In caso di nuove ondate di coronavirus (con annessi ulteriori lockdown che potrebbero durare fino a 6 mesi), il 15,5% delle aziende italiane rischierebbe il default. Lo prevede lo studio “Evolution and impacts of the COVID-19 pandemic emergency on Italian non-financial corporates”, redatto da Cerved Rating Agency, agenzia di rating del Gruppo Cerved (si veda qui il comunicato stampa). La ricerca aggiorna in senso peggiorativo uno studio condotto a marzo (si veda altro articolo di BeBeez).
Allora Cerved aveva calcolato che, se l’emergenza Coronavirus dovesse continuare fino a metà anno, la probabilità di default delle aziende italiane salirebbe dal 4,9% al 6,8%, con un minimo del 2,6% per il settore farmaceutico (in miglioramento dal 3,8%) e un picco al 10,6% per il settore delle costruzioni (dall’8,1%), ma se dovesse dilagare la pandemia e l’emergenza perdurasse sino a fino anno, allora la probabilità di default salirebbe sino al 10,4%, con un minimo del 7,5% e un picco del 15,4% per i medesimi settori.
Sempre nello studio di marzo, Cerved aveva calcolato un costo complessivo del coronavirus per i due anni 2020-2021 compreso fra i 270 e 650 miliardi di euro in termini di calo di fatturato delle imprese italiane (si veda altro articolo di BeBeez) e a inizio maggio aveva rivisto al rialzo quelle previsioni, calcolando perdite di fatturato tra 510 e 670 miliardi di euro tra il 2020 e il 2021 (si veda altro articolo di BeBeez).
Cerved Rating Agency stavolta ha elaborato 3 scenari: pessimistico (con bassa probabilità), intermedio (con media probabilità) e ottimistico (con alta probabilità). I tre scenari sono stati applicati al portafoglio di simulazione, costituito da circa 30.000 rating emessi recentemente da Cerved Rating Agency e sufficientemente rappresentativo del comparto delle aziende italiane, tramite l’adozione di un approccio di natura quali-quantitativa. In generale, è atteso un deterioramento complessivo dei profili di rischio, come conseguenza diretta di un livello di redditività più basso e un peggioramento della struttura finanziaria delle aziende. L’applicazione degli scenari negativi determina uno spostamento delle imprese analizzate verso le classi di rating peggiori, con migrazione da posizioni di investment grade a speculative grade dal 16% nel caso soft fino al 42% nello scenario hard. L’innalzamento del profilo di rischio si traduce in un aumento dei default attesi: la probabilità di default sale nell’ipotesi soft al 7,7%; al 9,7% in quella intermedia e arriva appunto al 15,5% nello scenario hard.
In quest’ultimo scenario, i settori con maggiore probabilità di fallimento sarebbero le costruzioni (22%), i servizi di alloggio e ristorazione (19,1%) e le attività di supporto al settore turistico (18,9%). Viceversa, quelli più resilienti risulterebbero farmacie (6,5%), l’industria alimentare (6,8%), il commercio al dettaglio alimentare (7,9%). La percentuale dovrebbe aumentare in misura maggiore per le imprese piccole (dal 10,7% al 21% per le microimprese) e meno strutturate (28% per le imprese individuali). Dal punto di vista geografico, la probabilità di default è attesa in forte crescita in tutto il paese, con un picco del 17,8% nel Mezzogiorno (dal 9,3%).