Aumenta in Italia il rischio default per le Pmi. Lo scoppio della guerra russo-ucraina e il conseguente shock energetico hanno infatti peggiorato un quadro che sembrava essersi lasciato alle spalle gli effetti della pandemia. Stando al Rapporto PMI 2022 del Cerved, gruppo italiano leader nei dati finanziari e nella credit information, le imprese che si possono considerare in sicurezza nell’industria e nei servizi sono calate rispettivamente del 13,8 e dell’11,6% (dal 58,7% al 44,9% e dal 45,4% al 33,8%), con l’industria che ha registrato anche il maggior numero di aziende entrate in area di rischio (+5,1% se si considerano i debiti finanziari), mentre nei servizi crescono quelle in area di vulnerabilità (+8,5%, e +12,8% considerando i debiti finanziari) (si veda qui il report completo).
Questo nello scenario peggiore considerato dal rapporto, che implica l’escalation del conflitto russo-ucraino, il blocco delle forniture di gas da parte di Mosca, e la mancata attuazione delle riforme del PNRR, e che nel quadro generale vedrebbe una riduzione delle PMI in sicurezza dall’attuale 46,7% al 35,7% mentre quelle rischiose salirebbero dal 5,7% al 7,5% e quelle vulnerabili dal 13,9% al 20,8%.
Lo studio di Cerved, che esamina 160.000 imprese, si sofferma poi sugli effetti del deterioramento economico sui fatturati reali, i quali, a seconda degli scenari presi in considerazione, mostrano traiettorie separate. Nell’ipotesi più pessimistica, nel 2023 saranno in calo (-1% di media) in tutti i settori a eccezione delle costruzioni, così come diminuirà il Mol (-2,4%). Nello scenario moderato, in cui gli elementi di crisi di questi mesi non si spingono alle estreme conseguenze, i fatturati reali continueranno a salire anche nel 2023, seppur con una decelerazione. Il settore con la maggiore crescita stimata, cumulata nel biennio 2022-2023, è quello agricolo (+6,7%), seguito da costruzioni (+4,7%) e servizi (+4,5%), mentre l’industria si ferma a +2,5%.
Un altro effetto del peggioramento della congiuntura, fa notare il rapporto, è il riacutizzarsi del divario tra le imprese zombie, cioè quella per la quale il rendimento marginale atteso del capitale è inferiore al costo del capitale corretto per il rischio, e il resto del sistema delle PMI. Al momento ne risultano attive 13.851 (3.759 in più rispetto al 2021, quando invece erano calate di 6.708 unità), in particolare nei servizi e dell’industria, che presentano gravi ritardi nei pagamenti, in media 10 giorni dopo i termini concordati, contro i 6,8 giorni del resto delle PMI, e la quota di gravi ritardi si attesta sul 4,5%, contro il 2,8% delle aziende sane.
Come fanno notare gli analisti del Cerved, inoltre, la risposta delle PMI alla crisi energetica è eterogenea, e dipende dalla diversa esposizione allo shock. Gli impatti maggiori ricadrebbero soprattutto sui settori legati a produzione e lavorazione dei metalli e materiali per l’edilizia, o della carta, per il grande volume di energia impiegato nei processi produttivi.
Tra le aziende a impatto diretto, cioè quelle che subirebbero direttamente lo stop al gas russo (11.000), la quota che chiuderebbe in perdita è raddoppia in un anno (da 26,3% a 54,8%), mentre passa dal 26,3 al 45,8% in quelle a impatto indiretto (71.000); nelle restanti PMI, invece, l’aumento è di soli 6 punti percentuali (da 29,5% a 35,6%). Il numero di imprese che potrebbero incorrere in problemi di liquidità in seguito allo stop delle forniture si attesta al 24,8% per quelle a impatto diretto, al 19,5% per quelle a impatto indiretto e al 15,3% per le altre.
