A Milano, nel cuore del quartiere di Porta Romana, nella nuova sede della Fondazione Elpis fino al 5 marzo 2023 è ospitata la mostra HAZE Contemporary Art From South Asia a cura di HH Art Spaces e Mario D’Souza, uno sguardo inedito sul panorama artistico contemporaneo dell’Asia meridionale attraverso le opere di 21 artisti attivi tra India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka. Sottolineando il dinamismo della scena artistica dell’Asia meridionale, la mostra esplora diversi approcci alla contemporaneità, presentando narrazioni e riflessioni che abbracciano un’ampia gamma di tematiche legate al tema socio-ambientale: dalle condizioni e i diritti dei lavoratori in un’era di migrazioni globali, alle questioni di genere, dall’eredità post-coloniale all’espropriazione delle terre indigene, dalla libertà d’espressione alla situazione politica fino alla sopravvivenza e metamorfosi delle tradizioni e dei rituali.
La Fondazione, ci ha raccontato il direttore Bruno Barsanti, è nata da un’idea di Marina Nissim, anima della stessa e curatrice di alcune mostre tutte originate da un viaggio come Soy Cuba?Esposizione allestita alla Palazzina dei Bagni Misteriosi nel 2017; Immersione Libera del 2019 e anche questa, in seguito a un viaggio in India. La Fondazione prende corpo senza una sede ma come un programma nomade nel 2020 con Una boccata d’arte, giunta alla quarta edizione e in programma a fine giugno nel 2023. Manifestazione diffusa con 20 installazioni di giovani artisti, una per ogni regione d’Italia, senza un tema ma con alcune regole: i borghi ospitanti devono essere tutti sotto i cinquemila abitanti, fuori dalle rotte turistiche e non particolarmente noti ma dotati di una tradizione culturale ed artigianale divenendo fino alla fine di settembre un palcoscenico internazionale.
La mostra in Fondazione era pronta nel 2019 quando l’arrivo della pandemia bloccò tutto; a curarla insieme a Mario D’Souza è HH Art Spaces, un collettivo di artisti e curatori con sede a Goa, in India, del quale fanno parte alcuni autori presenti in mostra. Il progetto, avviato nell’ottobre 2014 da Nikhil Chopra, Madhavi Gore e Romain Loustau, ai quali si sono aggiunti nel tempo Shivani Gupta e Shaira Sequeira Shetty, HH Art Spaces promuove workshop, mostre, eventi e residenze d’artista con un’attenzione particolare alle arti dal vivo e la performance. Uno dei punti fermi della Fondazione è un occhio di riguardo agli artisti nati tra gli Anni Settanta e Novanta mentre il fil rouge dell’esposizione è, come accennato, l’ambiente in tutte le sue declinazioni.
Per questo progetto espositivo il collettivo ha voluto illustrare attraverso la voce degli artisti quella di un intero subcontinente: “L’ascesa del nazionalismo e la sua politica maggioritaria in India; una crisi economica e le conseguenti instabilità politiche in Pakistan e Sri Lanka; le repressioni autoritarie della libertà di parola con arresti di critici e giornalisti che dilagano sempre più incontrollati: i muri che ci separano come persone sono sempre più spessi. Odio e paura sono gli strumenti utilizzati per depotenziare le minoranze. Attraverso questi aspetti la mostra si propone di presentare un’intera regione attraverso la porosità e la possibilità di storie e leggende, di ciò che rimane vivo ancora oggi e di ciò che si è perso per sempre, in un tempo segnato da polarizzazioni, politiche violente e maggioritarismo”.
Attraverso il linguaggio dell’arte, HAZE vuole quindi offrire una prospettiva sulle polarità, le contraddizioni e i dualismi che caratterizzano i quattro paesi d’origine degli artisti, provando a mettere a fuoco tematiche e narrazioni che appaiono avvolte da una ‘foschia’, che è nebbia, fumo, smog, tossicità, magia: un ignoto che inghiotte la distanza per ricordare la fragilità dell’oggi, dell’immediato, e insieme un’opportunità per evocare nuove visioni e sviluppare un’acuta consapevolezza sul presente.
