È il rumore che fa il silenzio, lo sferragliare delle pagine piombate di un libro, quelle che stridono della ruggine di chi in quelle righe legge se stesso. Un rumore composto da voci riecheggiate dalla memoria, l’illusione del mondo umano che grida, che chiama, ma carezzandoci con una voce lontana, imprescindibilmente lontana. L’uomo se ne sta solo, lontano dalla folla. L’uomo sono io, sei tu, Teresa, siamo tutti noi, loro e gli altri. Via, via dalla pazza folla. Via dal chiacchiericcio violento, stretti nel confine sopportabile della superficialità. Oltre, c’è il mondo. E al di qua, ci siamo noi, tutti, gli altri, o nessuno: c’è chi ha scelto la resa, la solitudine, e questa è una possibilità democratica, data a tutti ma colta da pochi. Possiamo indietreggiare, sconfinare all’indietro, lontano da quel confine-trincea del mondo, e rivolti come gamberi al selciato dell’intimità. Abbiamo forse vinto, in questa resa orgogliosa, superba, rinunciataria? Rifiutare il mondo è la salvezza di chi si mette da parte per stringere un’illusione. Io mi sono arreso, Teresa. Non avere pietà di me e non lodarmi per questo. La fragilità è una forza tanto quanto una colpa. Ci sono poche verità nella vita, e miriadi di risposte in quelle voci del mondo che strillano, ma troverai saggezza solo in chi, alle tue domande, risponderà con domande. L’onestà di chi ti mostra la vita nella sua trasparente incertezza, nei suoi dubbi continui e insolubili, nostra resistenza e nostra disgrazia, sarà il corollario perfetto della verità che starai cercando: non una menzogna, ma una non verità, una verità provvisoria, fugace, nebulosa e frammentaria. Diffida, Teresa, da tutte le ricette risolutive. Le cose ti colpiranno e dovrai guardarle come chi non sa.
E che ne so, io, di questa mia rinuncia? Di questo sguardo distante, arrabbiato e solitario, che fugge fugge e ancora fugge per ritrovare una sua forma, una sua vita, in fin dei conti una sua umanità. E da quest’eremo potrò forse ritrovarmi ad amare l’umanità di nuovo, ma che traguardo sarà mai, se poi non amerò i singoli uomini? Sarà il premio irrisolto dell’astrazione, la soluzione perfetta di un’architettura inconsistente. Sarà la conquista di un Cristo qualunque che non ha saputo ferirsi, di un intellettuale che ha scovato la chiave di tutto senza conoscerne la porta. No, Teresa, la trincea, prima o poi andrà attraversata. Dovrai immergere le tue mani nel fango terreno, sporcare il tuo candore con la putredine della concretezza, arcobaleno opalescente, e nero, del caos. Se vorrai trovare un ordine, non sarà certo nella teoria che potrai trasfigurarlo. Oltre il confine rifiutato: sarà lì che dovrai addentrarti, che dovrò io addentrarmi, come tutti, come gli altri, come la minoranza che si è ritirata per cercare ciò che solo al di là potrebbe trovare, e che invece si ostina a proteggere se stessa nel forte di cristallo della segregazione. Addentrarsi nel mondo e tra la gente, rifiutare non l’umano, ma l’eremo. Eppure, io non riesco. C’è come una forza che mi trattiene e che pure mi spinge ma incatenandomi. Sarà come Prometeo, destinato, senza posa, a mangiarsi e ricostituirsi? Ho come l’impressione che la paura del male mi divori la coscienza. Dopo tutto, la tensione verso ciò che ci opprime può forse liberarci, mentre lo scontro oppositivo si risolve proprio nell’opposto, e a quello ci consegna e lì c’imprigiona. Ma non è facile, Teresa, scegliere la vita. Non certo più facile che scegliersi un avamposto, un osservatorio nascosto e ritirato: una gabbia dorata dove si può diventare bestia luminescente, ma pur sempre bestia.
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Bernardo Giusti, nato a Firenze nel 1990, giovane speranza tra i romanzieri italiani ha pubblicato recentemente “Bivium” Edizioni Masso delle Fate. Teresa non è ancora nata e Bernardo Giusti ha scelto Bebeez per condividere l’attesa.