Il quadro del 2022 contrasta con quello dell’anno precedente, caratterizzato da una ripresa superiore alle aspettative, risultati positivi sui i bilanci, regolarità dei pagamenti, e miglioramento complessivo della solidità e della solvibilità delle imprese, anche grazie agli aiuti fiscali adottati in Europa. Dopo la flessione del 2020 (-1,8%), le PMI attive nel 2021 sono aumentate del 4,2% (163.349 contro le 159.925 del 2019), i fatturati, calati dell’8,2% nel 2020, sono cresciuti del 14,5%, portandosi a +5,1% rispetto al 2019, trainati dalle medie imprese, mentre il margine operativo lordo ha registrato il +23,7% sul 2020 e il +13% rispetto al pre-Covid. Ma proprio il migliorato stato di salute del sistema complessivo ha innescato un diffuso ricorso ai prestiti per far fronte ai mancati incassi approfittando delle favorevoli condizioni di mercato. Una dinamica che ha fatto aumentare il volume di debiti finanziari nei bilanci delle pmi, che sono passati da circa 232 miliardi nel 2019 a 260 nel 2020. E contemporaneamente è più che raddoppiato il volume di debiti finanziari a rischio, da 22 a 51 miliardi, per poi ridursi leggermente a settembre 2021 a 44 miliardi (si veda altro articolo di BeBeez)
Proprio a causa dei continui ribaltamenti di scenario, avverte l’osservatorio, le aziende devono adottare un approccio multidimensionale al rischio, e non devono mollare la presa sulla transizione verso un’economia sostenibile, la vera sfida dei prossimi anni secondo il Cerved, per scongiurare anche possibili effetti domino a livello finanziario. Un dato su tutti: chi non adotterà provvedimenti volti a mitigare i rischi fisici legati ai cambiamenti climatici avrà nel 2050 il 25% in più di probabilità di default rispetto a oggi, e il 44% in più di chi invece investe fin d’ora. Non solo: per le imprese ad alto rischio fisico (oltre l’8%) si prospetta nel 2050 una quota di costi annui per la ricostruzione pari all’1,6% dell’attivo e un aumento dei premi assicurativi fino al 3% del fatturato.
“Complessivamente, l’investimento che le PMI dovrebbero sostenere per finanziare fin d’ora il processo di transizione è di circa 135 miliardi di euro entro il 2030 (cioè il 47% dello stock delle immobilizzazioni materiali dichiarato nel 2020 e il 12,8% dell’attivo) – commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato leò Cerved, per il 79,7% a carico dell’industria (circa 109 miliardi), per l’8% dei servizi (quasi 11 miliardi) e il resto diviso tra costruzioni (4,3%, quasi 6 miliardi), commercio (4,1%, 5,6 miliardi), trasporti e public utilities (3,5%, quasi 4,8 miliardi) e agricoltura (0,4%, 570 milioni). Abbiamo stimato, però, che l’indebitamento aggiuntivo in condizioni di sicurezza delle PMI italiane sia di circa 81 miliardi di euro, quindi oltre la metà degli investimenti necessari potrebbe essere finanziata con un aumento dell’indebitamento senza un impatto significativo sulla solidità finanziaria: una sfida che le imprese, con il supporto intelligente del sistema bancario, sono ampiamente in grado di affrontare”.
“Oggi è fondamentale muovere lo sguardo lontano per connettere le logiche del presente alle sfide di lungo periodo”, prosegue Mignanelli. “Una transizione ordinata, nonostante gli alti costi nel breve termine, rappresenta la scelta migliore anche considerando gli andamenti economici e le prospettive di rischio, ma richiede la partecipazione attiva di tutti gli attori: il sistema politico, per la definizione di obiettivi chiari e di una strategia coerente per perseguire; il sistema produttivo, per l’adeguamento tempestivo dei loro modelli operativi; il sistema bancario, per cogliere con consapevolezza i rischi ma soprattutto le opportunità che derivano dalla transizione“.