Il percorso espositivo
Una nebbia avvolge la regione. Con quest’immagine si apre nei nuovi spazi della Fondazione Elpis a Milano la mostra collettiva HAZE. Contemporary Art From South Asia. Nebbia e regione sono le due parole chiave che ritmano la narrazione espositiva. Da un lato, la nebbia è il filo conduttore che accomuna le opere esposte, declinato secondo diversi livelli di lettura e di interpretazione: foschia, smog, fumo, bruma, tossicità e magia, un velo che avvolge il presente rendendone incerti i contorni.
Dall’altro, la regione è il campo di indagine del progetto espositivo, che tenta di restituire uno spaccato della scena artistica contemporanea di quattro paesi del subcontinente indiano – India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka – dai quali provengono gli artisti in mostra.
Il percorso espositivo inizia dal piano interrato dove incontriamo una foschia dove si incontrano tradizioni spirituali diverse e se ne creano di nuove. Si comincia con l’Oceano di cui parla Beneath a steel sky di Pranay Dutta, un’installazione che confonde l’acqua con il cielo e le nuvole che vi si rispecchiano, in un continuo gioco di percezione che crea un parallelismo con le opere di Lala Rukh, che ha ritratto l’Oceano Indiano da più punti geografici, affascinata dall’idea dell’impossibilità di ritrarre un elemento in continuo movimento ed evoluzione.
Video scultura dove l’acqua è un vortice scuro che rimanda al petrolio e alle risorse estratte brutalmente con un rimando nel titolo, Sotto un cielo d’acciaio, di un video gioco catastrofista molto diffuso in Asia. L’Oceano che evoca immensità è stretto da un recinto di mattoni che sono un materiale tipicamente europeo o americano.
L’opera di grande impatto visivo Spiritual Machine di Diptej Vernekar, in modo ironico racconta come a Goa, dall’unione coloniale di animismo e cattolicesimo, sia nato un sistema rituale basato sugli ex voto che a sua volta è diventato un vero e proprio mercato di statuette di cera.
Un’immagine forte ci riporta poi alla crisi economica, politica e sociale derivata dalla pandemia del 2020. In quel periodo migliaia di persone, avendo perso il lavoro, sono state costrette a lasciare le città per tornare nelle campagne. Impossibilitati a viaggiare con i treni, gli abitanti hanno iniziato a camminare, creando infinite processioni di persone che hanno subìto ogni tipo di umiliazione, fra cui la disinfestazione forzata. Tra loro l’artista Soumitrimayee Paital, che a partire da quest’esperienza ha dipinto la serie Enemy at the Door che riflette sulle molteplici personalità che si nascondono dietro a un volto, nella stratificazione delle gouache sulla tela, che indicano anche le nostre esperienze. Sono ritratti graffianti, molto intensi che pongono l’interrogativo sul nemico come altro, alieno, che possiamo essere noi stessi agli occhi altrui.
Al piano terra, dove la nebbia è percepita come un fumo tossico che opprime la terra e la sua popolazione. È il fumo dell’inquinamento globale, che causa il riscaldamento di laghi e mari alterandone gli ecosistemi. Un tema affrontato per esempio da Sahil Naik con l’opera All Is Water and To Water We Must Return, una storia di resistenza e resilienza naturale e umana che narra la vicenda drammatica e poetica del paese di Curdi, nella regione di Goa, sommerso dall’acqua in seguito alla costruzione di una diga alla fine degli anni Sessanta. L’opera con la sua dinamicità replica il continuo emergere e prosciugarsi delle acque, che portano le case a riaffiorare periodicamente, nella bella stagione. Un momento celebrato con canti e rituali dagli abitanti originari, che possono tornare a occupare le loro case anche se solo temporaneamente.
E cosa succede quando la nostra percezione visiva è messa alla prova? Quando i nostri paradigmi di interpretazione vengono disorientati? Su questo giocano le gouache Untitled I e Untitled II di Madhavi Gore, in un astrattismo colorato che sfida i paradigmi formali. La percezione visiva è confusa anche nelle fotografie di Shivani Gupta, Of Rock and Apricot and Mountain Top, dove una roccia al centro di un prato può essere un’impronta, un fossile o una vestigia del passato, in fondo tutto dipende dal nostro occhio e dalla nostra fantasia.
Centrale il lavoro messo in dialogo dell’indiano Nikhil Chopra e del francese Roumain Loustau che hanno dato vita a una vera e propria performance legata al paesaggio, tema centrale del piano terra, in occasione dell’inaugurazione. Il primo ha un’esperienza teatrale, performer legato al motivo del travestimento mentre il secondo è uno scultore che si è dedicato anche al teatro. Una roccia appuntita nei due lavori diventa l’elemento di connessione.
