Nel momento in cui verrà dichiarata fallita, il giorno dopo la Gas Jeans invierà le lettere di licenziamento ai suoi 200 dipendenti, verrà venduta a pezzi, la parte immobiliare, il marchio. I dipendenti potranno insinuarsi nel passivo per recuperare il tfr, perché per il momento non verrà loro corrisposto”.
L’amministratore unico di Gas, Cristiano Eberle, ha commentato: “In questi due anni l’azienda ha meritato di essere salvata. L’atteggiamento di Dea Capital è incomprensibile. Il piano presentato è stato giudicato preferibile al fallimento sia dal Tribunale che dal commissario giudiziale, mentre il Tribunale delle Imprese di Venezia ha apprezzato la gestione di una emergenza, vissuta senza nessun supporto bancario all’interno di una crisi come quella del Covid. AMCO, secondo creditore, ha votato a favore. Il MISE si è detto disponibile a sostenere l’azienda nel percorso concordatario. E questo con in cassa 8 milioni di euro e un ebitda positivo. Due più due fa quattro, in questo caso ha fatto tre”.
Il commissario giudiziale Guerrino Marcadella nella sua ultima relazione sul piano concordatario inviata al giudice delegato Giuseppe Limitone aveva scritto che ci sarebbe stato più valore per i creditori in caso di continuità aziendale che in caso di fallimento. Il Tribunale delle Imprese inoltre aveva già promosso lo stesso piano concordatario scritto dall’amministratore unico Cristiano Eberle. Tra l’ipotesi di piano e il fallimento, infatti, ci sarebbe una differenza di 12 milioni a favore del piano che consentirebbe una soddisfazione pur minima dei creditori chirografari (si veda altro articolo di BeBeez). Il piano concordatario, infatti, prevedeva il pagamento integrale dei crediti privilegiati e prededucibili e il 20% dei chirografari, rimodulabili al rialzo con il successo delle nuove iniziative commerciali e l’esito di una serie di azioni risarcitorie in corso.
Il nuovo piano si reggeva anche sulla deliberazione di una azione di responsabilità, votata dalla stessa famiglia Grotto. La causa civile era nei confronti di Enrico Acciai, Claudio Grotto, la figlia Barbara, i fratelli Giuseppe e Roberto, come membri del cda, ma anche del collegio sindacale, dei revisori di EY e dei consulenti Roland Berger e Mediobanca, per i piani di risanamento che avrebbero solo peggiorato la situazione patrimoniale (tra 2015 e 2019 di 25 milioni di euro). Gli ulteriori possibili incassi dell’azione di responsabilità avrebbero dovuto essere offerti ai creditori. Tuttavia, non erano state registrate serie manifestazioni di interesse a rilevare tutta o parte della società in caso di fallimento con cessione di azienda.
Ricordiamo che Gas era stata ammessa alla procedura di concordato in bianco due anni fa e successivamente alla procedura di concordato pieno in continuità. L’ultima versione del piano concordatario presentata in tribunale prevedeva anche la partecipazione dei dipendenti al salvataggio, con Claudio Grotto, oggi socio maggioritario al 65%, che avrebbe regalato il 10% sua quota (si veda altro articolo di BeBeez). Quindi con il nuovo piano la famiglia Grotto sarebbe rimasta socia di riferimento con il 90% con i dipendenti appunto al 10%. Su quest’ultimo fronte, era in corso la formazione di una cooperativa di consumo che contava già sull’adesione di 70 lavoratori (della produzione come dei negozi monomarca).
Per Grotto questo era il terzo tentativo di mettere in sicurezza l’azienda. Ricordiamo che la società già nell’ottobre 2018 aveva siglato con i finanziatori un’intesa per la ristrutturazione del debito, che prevedeva la trasformazione di parte dei crediti in strumenti partecipativi e l’iniezione di 4 milioni di euro di nuova finanza, di cui una parte proveniente dalla famiglia Grotto (si veda altro articolo di BeBeez). Il debito già allora era in mano ad Amco (allora ancora SGA) e al fondo CCR I, con le banche che avevano a loro volta già in pegno le azioni Grotto a garanzia dei finanziamenti erogati alla controllante Luna srl. Si parlava allora di un’esposizione complessiva di 50-60 milioni di euro.
L’operazione non era però poi andata a buon fine e nel giugno 2019 Grotto aveva richiesto al Tribunale di Vicenza, come detto sopra, l’ammissione al concordato in bianco (si veda altro articolo di BeBeez). All’epoca, la società aveva confermato l’interesse di alcuni investitori a entrare nel gruppo immettendo nuova finanza e avviato un piano di rinnovamento aziendale per consolidare la redditività e il posizionamento dell’azienda nel suo settore, che prevedeva la razionalizzazione dei canali distributivi e dei costi. Grotto è stata poi ammessa al concordato preventivo in continuità nel novembre del 2019.
Successivamente, però, gli obiettivi del piano si sono rivelati troppo ambiziosi vista l’emergenza Covid-19 e la società aveva chiesto e ottenuto dal tribunale la possibilità di presentare un nuovo piano concordatario, che era stato poi depositato a inizio dello scorso febbraio. Nel frattempo però l’accordo con il soggetto industriale che inizialmente avrebbe dovuto ricapitalizzare la società non si è mai concretizzato.
Gas è stata fondata nei primi anni ’70 da Claudio Grotto a Chiuppano (Vicenza). Dal 1984 disegna, produce e distribuisce collezioni di abbigliamento, calzature ed accessori per uomo, donna e bambino con il marchio Gas. Il denim è il core business dell’azienda. A partire dal 2005 la società ha intrapreso un progetto di riposizionamento del marchio, imperniato su una forte espansione in Europa e Asia: oltre all’apertura di negozi e flagship store, la società ha affiancato al quartier generale italiano sei nuove filiali in Europa (Spagna, Germania, Austria, Francia, Regno Unito ed Ungheria) e tre in Asia (Hong Kong, Shanghai, Giappone). Investimenti che sono stati tuttavia penalizzati dalla crisi del 2008.