
“Adesso bisogna completare l’iter della riforma fiscale. Fatto ciò, sarà bene cominciare a ragionare sull’introduzione dei PIR per investitori istituzionali“. Lo ha dichiarato a BeBeez su precisa domanda il presidente della 6a Commissione Finanze della Camera dei Deputati Luigi Marattin, parlando a margine dell’incontro sugli NPL organizzato a Cernobbio da Banca Ifis la scorsa settimana. Le sue parole giungono proprio in un momento in cui ferve il dibattito sulla tassazione dei fondi pensione, che si inserisce appunto nel più ampio quadro della riforma fiscale.
Sulla previdenza complementare le Commissioni Finanze di Camera e Senato, nel Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef depositato lo scorso giugno si sono infatti limitate a indicare la necessità che l’Italia si adegui al criterio di tassazione europea EET (Esenzione Esenzione Tassazione), che prevede la deducibilità dal reddito corrente, nell’ambito di limiti quantitativi spesso significativi, dei contributi versati ai fondi; la piena detassazione dei rendimenti ottenuti nel tempo dai fondi stessi (cosa che favorisce le asset allocation più rischhiose, come l’investimento in equity) e la tassazione “secondo le aliquote ordinarie” delle prestazioni in capo ai singoli fruitori. Un dettaglio, quest’ultimo, che finirebbe per tassare le prestazioni più delle somme accumulate.
In Italia (con soltanto Svezia e Danimarca a farle compagnia) vige invece un regime ETT, cioè esenzione dei contributi in misura assai contenuta (ancora l’equivalente di 10 milioni di vecchie lire); tassazione dei rendimenti ottenuti nel corso del tempo dai fondi e assazione a titolo d’imposta delle prestazioni finali, con aliquota del 15%, che può scendere sino al 9%. Un regime penalizzante che frena le adesioni e di cui le associazioni di catwgoria come Assoprevidenza e Assofondipensione chiedono da tempo una modifica.
E nemmeno l’arrivo dei PEPP (Pan-European Pension Product) nel marzo 2022 modificherebbe il quadro in modo significativo, dato che per compensare le differenze tra gli ordinamenti fiscali nei vari Paesi dell’UE si ipotizza di assoggettarli agli stessi regimi applicati agli attuali prodotti pensionistici individuali.
A questo punto cosa implicherebbe una novità come un PIR Istituzionale? Allo stato attuale delle cose non si può fare altro che ricordare l’attuale regime fiscale dei Piani Individuali di Risparmio.
Come noto, i PIR sono stati introdotti dalla legge di bilancio 2017, prevedendo, nel rispetto di una serie di requisiti, un regime di non imponibilità (100% esenzione) ai fini delle imposte sui redditi per i proventi di natura finanziaria (dividendi e capital gain), oltre a un regime di non imponibilità (100% esenzione) ai fini dell’imposta di successione. Il tutto al fine di canalizzare il risparmio delle famiglie verso le imprese radicate nel territorio italiano, per le quali è spesso difficile il ricorso al finanziamento bancario e dunque maggiore il bisogno di approvvigionamento finanziario. Tale regime è stato rafforzato per effetto prima del Decreto Rilancio (D.L. n. 34 del 19 maggio 2020), che ha introdotto accanto al regime dei PIR ordinari quello dei PIR Alternativi (si veda altro articolo di BeBeez), e da ultimo con il Decreto Agosto (D.L. del 14 agosto 2020, n. 104), che ha aumentato l’ammontare annuo massimo dell’investimento in un PIR Alternativo a 300 mila euro e quello complessivo dello stesso PIR a euro 1,5 milioni, a fronte di valori ben più bassi per i PIR ordinari, per i quali tali ammontari sono pari rispettivamente a 30 mila e 150 mila euro (si veda altro articolo di BeBeez).
Questo ovviamente rispettando si diceva una serie di condizioni e in particolare che si mantenga l’investimento per almeno 5 anni (cosa che si adatta bene alle caratteristiche di un fondo pensione, per definizione investitore di lungo periodo) e che il PIR investa almeno il 70% delle risorse in azioni e obbligazioni di emittenti italiani o di emittenti europei con stabile organizzazione in Italia, e che il 21% (il 30% del precedente 70%) sia investito in società a medio/piccola capitalizzazione. A quando i piani isitituzionali?