Ha chiuso poco sotto il prezzo di ipo ieri nel suo primo giorno di quotazione la biotech Philogen, specializzata nello sviluppo di biofarmaci per i disturbi legati all’angiogenesi, come il cancro e l’artrite reumatoide. Il titolo ha infatti chiuso a 16,69 euro per azione rispetto ai 17 euro del prezzo di ipo, nella parte alta della forchetta di 15-18 euro indicata a metà febbraio, per una capitalizzazione iniziale di 690 milioni di euro (si veda altro articolo di BeBeez).
Philogen aveva ripreso a lavorare all’ipotesi di ipo nel novembre 2020 (si veda altro articolo di BeBeez), dopo aver studiato la quotazione in Borsa nel 2008 e poi nel 2011 (si veda qui il prospetto informativo del 2011), ma in entrambi i casi si era poi ritirata.
Nel maggio 2019 Philogen aveva annunciato un aumento di capitale da 62 milioni di euro sottoscritto da nuovi e precedenti investitori (si veda altro articolo di BeBeez). In quell’occasione, sulla base di un equity value di 355 milioni, era entrato nel capitale, con una quota di circa il 17%, anche The Equity Club, il club deal di investitori privati promosso da Mediobanca, guidato da Roberto Ferraresi, ex partner di PAI Partners. L’operazione era stata condotta attraverso i veicoli Palio Ordinarie spa e Palio Speciali srl (capitalizzato per il 50% dalla stessa Mediobanca, per il 21% da Roberto Ferraresi, tramite VFM srl, e per il resto da investitori privati), con il primo che prima dell’ipo è stato fuso per incorporazione in Philogen. All’operazione del 2019, accanto a The Equity Club, aveva partecipato anche un terzo veicolo, MRS srl, che riunisce altri investitori privati, tra i quali Roberto Marsella, consigliere di amministrazione di Philogen
Philogen è stata fondata nel 1996 dalla famiglia Neri, che prima dell’ipo la controllava al 46,3% tramite la holding Nerbio. Il 34% del capitale era invece nelle mani di Sergio Dompé, (tramite Dompé Holdings srl) numero uno dell’omonima multinazionale biofarmaceutica italiana fondata nel 1940 a Milano e che è anche investitore di The Equity Club.
In ipo sono state collocate azioni per il 10% del capitale (69 milioni di euro) in aumento di capitale ed è stata esercitata l’opzione di overallottment per circa un altro 1% (7 milioni) con vendita di azioni da parte di Nerbio srl e Dompé Holdings srl, per una raccolta complessiva quindi di 76 milioni. Al momento della quotazione, quindi, la famiglia Neri si è diluita al 41%, mentre Dompé Holdings è scesa al 30,18%. Palio Speciali è salito invece all’1,47% (si veda qui il Documento di registrazione).
I fratelli Duccio (ceo), Dario e Giovanni Neri sono nipoti dell’industriale farmaceutico Achille Sclavo. Quest’ultimo è il fondatore dell’azienda farmaceutica senese Sclavo, poi diventata Sclavo-Biocine e passata sotto il controllo di Guelfo Marcucci, l’imprenditore fiorentino fondatore negli anni ’80 di Video Music. Sclavo-Biocine è stata poi ceduta negli anni ’90 a Novartis. Dario Neri, in particolare, è direttore scientifico dell’azienda, professore di biomacromolecole al dipartimento di chimica applicata dell’Eth, il Politecnico Federale di Zurigo.
Philogen aveva chiuso il 2019 con 12,6 milioni di euro di ricavi, 636 mila euro di ebitda e un utile netto di 1,4 milioni. Nel 2020, però, i numeri sono peggiorati, perché la società si è concentrata sullo sviluppo clinico di alcuni prodotti più avanzati della pipeline, che ha determinato una maggiore incidenza dei costi collegati all’attività di ricerca e sviluppo a fronte di una riduzione dei ricavi generati da contratti con i clienti. Il gruppo ha così chiuso il 2020 con ricavi in calo stimati a 4,8 milioni, un ebtida negativo per 12,4 milioni e una perdita netta di 16,5 milioni e prevede di chiudere gli esercizi 2021-2023 con un risultato in perdita superiore rispetto alle stime di chiusura dell’esercizio 2020.
I proventi netti derivanti dall’ipo saranno utilizzati per effettuare gli studi clinici sui prodotti proprietari del gruppo. In particolare perper sostenere i costi relativi allo sviluppo clinico dei prodotti non in partnership e tutti i costi diretti di sperimentazione clinica necessari al completamento degli studi di Fase III in corso per i principali prodotti candidati Nidlegy e Fibromun. Inoltre, la società intende destinare parte delle risorse anche all’attività di ricerca e sviluppo di base, al fine di scoprire nuove indicazioni terapeutiche, nuove molecole e nuove tecnologie in grado di garantire una potenziale espansione futura della pipeline di prodotti. Infine, una parte residuale dei proventi sarà utilizzata per ampliare adeguatamente la capacità produttiva del gruppo al fine della prospettata commercializzazione dei prodotti, attraverso il completamento dell’impianto di produzione di Rosia (Siena).