Nella prestigiosa cornice del salotto di Michele Correra, dove si sono esibiti artisti tra i più famosi, si terrà l’esecuzione dello Stabat Mater di Pergolesi nel cuore della Settimana Santa.
Correva l’anno 1736.
Non si può negare che Giovan Battista Draghi, detto, per l’origine della sua famiglia, il Pergolese, non avesse avuto successo. Giovanissimo aveva letteralmente trionfato con opere come “Lo frate ‘nnammorato”, e soprattutto “La Serva Padrona”, intermezzo buffo destinato a gloria imperitura essendo ancor oggi presente nel repertorio dei principali teatri. Eppure tutto ciò non bastava a fare del Pergolesi un uomo fortunato. Aveva un problema alla gamba sinistra che lo rendeva penosamente claudicante e, soprattutto, si ammalò di tubercolosi, male a quell’epoca incurabile. E poi i tempi e le consuetudini di allora erano
ben diversi da quelli attuali. Oltretutto l’opera d’ingegno non veniva tutelata, come oggi avviene, con il “diritto d’autore”. Il
compositore viveva dei proventi della “commissione” che gli veniva conferita per comporre un lavoro, sia esso
teatrale che di circostanza o che appartenesse al genere sacro. E in quell’anno 1736 Pergolesi era veramente in gravi difficoltà economiche. Era assistito dalla sorella con la quale, su consiglio dei medici, si trasferì a Pozzuoli, poiché si pensava che l’aria sulfurea di quel luogo potesse giovare ai suoi polmoni. Il Duca Carafa di Maddaloni aveva in animo di aiutare il Pergolesi e voleva concedergli un sussidio, ma gli fu detto che il Pergolesi per dignità non l’avrebbe accettato. Era consuetudine, per il Venerdì Santo, eseguire nelle Chiese, ed in particolar modo in quella della Confraternita
“Cavalieri della Vergine dei sette dolori” lo “Stabat Mater” di Alessandro Scarlatti, nume incontrastato della scuola musicale napoletana del ‘700. Ma molti cominciavano a ritenere questa composizione ormai superata, poiché troppo strettamente legata allo stile barocco. Sollecitata dal Duca di
Maddaloni, la Confraternita commissionò un nuovo “Stabat” a Pergolesi e questi, in quel di Pozzuoli, si accinse alla composizione. Composizione che, per le sue pessime condizioni di salute, gli costò molta fatica, come si può notare dalla partitura autografa, piena di correzioni, con grafia spesso incerta come di persona che non ha il pieno controllo dei suoi movimenti. Giunto al termine, di suo pugno espresse la soddisfazione di aver portato a conclusione l’opera scrivendo in calce alla composizione “Finis Laus Deo”.
Morì poco dopo a soli 26 anni.
Lo “Stabat” del Pergolesi, pur seguendo la falsariga scarlattiana, se ne discosta per il carattere umano che attribuisce alla Vergine, non creatura quasi divina, che si distacca dalle ansie terrene, ma autentica madre che partecipa alle sofferenze del Figlio. E’ un modo nuovo di concepire il sacro, è un modo nuovo di impostare la composizione religiosa, avvicinata così all’umanità dolente.
Si assumono il difficile compito di eseguire questa partitura il soprano Carmela Osato, perfezionatasi all’Accademia del Teatro Pergolesi di Jesi con al suo attivo numerose produzioni operistiche, il mezzosoprano Eufemia Tufano, artista dalla rinomata carriera che l’ha vista presente sui più importanti palcoscenici europei. A condurre l’esecuzione e al cembalo Il M° Pierfrancesco Borrelli considerato uno dei maggiori continuisti italiani, specialista del repertorio barocco in particolare di scuola napoletana alla guida per l’occasione del Montis Fortis Consort.