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Un anniversario simbolico che diventa l’occasione per ripensare l’esposizione e valorizzare un’istituzione che potrebbe diventare parte di un sistema archeologico della Penisola del Sinis nel Comune di Cabras in provincia di Oristano. Fare sistema e sviluppo del territorio a partire dalla valorizzazione del patrimonio culturale per promuovere l’economia turistica è lo scopo della Fondazione Mont’e Prama partecipata dal Comune locale, dalla Regione Sardegna e dal Ministero dei Beni Culturali che BeBeez ha incontrato alla Bit 2024 a Milano.
BeBeez è stata invitata in occasione del riallestimento temporaneo delle statue dei Giganti scoperte il 31 marzo del 1974, lo stesso anno del ritrovamento dell’Esercito di Terracotta in Cina, sebbene musealizzati solo nel 2014.
È attualmente in fase di costruzione la nuova area museale del Museo Civico Giovanni Marongiu le cui facciate raccontano con sculture le attività tradizionali dell’isola. Il Museo è stato realizzato alla fine degli Anni Novanta dal politico Giovanni Marongiu e nel 1997 apre come Museo del Territorio accogliendo collezioni archeologico di cui Cabras è ricca a partire dal Neolitico medio fino all’epoca romana.
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Il nucleo centrale dell’esposizione è appunto costituito dalla sala dei cosiddetti Giganti e dei moduli della costruzione del nuraghe che oggi gode della luce naturale con le statue rivolte alla collina dove sono state ritrovate per casi da un gruppo di contadini e che li hanno segnalati.
Nati per essere esposti all’aperto nella nuova ambientazione saranno illuminati artificialmente anche se godranno di un percorso dedicato. Le statue sono impressionanti per la fierezza e la possenza che trasmettono e hanno comportato un lavoro ben lungi dall’essere completato a partire da 5.008 frammenti che sono stati ritrovati. Queste statue pongono infatti più domande di quante risposte offrano a cominciare dal perché tanti frammenti, se dunque siano state distrutte intenzionalmente o lesionate dal tempo. La zona di ritrovamento è una necropoli maschile e si pensa che le opere scultoree rappresentassero quegli stessi ragazzi sepolti prestanti nel fisico, dall’alimentazione sana almeno secondo quanto si ricava dalla dentatura.
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A ogni gigante gli archeologi hanno dato un nome come Manneddu, in sardo grassottello, il “viaggiatore”, che è stato esposto anche a New York, ed Efis, il più noto, l’icona dei giganti, un guerriero con alcuni particolari decorativi di pregio come il bracciale e la treccia. Sono tutti Pugilatori, Arcieri o Guerrieri ed è in corso un progetto non tanto per scavare e cercare altri reperti quanto per capirne maggiormente l’origine e lo scopo della rappresentazione. Inoltre la Fondazione intende promuovere la conoscenza al di fuori della Sardegna e farli viaggiare. Da pochi giorni è stato inaugurato tra l’altro un laboratorio di restauro dove ora è ricoverato l’unico dei giganti con ancora la testa attaccata.
Nella sede museale ampliata si riuniranno tutti e 33 i Giganti compresi quelli attualmente a Cagliari presso il Museo Archeologico.
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Altra particolarità i modellini dell’architettura nuragica che si cominciano a realizzare quando essa entra in crisi, è tra il IX e l’VIII secolo a. C., probabilmente per tramandare la memoria e come simbolo di identità. Questo lo si è dedotto – anche se è sempre complesso parlare di certezze in questi casi – per il fatto che siano stati trovati al centro delle capanne del villaggio dove si prendevano le decisioni, qualcosa che può assomigliare alle nostre sale delle bandiere.
Il percorso museale ci consente un viaggio nel tempo nella zona a cominciare dalla sala dedicata all’isolotto Cuccuru is arrius da dove provengono molti reperti, il sito più antico. In particolare troviamo la testimonianza di due necropoli con testimonianze di sepoltura in pozzi con piccole grotte con corredo funebre. I morti sono stati sepolti in posizione rannicchiata, oggi diremmo fetale, con accanto al volto o in mano la cosiddetta dea madre che in realtà non si ha certezza di cosa rappresenti e se sia effettivamente una figura femminile.
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Una sala è dedicata alla città di Tharros del periodo fenicio-punico, insediamento su un precedente villaggio nuragico e poi trasformata durante l’epoca romana. Al Museo, del vicino sito archeologico si trova l’esposizione del Tophet, una sorta di santuario con le urne cinerarie dei bambini.
Una sala è dedicata poi al periodo romano che inizia nel 238 a.C. quando la Sardegna diventa Provincia Romana. Qui i lingotti di piombo provenienti da un relitto di Mal di Ventre in realtà una cattiva traduzione piemontese di Malu entu, cattivo vento ovvero il Maestrale. Un sub negli Anni Ottanta del Novecento ne denunciò la presenza e si è risaliti al fatto che si trattasse di una nave impiegata per il commercio di piombo esercitato da due fratelli grazie all’iscrizione presente su un lingotto. Ora la nave è ancora lì perché il recupero è molto costoso e quanto è stato ritrovato è avvenuto grazie a un finanziamento del Laboratorio di Ricerca del Gran Sasso che ha preso un certo numero di lingotti per studiarli dal punto di vista fisico (dato che si è riscontrato la perdita di radioattività), impiegati anche per schermare le attività degli scienziati. Una visita che può essere completata con una passeggiata nel vicino insediamento di Tharros a picco sul mare.
a cura di Mila Fiorentini