di Salvatore Bruno e Giuliano Castagneto
Nel 2021 i fondi di private equity hanno condotto investimenti a multipli di valutazione ben più alti rispetto a quelli registrati nel 2020. In particolare il multiplo EV/ebitda medio si è attestato a 10,3 volte nel 2021 rispetto alle 9,9 volte del 2020, con ben il 35% delle operazioni che si è chiusa sulla base di un multiplo di oltre 12 volte, contro il 28% del 2020. Anche il multiplo medio EV/sales è salito rispetto all’anno prima, con il 51% dei deal che si è chiuso sulla base di un multioplo di oltre 1,5 volte il fatturato, contro il 45% del 2020. Lo ha calcolato il Rapporto PEM 2021 dell’Osservatorio Private Equity Monitor – PEM attivo presso la LIUC Business School, supportato da Deloitte, EOS Investment Management, Fondo Italiano d’Investimento sgr, McDermott Will&Emery, UniCredit e Value Italy sgr. Il Rapporto è presentato lunedì 23 maggio presso la sede milanese di Unicredit (si veda qui il video dell’evento).
Questo trend era stato rilevato anche dal Report di BeBeez sul Private Equity 2021 pubblicato lo scorso xx (disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium e BeBeez Private Data), che aveva calcolato che nel 2021 si sono chiusi ben 40 deal di private equity su aziende italiane con enterprise value di almeno 500 milioni di euro e dove a passare di mano è stato almeno il 15% del capitale delle società target. Di questi, 24 deal hanno riguardato aziende con un EV di almeno un miliardo. Il Report di BeBeez calcolava che nel 2021 si sono chiusi 497 deal di private equity con protagoniste aziende italiane, considerando investimenti e disinvestimenti, in aumento di oltre il 38% dalle 360 operazioni del 2020 e di oltre il 57% dai 317 deal del 2019.
Anche i dati del PEM hanno evidenziato un analogo trend di grande incremento dell’attività, con gli operatori che nel 2021 hanno concluso 387 operazioni, il 53% in più rispetto alle 253 del 2020). Di queste, ben 145 operazioni sono state di add-on, finalizzate a processi di aggregazione industriale, in aumento del 49% rispetto al 2020. Su questo punto anche il Report di BeBeez indica lo stesso trend, anche se mappa 140 deal di add-on su target italiani e altri 50 deal di add-on su target esteri.
Francesco Bollazzi, Responsabile dell’Osservatorio Private Equity Monitor – PEM, e Anna Gervasoni, direttore generale di AIFI, presentando il Rapporto hanno inoltre sottolineato l’importante crescita del settore Infrastrutture in termini di quota di mercato (10% dal 3% del 2020). A questo riguardo, va comunque tenuto presente il peso di una singola operazione, ovvero l’acquisizione della quota in Autostrade per l’Italia di Atlantia da parte di Cdp e Macquarie, rilevata per 8,1 miliardi di euro (e il cui closing è avvenuto ppochi giorni fa, si veda altro articolo di BeBeez).E tuttavia la stessa Atlantia, una volta delistata a seguito della prossima opa che sarà lanciata dalla controllante Edizione Holding e Blackstone diventerà un motore fondamentale del private equity sulle infrastrutture negli anni a venire. E in ogni caso, soprattutto in campo energetico “è sempre più stretto l’intreccio tra fondi private equity e infrastrutturali”, ha sottolineato Gervasoni nel suo intervento.
Altrettanto degno di nota è il numero degli operatori attivi censiti in Italia dal PEM: 239, in aumento del 26% rispetto al 2020. A riprova dell’interesse per il mercato italiano e della sua importanza oggi gli investitori internazionali pesano per il 54% dell’attività complessiva, in ulteriore aumento rispetto all’ultimo triennio, un dato in parte riflesso anche dal volume di secondary buy out, segmento dove gli investitori esteri sono molto attivi, e chè ha evidenziato una una crescita del 7%).
Altri indicatori chiave indicano che il 75% delle operazioni è riconducibile a operatori di private equity tradizionali, il restante 25% alle altre categorie di player attivi sul mercato del capitale di rischio, in particolare le holding (9%).
Sul piano settoriale, sebbene i prodotti per l’industria e beni di consumo si confermano i settori che continuano a riscuotere maggiore interesse, il mercato evidenzia con chiarezza una graduale traslazione verso le filiere strategiche del futuro, con particolare riferimento alla digitalizzazione ed alla transizione ecologica. Non a caso, se Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sede di gran numero delle aziende più tradizionali, si confermano sul podio delle aree più gettonate, adesso un buon contributo giunge da Lazio e Piemonte. dove sono presenti numerose aziende innovative. Il 79% degli investimenti è indirizzato verso imprese che non superano un fatturato di 60 milioni di euro, ma non mancano interventi anche in aziende di grandi dimensioni, in particolare nella fascia 101-300 milioni.
Dati che descrivono un mercato in salute, tanto che Il Private Equity Monitor Index PEM-i segnala livelli di attività mai registrati nel passato, confermati dalla presenza nel 2021 dei tre valori trimestrali più alti nella storia dell’Osservatorio (mediamente 96,75 operazioni a trimestre).
Eppure i partecipanti alla tavola rotonda che ha fatto seguito alla presentazione dei dati non hanno mancato di offrire spunti che consiglierebbero una certa cautela. Le ripercussioni della guerra in Ucraina sui prezzi e sui tassi mondiali hanno introdotto un fattore esogeno difficilmente prevedibile. Benoit Remigi, managing director di Unicredit per il leverage finance, ha fatto presente che “il mercato è in una fase di wait and see, cha ha indotto un forte declino dei volumi. Il mercato è a due velocità, più attivo sulle piccole e medie imprese, meno sulla large corporate”. Una spiegazione la dà Emidio Cacciapuoti, partner dello studio legale McDermott Will&Emery, il quale ha ricordato che “gli investitori nei fondi chiedono che questi non investano in aziende che esportano in Paesi soggetti a sanzioni. Ovviamente le imprese di maggiori dimensioni sono anche quelle che hanno maggiore probabilità di avere questo problema”. La conseguenza di questa frenata è stata “una contrazione dei multipli nel primo trimestre del 2022“, come ha segnalato Elio Milantoni, capo del dipartimento di corporate finance di Deloitte.
Una fase riflessiva, dunque, non priva però di elementi forieri di sviluppi positivi. Anzitutto la fiducia, sintetizzata dall’andamento della raccolta, nel 2021 più che raddoppiata come segnalatolo scorso marzo dalla stessa Aifi (si veda altro articolo di BeBeez). Soprattutto “aumentano gli investitori istituzionali italiani che puntano sul private equity, oggi sono il 52% del totale, quindi la maggioranza: non è più un interesse episodico” sottolinea Roberto del Giudice, head of distribution, ir & esg di Fondo Italiano di Investimento sgr. E sul versante degli impieghi, ha ricordato Gianni Galasso, senior partner di EOS Investment Management Group, “Io non credo che si sia in presenza dell’inversione di un ciclo, ma solo dell’interruzione momentanea, dovuta a fattori esogeni, di una continua crescita. Non dimentichiamo che le aziende italiane devono rivedere i processi interni in chiave ESG”. Ciò significa investimenti. Non a caso “tanti investitori esteri stanno aprendo uffici a Milano”, ha detto ancora Remigi. Ma l’aumento dei tassi ha fatto tornare il rischio Italia? “Attualmente tra gli investitori non ci si interroga sulla tenuta del sistema Paese”, ha rassicurato Cacciapuoti.