Al primo piano la foschia investe la sfera dei confini geografici, che sfumano e si confondono gli uni negli altri, facendo emergere una riflessione sull’appartenenza a un territorio. Questo processo riguarda tanto le culture quanto le religioni e le stesse frontiere nazionali. Haze può infatti inglobare la terra, la sua definizione, la creazione dei confini, dando vita a situazioni indefinite e sospese.
Come la porosità di un sistema giudiziario ancora legato alle tradizioni del passato feudale, dove le dispute per la proprietà degli immobili sono ancora oggi attuali tra gli eredi dei proprietari terrieri e gli eredi di chi la terra la lavorava, come racconta Trying matter di Kedar Dhondu. Questo artista è stato protagonista di un’azione legale di denuncia rispetto a un diritto fondamentale, la casa, come luogo di intimità, che ancora non ha dato esito positivo. Ma la foschia può anche essere la situazione di sospensione e di non definizione legale dei popoli indigeni che si trovano ai confini tra Bangladesh e Myanmar, apolidi nella loro terra a causa di continue repressioni ed espulsioni da parte di entrambi i paesi, come testimonia la serie di opere di Joydeb Roaza, intitolata Generation Wish Yielding Tress and Atomic Tree. Il tema dei confini ritorna nella serie Security Banners di Bani Abidi, un inventario delle barriere di sicurezza usate nella città di Karachi; e nelle cartografie dell’unico artista dello Shri Lanka, Mannar Map di Pala Pothupitiye, nelle quali l’immagine rovesciata del sud-est asiatico mette in discussione l’identità dell’intera regione. Con una suggestiva visione zoomorfa si esprime il tentativo di ridisegnare la geografia di una terra molto lacerata dal punto di vista dei confini e delle appartenenze. Il mondo indiano, ampiamente rappresentato, evidenzia come l’abolizione formale delle caste nel 1947, anno dell’Indipendenza dell’India, sia ancora uno dei problemi e quanto l’arte possa rappresentare un’arma di lotta e un risveglio delle coscienze.
Chi è la Fondazione Elpis
Costituita nel 2020 da Marina Nissim, imprenditrice e collezionista d’arte, Fondazione Elpis è una realtà dinamica, aperta alla diversità e al multiculturalismo. Un luogo di sperimentazione che ha al centro della sua mission il supporto ai giovani artisti. La Fondazione persegue i suoi scopi attraverso la realizzazione di mostre, residenze, attività educative e progetti diffusi su tutto il territorio nazionale. Con l’obiettivo di coinvolgere diverse fasce di pubblico ed esplorare aree geografiche al di fuori dei circuiti tradizionali dell’arte, Fondazione Elpis unisce mondi solo apparentemente distanti intercettando l’evolversi dei linguaggi espressivi.
Clicca qui sopra per vedere il video dell’intervista all’architetto Giovanna Latis,
che ha curato il progetto di ristrutturazione dell’edificio milanese
dove ha sede la Fondazione
Il 29 ottobre 2022 ha aperto in via Orti 25 a Milano la nuova sede e spazio espositivo, frutto di un accurato intervento di restauro e riqualificazione di una ex lavanderia industriale di fine Ottocento a cura di Giovanna Latis di Gio Latis STUDIO. Situata nel cuore di Porta Romana, la nuova sede è uno spazio dedicato a mostre e installazioni site specific, performance, incontri, reading e attività interdisciplinari rivolte a un pubblico allargato con l’obiettivo di promuovere visioni innovative, generare partecipazione, scambio e dialogo intorno ai temi dell’arte e supportare talenti emergenti della scena contemporanea, provenienti da culture e Paesi diversi, dando loro opportunità di crescita e di espressione.
L’apertura di una sede stabile scaturisce da un percorso che negli ultimi anni ha visto la Fondazione attivare collaborazioni e progetti su scala nazionale, consolidando attorno a sé una rete in evoluzione sempre più ampia e mettendo in atto nuovi modelli di partecipazione e fruizione culturale. Ne è un esempio Una Boccata d’Arte, il progetto d’arte contemporanea giunto alla sua terza edizione nel 2022, realizzato in collaborazione con Galleria Continua e con la partecipazione di Threes.
a cura di Ilaria Guidantoni