
Sono stati tre mesi di fuoco quelli di maggio, giugno e luglio per Investindustrial, il gruppo di private equity fondato da Andrea Bonomi, che, intervistato per MF Milano Finanza da Stefania Peveraro, direttore di BeBeez, ha tenuto a dire che “in fondo queste operazioni sono quasi normale amministrazione, per un operatore come noi, che ha in gestione un totale di 10 miliardi di euro e che ogni anno deve far girare almeno il 15-20% del capitale in acquisto e in vendita, considerando che in media il periodo di investimento è 5/6 anni. Negli ultimi 12 mesi abbiamo investito per 1,5 miliardi e disinvestito per 1,9 miliardi”.
Sarà. Ma solo nell’ultima settimana Investindustrial ha annunciato l’accordo per portare in borsa a New York co la sua Spac il gruppo Ermenegildo Zegna e la vendita di Lifebrain, il più grande gruppo italiano di diagnostica di laboratorio, a Cerba HealthCare, a sua volta partecipata dal fondo svedese EQT, affiancato da PSP Investments. Mentre sempre nei giorni scorsi Guala Closures ha lasciato Piazza Affari a seguito della conclusione delle ultime fasi dell’opa, che ha portato Investindustrial al 100% del gruppo specializzato nella produzione di chiusure di sicurezza per bevande. Poco prima ha ceduto all’ex socio di joint venture, Black Diamond, la sua quota nel gruppo chimico italo-Usa Polynt-Reichold, ha siglato l’accordo per cedere ai cinesi di Fosun il controllo del luxury brand Sergio Rossi e ha comprato Targa Telematics, specializzata in soluzioni di telematica, smart mobility e piattaforme IoT digitali per operatori di mobilità. Per non parlare di altre due operazioni condotte sulla piazza americana e cioè una ricca exit da Knoll, il gruppo dell’arredamento per interni quotato al NYSE sul quale il fondo VII aveva puntato nel giugno 2020; e l’acquisizione della società di e-commerce californiana YDesign Group, da parte di International Design Holding, la piattaforma di arredamento e design di lusso che Investindustrial controlla in joint venture con Carlyle.
Detto questo, appunto Bonomi ha detto che tutto questo rappresentasolo in parte l’effetto di un ritorno alla piena attività dopo un momento di attività meno intensa per colpa del Covid-19: “Per la verità abbiamo lavorato tantissimo in tutti gli scorsi 12 mesi, quindi anche nel 2020. Non bisogna pensare soltanto alle operazioni che conduce direttamente il fondo, ma a quelle condotte dalle aziende che abbiamo già in portafoglio. L’anno scorso abbiamo lavorato molto su questo fronte e le nostre partecipate hanno chiuso ben 23 acquisizioni per investimenti che complessivamente hanno totalizzato 516 milioni di euro. Non mi pare poco”.
E ovviamente è vero, non è poco. Ma è anche vero che a colpire l’immaginario collettivo sono le operazioni alla Zegna. Dove ricordiamo che in ballo ci sono 880 milioni di dollari, cioè i 403 milioni che arriveranno dalla Spac, i 250 milioni degli investitori istituzionali che partecipano al PIPE e i 225 milioni del forward purchase agreement che ha impegnato il fondo Investindustrial VII. E, sebbene di questo totale 546 milioni andranno alla famiglia Zegna, i restanti 334 milioni sono tutti capitali freschi che arriveranno in azienda nel momento in cui la business combination con la Spac Investindustrial Acquisition Corp andrà in porto. A proposito con la Spac Usa, Bonomi ha comunque frenato sulla possibilità di replicare subito l’esperienza: “Per il momento vogliamo vedere come andrà questa prima esperienza. Al momento ci sembra un successo ed è stato lo strumento più adatto per venire incontro alle esigenze di un gruppo come Zegna, che voleva un partner forte e si voleva nel contempo quotare negli Stati Uniti, senza dover dipendere dagli umori del mercato. Ci sono altri grandi gruppi italiani di matrice familiare che invece hanno preferito andare a Wall Street da soli, senza un partner (si veda per esempio Stevanato, ndr). Perché vorrei appunto sottolineare che nella Spac che abbiamo promosso noi non siamo stati solo promotori, siamo investitori di lungo periodo, che affiancheranno la famiglia nel suo progetto di crescita internazionale negli Usa, ma anche nel resto del mondo, in Cina in particolare”.
