Io non sapevo, Teresa, cosa fosse il pugno ardente di Dio, quel battito crudele che travolge tutto l’amore che crea. È il controsenso di questa vita fatta di bellezza e di morte. Io non conoscevo, Teresa, la gratuità del male. Io credevo che tutta la sofferenza del mondo fosse come uno sfiato, una scoria. Credevo anche che fosse il frutto di un equilibrio incomprensibile tra azione e reazione, non mi piace chiamarlo karma, perché non ho mai visto eque distribuzioni di merito, ma solo un caso spietato che colpisce, comunque e prima o poi, ognuno di noi. Ma tutto questo era una violenza comprensibile: in un mondo di bestie nel sottobosco cannibale della natura che divora. In esseri umani che, dopo tutto, non meritano che disgregazione, disintegrazione, annichilimento apocalittico. Ma nell’innocente regno dei tuoi simili, Teresa, dov’era la colpa da redimere? Ti ho vista sorridere in un trasparente nido d’ospedale, prima di tornare a casa, eri in mezzo anche tu a quella bellezza natale, e anche tu, come chi stava bene, in mezzo al dolore dei bambini che non ce l’avevano fatta, che non ce la faranno. È a loro che vorrei pensare nel tuo ottavo giorno di vita, affinché il tuo smarrimento nel mondo non sia del tutto smarrito, affinché l’insensatezza del male, la sua ghigliottina spietata e moralmente cieca non batta invano i suoi colpi, ma trovi, nel solco dei tuoi passi, un’orma già combattuta: la resistenza della tua bellezza. E non servirà comunque a bilanciare niente, non c’è contrappeso alla sofferenza di chi non ha spalle per sopportare un dolore, né un cuore elastico per provarlo, né lacrime per espellerlo. Tu puoi solo gridare il mutismo di quei neonati. Rinvigorirne il pianto strozzato, che forse sarà strozzato per sempre, ma non certo da te, che porterai dentro il silenzio della loro innocenza e ricorderai in ogni rumore ciò che nessuno ha mai udito. Dio, Teresa, è oltremodo ingiusto, l’essere più cattivo esistente, esistito, esistituro, più malvagio di Satana in persona, più spietato del male stesso, di tutte le più atroci e raccapriccianti perversioni dell’uomo. È Lui, e nessun altro, che ha voluto e creato tutto questo, che ha voluto e creato angeli fallibili che poi sono caduti, esseri a sua immagine e somiglianza, ma fragili, che poi l’hanno tradito. Lui, l’infinitamente buono, l’artefice dell’infinitamente crudele.
Ho visto di sfuggita, mentre venivo a conoscerti, la più orrenda di tutte le cose. E quell’orrore non aveva altri genitori che Lui: quell’orrore era figlio di Dio. E guardavo, camminando tra quelle culle, ticchettare le gocce della pochissima vita accumulata scendere nella clessidra del tempo appena iniziato, per finire come quei fiori che muoiono non appena fioriti. E un sorriso che nessun uomo mi aveva mai fatto ha trafitto anche me, ricordandomi ancora una volta che la felicità è ‘un momento per una libbra di carne’. Spero solo che tutto questo abbia un senso di cui la mia limitatezza dovrà chiedere in futuro perdono piuttosto che rispondersi, un giorno e per sempre, che nulla vale nulla e che tutto è una giostra del caos. Tu puoi forse insegnarmi molto di questo, Teresa: solo otto giorni fa eri in quell’Oltre misterioso, chissà se forse conosci qualcosa che non sai dirmi e che stai dimenticando. Ma allora, che peso mi dai? Che responsabilità mi chiedi? Devo darti speranza. Dopo tutto, sei nata al termine della notte. Ti ho spinta nel sole. È tuo, adesso, l’avvenire. Forse c’è davvero una ragione più grande dell’indignazione. Una ragione, Teresa, che dobbiamo amare nonostante tutto.
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Bernardo Giusti, nato a Firenze nel 1990, giovane speranza tra i romanzieri italiani ha pubblicato recentemente “Bivium” Edizioni Masso delle Fate. Teresa è appena nata e Bernardo Giusti ha scelto Bebeez, nelle scorse settimane per condividere l’attesa per la prossima venuta, e adesso la gioia della presenza fisica.