Acura di Ilaria Guidantoni
Il viaggio nella musica italiana continua pensando all’estate in vista della riapertura di cinema e teatri a metà mese. E’ solo una riapertura o anche una ripartenza. La seconda puntata di questa tappa è insieme a Tony Cercola, che invita a “Sognare con la lettura” e lascia un videomessaggio ai lettori di BeBeez (in fondo all’articolo).
Tony Cercola, alias Antonio Esposito da Cercola, naturalizzato napoletano, che abbiamo raggiunto al telefono, raccomanda la lettura, il suo primo pensiero, ancor prima di invitare all’ascolto. “Leggere qualsiasi cosa, dalle notizie al fantastico perché la lettura è sapienza e solo la cultura ci può salvare. Mi piacerebbe che soprattutto i giovani chiedessero ‘Regalami un libro’.”
Se ti dovessi raccontare senza pensare al curriculum cosa diresti della tua storia?
Sono un ragazzo di provincia catapultato a Napoli dove sono arrivato da Cercola, paese della cintura napoletana, con il sogno di vivere di musica. Allora che i musicisti erano invisibili era una scommessa davvero ardua, ancor più di oggi. Nel 1976 ho incontrato chi mi avrebbe inventato, il giornalista del Tg2 Sandro Petrone.
Ci siamo conosciuti grazie a lui proprio a Napoli un po’ di anni fa alla Fondazione Valenzi per un incontro sul Mediterraneo e mi accennò a qualcosa sul nome. Ci racconti meglio?
Sono stato battezzato come Antonio Esposito e Sandro mi ha suggerito Tony Cercola, nome di battaglia e ormai la mia vera identità da oltre quarant’anni. Io ero il vulcano, irruente forse troppo e rischiavo di essere distruttivo. Tutto fuoco senza ordine. Quello con Sandro è stato l’incontro tra un proletario – ex operaio in fabbrica – e un borghese, grande affetto e discrezione allo stesso tempo.
Come vi siete incontrati?
L’ho cercato in redazione chiamandolo con un telefono a gettoni e ho trovato una grande disponibilità quando gli ho detto che il mio sogno era lavorare in radio. Capì che il talento c’era ma mancava tutto il resto. Colse il ritmo e lo spirito e mi aiutò ad entrare a Radio Nuova Napoli, lottando contro tutto e tutti perché l’emittente rappresentava un mondo lontano dal mio. Ebbi così un palinsesto di due ore da mezzogiorno alle due del pomeriggio tutto da inventare. Non mancarono le critiche anche per il mio italiano imperfetto. Per cinque anni fui stipendiato: 65mila lire al mese, un piccolo salario, che mi ha permesso di restare a Napoli e conoscere il mondo della musica. Il mio sogno era cominciato e tuttora riesco a vivere grazie alla musica. E’ curioso che sia stato scoperto dal Vomero.
Napoli poi è diventato il tuo orizzonte.
La città è una miscellanea di culture e dal rock progressivo vi sono avvicinato alla musica mediterranea, come racconto in due libri che sono la mia storia, Per chi suona la buatta. Storia di un percussautore e la sua appendice, Come conquistare il mondo con la buatta (editi da Arcana) scritto con Antonio d’Errico e il primo con una prefazione di Sandro Petrone che è stato anche l’inventore della parola percussautore. Il suono della musica dei tamburi artigianali, le buatte, in dialetto napoletano, scatole di latta simbolo dell’arte di arrangiarsi, echeggia nelle pagine del libro come fosse richiamo per l’animo di un bambino. Solo che Sandro aveva intuito il mio lato melodico e vocale oltre che il ritmo del percussionista.
Cos’è per te il Mediterraneo?
Cucinare bene. E’ il pomodoro con il quale si possono inventare infinite varianti della salsa. Il nostro mare è ricco di sfumature, dialetti, suoni; basta aver la voglia di curiosare. E’ un mare somma di mari sul quale è necessario investire e far conoscere all’estero, superando la dimensione del canto nazional-popolare. Non perché la canzone napoletana tradizionale non sia bella ma da sola non basta. E’ questa dimensione di riscoperta delle radici in un modo nuovo che dovremmo far conoscere in America: io ad esempio ho unito la mia musica con il tango. Non solo ma ho creato un linguaggio afro-mediterraneo, il lumumbese. Dentro mi è rimasto quello spirito di contaminazione e sperimentazione della Napoli anni Settanta, avvicinandomi a suggestioni diverse, affiancato ad esempio da Anarita Rosarillo, cantante argentina e mia compagna di vita.
Come hai trascorso il periodo di confinamento?
Non mi sono mai fermato e ho passeggiato sia la mattina sia il pomeriggio almeno un’ora godendo il silenzio della città e la Napoli surreale e da questo ‘vuoto’ sono nati due brani melodici molto malinconici che spero usciranno a ottobre con alcune tracce inedite maturate durante la composizione del mio terzo album, Nomade del Vesuvio, nel 2004.
Cosa ne sarà della musica dopo questo periodo?
Tornerà ad avere dignità senza più assembramenti dove la musica è prodotta dall’attivazione di bottoni e finalmente si ascolterà. Si è azzerato tutto e soprattutto i grandi concerti anche se i grandi nomi non avranno problemi. Ora si privilegeranno i nomi di qualità.
Quali sono i tuoi progetti?
Lavorare con piccole formazioni magari andando nei borghi con un pubblico ridotto, unendo le percussioni alla voce e forse inserendo un sax e un violoncello.