
Quattro appuntamenti per raccontare l’arte al tempo del Decreto sicurezza
Per la prima volta la gallerista Susanna Orlando, fiorentina, apre la propria casa con una diretta streaming (sulla sua pagina fb sono visibili alcune dirette) per amici, collezionisti e artisti, in una visita collettiva intima che diventa un evento digitale, non virtuale. Nei giorni difficili che stiamo vivendo le sue due gallerie sono chiuse e Susanna, ha deciso di organizzare un viaggio per mostrare le sue opere non in vendita, con l’idea che l’arte curi. Cura chi la vive, intorno a sé, cura chi la guarda. Quattro appuntamenti nella sua mansarda, in una palazzina nel centro della città degli artisti (alle spalle della Versilia, in Toscana) da dove abita da trent’anni.
Le abbiamo chiesto di raccontare a Bebeez come nasce questo viaggio ‘senza scopo di lucro’, per puro piacere di condivisione in un momento nel quale anche uno sguardo da vicino ci è negato e di accompagnarci tra le sue mura. Il suo progetto mi ricorda quello che capitò a Xavier De Maistre, scrittore e militare francese, nato in Savoia (il prediletto fratello minore del conte Joseph de Maistre, scrittore apologista cattolico, reazionario) che, costretto a 42 giorni di arresti domiciliari, scrive Viaggio intorno alla mia camera.
Cominciamo proprio dalla casa che ti rispecchia molto.
“Quando ho comprato trent’anni fa questa mansarda ho coronato il sogno di abitare in un ambiente che ricordasse da vicino l’atelier di un artista, semplice, come questo edificio dell’Ottocento considerato un’abitazione allora popolare. La casa disegna i confini dell’io ed è importante che ci rispecchi; io, lavorando nell’arte, mi sono circondata di opere, molte delle quali mi sono state regalate da artisti secondo la buona pratica di offrire qualcosa al gallerista che ospita e organizza la mostra”.
E’ la prima volta di una presentazione per il puro piacere di raccontare l’arte. Cos’è successo in te?
“Non l’avrei mai pensato in un altro momento. Poi la chiusura della galleria, il disorientamento collettivo, mi hanno spinta a cercare un dialogo ‘in sicurezza’ con gli altri, a confrontarmi, e nello stesso tempo a voler regalare un po’ di tempo, di gioia e di bellezza, ora che il tempo si è dilatato e tanti amici che in altri momenti non avrebbero potuto farlo per impegni di lavoro, hanno partecipato volentieri a questo viaggio.”
Da dove cominciamo?
“Dalla voglia di leggerezza in un momento pesante con la Stella di Alcalà, rossa di Gilberto Zorio, soggetto firma del suo lavoro, opera alla quale sono molto affezionata. Tra i padri dell’Arte Povera che lavora con la materia trovata in natura senza modificarla, ha realizzato quest’opera per una mostra omaggio ad Aldo Mondino, legata a un loro viaggio in Spagna quando, distesi al tramonto guardavano il cielo e ad un certo punto Gilberto ebbe la visione, condivisa con l’amico, di questo incendio rosso. Mondino è morto a settant’anni come quasi tutti gli artisti di quel gruppo tra i quali Alighiero Boetti, Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano. Di Mondino, artista che ha lavorato molto con me, conservo accanto ad altre opere un suo dono, un bicchiere in vetro di Murano del 2000 con la base a forma del copricapo indossato per il mikvah, opera intitolata Contaminazione, essendo lui un fautore della ricchezza delle differenze e fautore del dialogo tra culture e religioni.”
La seconda puntata ci porta in cucina, perché?
“Perché in fondo è il cuore intimo della casa ma aperto all’ospite e quindi racconta bene lo spirito di questi miei incontri. Dalla finestra di cucina si vede Pietrasanta addormentata che con le sue piazze vuote, come l’Italia di questo periodo, come ha anche scritto il curatore torinese Luca Beatrice, ricorda le Piazze d’Italia di De Chirico e quella spinta che nacque un secolo fa ad andare oltre, oltre la realtà esplorando il sogno come ad esempio nel Surrealismo e al di là del mondi fisico con la Metafisica. Lo spazio del ricevere ci riporta con i piedi per terra e di questo ambiente voglio raccontare le scuri delle finestre dalla quale ci siamo idealmente affacciati, dipinti da Antonio Possenti, artista colto che è stato definito ‘fantastico’.”
Qual è il cuore della terza puntata?
