La rapida crescita e la performance superiore del private market rispetto a quello pubblico regolamentato ha stimolato l’appetito degli investitori, spronando diversi operatori e wealth-tech ad allargare l’accesso al private equity o al debito privato. È quanto emerge dalla ricerca condotta da Bain & Company e AIPB dal titolo “Navigare le onde del cambiamento: la rotta del Private Banking” (si vedano qui il comunicato stampa e qui l’intero paper).
Del resto il settore del private banking sta vivendo una fase di profonda trasformazione a livello globale. Innanzitutto, in termini di clienti: al 2030, sono attesi circa 250 milioni di potenziali nuovi clienti della generazione Y e Z. In virtù di questo trend, la nuova generazione di investitori sarà interessata a servizi e strumenti diversi da quelli diffusi oggi: quasi il 60% del patrimonio alla fine del decennio sarà infatti investito in prodotti innovativi. Cambieranno infine i modelli distributivi (ogni banker avrà circa 300 clienti nel proprio portafoglio) e di lavoro (il 70% del personale richiederà competenze di nuova generazione). E in termini di asset class, nel prossimo decennio assisteremo appunto a una crescita significativa della penetrazione di investimenti alternativi, a scapito dei prodotti tradizionali.
Non solo soluzioni ESG, che rappresenteranno circa la metà di tutti gli investimenti in prodotti di risparmio entro il 2030, rispetto al 33% che si registra oggi, ma anche digital asset: nei prossimi 5 anni, questi rappresenteranno una quota compresa tra l’1% e il 5% dei portafogli dei clienti.
Andrea Ragaini, presidente AIPB, ha commentato: “Dal 2007, anno in cui il private banking ha cominciato a misurarsi, il settore ha registrato una crescita costante, superiore a quella della ricchezza italiana e del PIL, arrivando a gestire oggi circa la metà degli investimenti delle famiglie italiane. L’entità dei patrimoni affidati al private e la crescita della raccolta netta degli asset della clientela, registrata anche in un anno complesso come il 2022, confermano il valore della consulenza e della gestione professionale degli investimenti. Per mantenere ed accrescere i successi fin qui ottenuti è necessario, però, che l’industria comprenda ed anticipi gli effetti di uno scenario economico, finanziario e sociale in continua evoluzione, individuando precise priorità di azione. La collaborazione con Bain ci ha dato l’occasione di avviare ed approfondire queste riflessioni e anche di disegnare un piano concreto di interventi”.
E ha aggiunto Franco Baronio, senior partner di Bain & Company: “In questo scenario, il business del Private Banking è per caratteristiche e modello una delle industrie maggiormente sottoposte ad una serie di profonde trasformazioni. Questo implicherà un’accelerazione del proprio grado di innovazione per poter cogliere le opportunità e proseguire il percorso di distintività ed eccellenza offerte alla propria clientela”.
Alla luce di questo scenario, stanno emergendo nuove dinamiche di profittabilità dell’industria: al 2030, la ricerca evidenzia un 25% di aumento dei ritorni grazie ai modelli abilitati dal digitale rispetto ai modelli tradizionali. Investire in infrastruttura tecnologica, dati e analytics è quindi non più solo un’opportunità, ma un imperativo per i player del private, se vogliono competere con successo nell’arena e giocare una partita di sviluppo e crescita. “Questo chiaramente pone l’accento sulla rilevanza del modello di business e della scalabilità dei costi fissi in aumento”, ha continuato Baronio.
“Ci vorrà una proposta commerciale che sia maggiormente attrattiva per i giovani investitori. Una tendenza similare di focus sull’attrattività del brand e della copertura commerciale è avvenuta nell’industria del lusso dove, attraverso modelli ibridi, è accelerata l’accessibilità e la consapevolezza sui prodotti per i segmenti delle nuove generazioni di clienti. Questo ha permesso al settore di allargare significativamente la propria base clienti e intercettare le opportunità di crescita. Società leader nell’industria del lusso hanno costruito piattaforme di digital brand per raggiungere i nuovi clienti con un modello di business con crescite attese di oltre il 20% annuo tra il 2020 e il 2025”, ha aggiunto Claudia D’Arpizio, senior partner di Bain & Company e global head of fashion & luxury, autrice insieme alla collega Federica Levato, EMEA leader Luxury Goods and Fashion, della ventunesima edizione del Bain-Altagamma Luxury Study, presentata a Milano a fine novembre (si veda altro articolo di BeBeez).