E in effetti, però, affiancare le imprese nella crescita internazionale in maniera attiva ci vogliono persone dedicate e presenza internazionale. Insomma ci vuole una struttura pesante. Non a caso, Bonomi ha detto: “Ormai siamo circa 150 professionisti in tutto il mondo. Di questi, 15 sono nell’ufficio di New York e altri 10 in quello di Shangai. Una presenza locale forte è ormai necessaria per fare questo lavoro. Noi siamo specializzati in aziende del cosiddetto mid-market e dobbiamo essere pronti a fare investimenti che vanno da un taglio direi di 30 milioni sino a un miliardo di euro e dobbiamo essere in grado di accompagnare le nostre partecipate in acquisizioni di questo tipo ovunque nel mondo. In questo modo siamo in grado di cogliere tutte le opportunità che ci si presentano”.
E la formula di Investindustrial resterà sempre la stessa. Almeno sino a quando la concorrenza non dovesse iniziare a insidarne il successo. “Abbiamo scelto di non seguire l’approccio adottato da grandi case internazionali di private capital che hanno team e fondi distinti per area geografica e approccio di investimento”, ha detto infatti Bonomi, “siamo molto bravi a fare quello che stiamo facendo e quindi appunto continueremo a utilizzare i nostri fondi di private equity di mid-market per investire in Italia, in Spagna, in Europa e a livello globale facendo leva sul fatto di essere di origine italiana e di avere alcune expertise in settori precisi. Nella realtà non si può più parlare di deal solo italiani o solo esteri. Quanto ai settori da tempo ormai lavoriamo sulla base di macro-trend che riteniamo guideranno il mondo nei successivi 5-10 anni. Per esempio 5 anni fa, a valle di una serie di studi e analisi, abbiamo identificato il settore degli ingredienti e della nutraceutica come driver del più ampio settore alimentare. Ora ci prepariamo ad aumentare il peso degli investimenti in tecnologia e in particolare in infrastrutture tech, puntando a obiettivi ESG, perché è lì che un’azienda deve e dovrà investire se vuole restare competitiva e crescere. Non a caso nei prossimi 18mesi investiremo, soltanto per i nostri bisogni interni, 3,5 milioni di euro in IT e in strumenti di intelligenza artificiale, in parte già effettuati, per analizzare i testi dei contratti delle operazioni che chiudiamo, in modo tale da assicurarci che siano tutti in linea con i nostri standard legali”.
Tornando ai numeri, il fondo Investindustrial VII aveva raccolto a dicembre 2019 ben 3,75 miliardi di euro di impegni, in aggiunta ad altri fondi già attivi per circa ulteriori 2 miliardi (tra questi ci sono i 375 milioni dell’Investindustrial Growth Fund raccolto nel 2018 e i 600 milioni del CIICF (China-Italy Industrial Cooperation Fund), lanciato nell’ottobre 2020 insieme a Unicredit e CIC).
Il fondo VII “al momento è investito solo per il 40%, quindi ha ancora parecchio spazio di manovra”, ha spiegato ancora Bonomi, aggiungendo di non poter fornire la performance a oggi di questo singolo fondo, ma che “globalmente si può dire che dal 1990 ad oggi, con 54 disinvestimenti, abbiamo rispettato una media di Irr lordo del 25% annuo”. Una performance, questa, ha detto ancora, che “viene dalla combinazione della società dove investiamo e dalla partnership con noi. Investindustrial crea valore supportando aziende di qualità nello sviluppo di piani ambiziosi di sviluppo internazionale, in cui l’Italia rappresenta il core business. Prendiamo, ad esempio, il caso di GeneraLife. Abbiamo investito nel 2019 nella più grande clinica di Madrid dedicata ai servizi alla fertilità con un team di 90 persone e abbiamo supportato in 24 mesi un piano che ha portato GeneraLife ad essere il terzo più grande gruppo europeo del settore”.