“Il mio ritratto, Sognatrice numero 5, di Fabrizio Corneli, artista fiorentino, classe 1958, che ho conosciuto a casa di un’amica collezionista attraverso una sua opera L’uomo volante e che mi ha fatto innamorare di lui. Gli ho chiesto di fare un lavoro dedicato alla mia casa, site specific, per il culmine del tetto…era il 1993-1994 e abitavo da pochi anni in questo appartamento. Mi ha chiesto di chiudere gli occhi, restando seduta, per una lunga mezzora, pensando a qualcosa di bellissimo. Un arco di tempo interminabile per chi non è abituato a fare meditazione. Ha scattato molte foto nelle quali ho visto per la prima volta la mia espressione di sogno e ho pensato a quella Buddha. Interessante di quest’opera come di molti suoi lavori è il fatto che siano fatte di niente: piccole lamelle che spengendo la luce non restano che linee, quando, accendendo la luce, prendono forma e diventano in questo caso un volto.”
L’ultima puntata si conclude con la terra. Perché?
“Ho voluto concludere questo ciclo con il titolo “Come in terra”, che ricorda preghiere in diverse religioni, per tornare nella concretezza, all’origine della vita e in qualche modo riprendere e continuare il cammino in questa nuova vita, che speriamo sia temporanea rispetto alle condizioni. Così ho scelto artisti che parlano con la terra e della terra e non è un caso che associ a questa tappa l’album Lambarena, un cd prodotto in Gabon in onore di un medico-filosofo in missione in Africa, Albert Schweitzer, con musiche di Bach eseguite da musicisti africani con gli strumenti della jungla. Il primo quadro di questo percorso è il Rinoceronte di Girolamo Ciulla, artista siciliano che vive e lavora a Pietrasanta, che era un’opera di una mostra che ho organizzato e che sento mi protegge nella casa. Quest’opera mi ha portato a riflettere sulla bellezza del disegno, dal quale sono partita perché all’inizio della mia carriera era a misura delle mie finanze. Poi ho scoperto il suo lato prezioso essendo l’esordio creativo dell’artista, preludio dell’opera.”
Vorrei tornare sul Rinoceronte e sulla sua cornice che sembra così lontana dall’immagine di forza aggressiva che esprime. Ci racconti questa scelta?
“L’opera si completa con la cornice e con la sua collocazione. Penso che un gallerista debba anche consigliare come appendere un’opera e nel caso del Rinoceronte sarebbe stato strano metterlo troppo in alto, considerando l’allusione alla pesantezza. La cornice è antica e anche in parte consumata dal tempo e proprio di fronte al corno dell’animale, che sembra in una posizione di attacco, c’è un mazzo di fiori, come se questo potesse fermarne l’aggressività. L’arte non dev’essere messa a caso soprattutto nel proprio ambiente ma collocata con un senso funzionale al nostro vivere.”
Quali sono gli altri artisti che ci fanno compagnia nel segno della terra? “Roberta Busato, Piero Gilardi, Jessica Carroll. Della prima, mantovana, ho il volto di una donna che ricorda i totem africani, con l’odore della terra ma che dietro il volto ha due mattoni, espressione della sua contemporaneità. Piero Gilardi, anch’egli torinese, è diventato famoso per i suoi tappeti “arte-natura”. Ha cominciato a lavorare nell’ambito dell’Arte Povera raccogliendo tasselli di prato, con l’idea di proteggere la natura dall’inquinamento. Negli anni Settanta organizzare delle inaugurazioni con cubi di terra era certamente innovativo; poi ha cominciato a lavorare con il poliuretano creando delle ‘scatole’ come Primavera al torrente realizzata con i sassi di torrente e canne di ginko biloba. La torinese Jessica Carroll, ultima compagna di Aldo Mondino – al quale l’ho presentata io in un viaggio a Trento – lavora sulle api e di lei ho una piccola opera che ci invita ancora una volta a riflettere sulla fragilità della terra. Ultima tappa del nostro viaggio, un’opera di Michelangelo Pistoletto, nato con l’Arte Povera, Con-tatto, di piccolo formato sulla sua tipica superficie specchiante. E’ un’opera emblematica che in questo periodo ci appare come un simbolo del contatto negato, recuperato oggi in una dimensione digitale, non solo virtuale. L’opera ci mostra una mano che ci segue, ci si avvicina senza mai sfiorarci, comunque si orienti l’opera”.
a cura di Ilaria Guidantoni