Del resto, come si può sentire in una recente intervista condotta da BeBeez alle stesse D’Arpizio e Levato di Bain&Company (si veda altro articolo di BeBeez), sono sempre più stretti i legame tra moda, lusso e arte. Non solo perché i grandi imprenditori della moda sono anche grandi collezionisti, e la Fondazione Prada a Milano o la fondazione LVMH a Parigi ne sono un esempio, ma soprattutto perché cercano di far percepire il loro prodotto come un’opera d’arte e quindi di farne aumentare in maniera importante il valore. Non a caso gli anglosassoni parlano di “luxury artification”. Considerazioni che portano a comprendere anche le ragioni della convergenza di interessi tra moda e lusso da un lato e private banking dall’altro. Ha detto ancora D’Arpizio: “C’è un florido mercato secondario soprattutto per orologi e borse, così come accade per le opere d’arte, il che significa che questi oggetti possono essere target di investimento da parte dei soggetti più facoltosi clienti del private banking e che sono sempre più alla ricerca di opportunità di investimento che non soffrano della volatilità tipica dei mercati finanziari. D’altra parte, approcciare questo tipo di clientela richiede delle modalità particolari, che vanno imparate da chi ha da tempo a che fare con queste persone, proprio come gli imprenditori della moda e del lusso. C’è quindi anche qui una forte comunanza di interessi”.
Il contesto, in altre parole, è di cambiamento e di crescita. E, per tornare al mondo dei private market, ricordiamo che lo scorso novembre nel corso della conferenza stampa di AIPB che ha introdotto i lavori della XVIII edizione del Forum del PB “Fiducia, Innovazione Protezione”, un dato era emerso: una crescita di non meno del 54% nel solo 2021 quella degli investimenti in private asset da parte dei clienti delle private bank italiane, segnando il terzo anno consecutivo di rialzi, raggiungendo un totale di masse gestite di 6,3 miliardi. Anche se, tuttavia, il peso medio nei portafogli è ancora marginale (0,6%) (si veda altro articolo di BeBeez).
Nel corso della conferenza stampa era emerso anche il fatto che il peso degli investimenti in asset alternativi sulle masse totali in gestione vari in misura significativa da una banca all’altra. Si va infatti da 0 fino al 9,9% a cui corrispondono previsioni di crescita nel corso dei prossimi tre anni che portano a superare l’1% del portafoglio (per il 71 % degli operatori di private banking che hanno risposto alla survey di AIPB), mentre il 23% degli operatori dice che si arriverà a superare il 3%.
“Siamo innovativi nella gamma dell’offerta. Per questo già nel 2018 abbiamo cominciato a dare spazio al mondo dei private markets e nel 2022 a quello dei digital asset, soluzioni alternative capaci di rilanciare il settore e di ridurre la volatilità di un portafoglio”, aveva detto Andrea Ragaini (si veda qui la presentazione). E aveva aggiunto: “Per il 94% degli intervistati si è alla vigilia di una grossa crescita dei private market anche grazie a un maggiore investimento nella formazione dei professionisti e dei team. Ben consci del fatto che il traguardo per ottenere buoni risultati è quello del medio lungo termine”. Più formazione delle reti, quindi e un’attività di consulenza da parte dei banker di più ampio spettro.
Ma come fare per far crescere quella fettina dello 0,62% dei portafogli? Ha continuato il manager: “La leva fiscale è importante per dare impulso al mercato. AIPB ha parlato e sta parlando con il Governo per una revisione dell’aliquote fiscale, ovvero aliquote decrescenti, allungando l’orizzonte temporale e per rendere ancora più vantaggiosa fiscalmente la normativa dei PIR. Accanto a questa c’è poi la leva regolamentare in sede europea e italiana che consentirebbe di aprire l’accesso a questo tipo di strumenti anche alla clientela semi professionale. Pensiamo che la regolamentazione stia andando nella direzione giusta. Stiamo continuando a farci sentire a livello governativo”.