Pillarstone Italy, il fondo sponsorizzato da Kkr dedicato al rilancio di aziende italiane con modelli di business solidi ma con difficoltà finanziare, tramite la newco PS Film spa, ha rilevato il 100% del capitale di Manucor, società specializzata nella produzione di film di polipropilene per imballaggi flessibili, etichette e nastri adesivi, di cui il fondo aveva rilevato i debiti a medio-lungo termine verso Intesa Sanpaolo nel dicembre 2015.
Lo scrive oggi MF Milano Finanza, ricordando che il passaggio di mano del debito di Manucor allora era avvenuto nell’ambito di un accordo più ampio che comprendeva l’acquisizione di un portafoglio di crediti da Intesa San Paolo e Unicredit verso cinque società per un valore nominale di circa un miliardo di euro: oltre a Manucor, Burgo, Lediberg, Alfa Park e Cuki (si veda qui l’avviso di cessione dei crediti al veicolo di cartolarizzazione Pillarstone Italy Spv srl in Gazzetta Ufficiale e altro articolo di BeBeez).
A quel portafoglio di crediti si erano poi aggiunti quelli verso Sirti, sempre con un accordo con Unicredit e Intesa Sanpaolo, e poi i crediti verso Premuda, con un accordo che si era allargato anche a Banca Carige. Sirti, Premuda e Lediberg sono poi passate, come Manucor, sotto il controllo di Pillarstone Italy. L’ultimo deal riguarda infine Rdb Armatori, poi dichiarata fallita dal tribunale di Torre Annunziata. Il tutto per un totale di circa 2 miliardi di euro di debiti bancari in gestione e per oltre 200 milioni di investimento.
John Davison, ceo e fondatore di Pillarstone, ha dichiarato a MF Milano Finanza: “In meno di tre anni abbiamo fatto grandi progressi nello sviluppare la piattaforma fino alle dimensioni attuali, proponendoci come soluzione specialistica per supportare le banche nella gestione dei loro crediti di difficile esigibilità. Investiamo capitale a lungo termine e le nostre competenze gestionali in aziende in difficoltà finanziaria, aiutandole a stabilizzarsi e tornare a crescere. Sono lieto di dare il benvenuto a Manucor nella piattaforma Pillarstone e non vedo l’ora di lavorare con il suo management team per sostenere la prossima fase di crescita”.
Tornando Manucor, la società dispone del più grande impianto produttivo del settore in Europa e i suoi film sono utilizzati dai principali marchi Europei del food & beverage. La società ha chiuso il 2017 con 136 milioni di euro di ricavi (dai 140 milioni del 2016) e 3,3 milioni di ebitda. Pillarstone ha ricapitalizzato la società convertendo 10,2 milioni di euro di debito in azioni e rendendo ulteriori 5 milioni convertibili a discrezione della società. Il debito residuo di 25 milioni di euro, tutto in portafoglio a Pillarstone, è stato poi riscandenziato al 2022 con struttura bullet.
Nell’operazione, Pillarstone è stata assistita da Deloitte in qualità di advisor finanziario e dagli studi De Luca & Partners e RCC in qualità di advisor legali.
Ora Manucor può focalizzarsi sulla fase di rilancio e tornare a crescere. Il nuovo piano industriale 2018-2022 prevede investimenti per 15 milioni di euro destinati alla riqualificazione della capacità produttiva per sostenere il miglioramento del mix di vendite. A seguito dell’operazione è stato nominato il nuovo Consiglio di amministrazione della società, che vede la conferma di Giuseppe Garofano come presidente e la nomina di Luigi Scagliotti come amministratore delegato. Scagliotti ha ricoperto diversi incarichi manageriali in aziende del settore, come Vibac, dove ha guidato le vendite per circa 10 anni e Macplast, dove ha gestito con successo il processo di turnaround.
Il coinvolgimento di Intesa nei confronti di Manucor (la ex Manuli film-Manuli packaging) risale al 2003, quando la banca aveva finanziato l’acquisizione del 90% della società da parte del fondo Equinox di Salvatore Mancuso, con un prestito-ponte da 150 milioni, poi trasformato a medio-lungo termine e ridotto a 95 milioni. Il 10% del capitale di Manucor allora era rimasto in capo ai fratelli Antonello, Sandro e Mario Manuli. Il peso del debito, però, aveva messo in crisi la società nel 2008 ed era stato necessario procedere a una sua ristrutturazione e a un contestuale aumento di capitale. In quell’occasione era uscito di scena il fondo Equinox, erano stati stralciati 22 milioni di euro nominali di debiti verso Intesa Sanpaolo e la loro trasformazione in 5 milioni nominali di equity di tipo subordinato e senza diritto di voto (50% del capitale). Contemporaneamente si era proceduto a un aumento di capitale sottoscritto da due nuovi investitori per 5 milioni nominali con diritto di voto, pari a 10 milioni di capitali freschi tenendo conto del sovrapprezzo: di questi Reno de’ Medici e Intesa Sanpaolo private equity avevano versato 4,5 milioni a testa, per il 22,75% a testa, mentre 900 mila euro erano stati versati dai Manuli.