Una giornata dedicata alla stampa per raccontare la nuova vocazione della città di Bergamo nell’ambito dei percorsi d’arte, con lo sguardo puntato al contemporaneo sperimentale, ai nuovi linguaggi dei giovani artisti, l’apertura degli spazi museali al territorio, concepiti come laboratori oltre che “vetrine” artistiche, e l’obiettivo di realizzare una rete tra le diverse realtà espositive della città, senza dimenticare il network internazionale. Lavorerà nella continuità con il passato, rafforzando alcune di queste linee, il nuovo direttore della GAMeC, Lorenzo Giusti che ha inaugurato la mostra Il diletto del praticante dell’artista americano Gary Kuehn con una preview per i giornalisti.
Quello proposto alla stampa da parte dell’amministrazione cittadina insieme alla GAMeC è stato un vero e proprio percorso tra Bergamo Alta e Bergamo Bassa, cominciando dalla Sala delle Capriate presso il Palazzo della Ragione che si affaccia sulla Piazza Vecchia, recentemente restaurata grazie ad un intervento di Mario Botta. Qui è allestita una parte della mostra dell’artista americano Gary Kuehn, che propone un dialogo tra passato e presente. L’assessore alla cultura del Comune, Nadia Ghisalberti, ha sottolineato che si tratta di uno dei palazzi comunali più antichi d’Italia e dopo la sua costruzione si è assistito alla fioritura dei commerci e dell’attività della città. Rilanciare il contemporaneo dalla maestosità dell’antico della Piazza Vecchia, diventa pertanto un fatto simbolico. La GAMeC, realizzata su Progetto di Vittorio Gregotti nei primi anni Novanta, fu allora un’idea vincente di collaborazione tra pubblico e privato, alimentata da fondi successivi, altra caratteristica in linea con la città le cui collezioni si sono formate per lo più grazie a donazioni. Quest’anno l’apertura sarà garantita anche ad agosto per rendere la città un luogo di incontro durante tutto l’anno. Il nuovo allestimento del Palazzo della Ragione accoglie opere le opere di un autore vivente seppure storicizzate. Nella sala infatti sono raccolti i lavori degli Anni Sessanta a partire dal 1964 e l’esposizione segna, a cinquant’anni di distanza, il ritorno dell’artista in Italia con una Personale dopo la prima e unica nel 1968. La scelta del nuovo direttore, Lorenzo Giusti, propone anche un nuovo corso nell’ambito della comunicazione e della grafica della realtà della GAMeC, a partire dallo stesso logo e dal recupero originario dell’architettura “pulita” neorazionalista, riportando in primo piano il grigio antracite del museo.
Il nuovo corso della GAMeC
Abbiamo incontrato Lorenzo Giusti, guida d’eccezione nel percorso artistico primavera-estate di Bergamo, pratese, arrivato da gennaio in città. Formatosi come storico dell’arte all’Università di Firenze con una tesi sul movimento Fauve dal punto di vista della critica e in particolare su Louis Vauxcelles che per primo ha dato un nome a quest’espressione artistica, ha studiato a Paris VIII e ha frequentato il dottorato a Siena, maturando un’esperienza variegata, nell’ambito della quale da menzionare la direzione del MAN_Museo d’Arte Provincia di Nuoro. Una nuova direzione per un nuovo corso: cosa individuerà il suo stile e che tipo di relazione ci dobbiamo aspettare rispetto alla precedente gestione? “Sostanzialmente mi muoverò in una linea di continuità per accordare una visione unitaria tra i tanti interventi in funzione del valore della ricerca; dell’attenzione al territorio; e ai processi comunitari di partecipazione. La mia idea è di promuovere il moderno di ricerca con un taglio più sperimentale rispetto a quanto fatto in passato. In particolare intendo riservare un’attenzione specifica ai giovani artisti e ai nuovi linguaggi.” Altro elemento importante sottolineato dal Direttore l’attenzione al territorio perché il museo diventi un laboratorio, una sorta di casa per gli artisti e in quest’ottica si iscrive anche il riallestimento architettonico aperto e visibile dall’esterno per creare continuità con la città e rendere il museo un spazio dinamico, non un semplice contenitore di opere. “Tengo in particolare – ha aggiunto – alla collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti Carrara con un’integrazione organica. Abbiamo infatti firmato un public program. Infine, una spinta all’internazionalizzazione, non solo ospitando artisti di varie nazionalità ma facendo rete con varie istituzioni europee e non solo.”
Il diletto del praticante, Personale di Gary Kuehn
La mostra, a cura di Lorenzo Giusti, aperta dal 7 giugno al 9 settembre, è stata promossa con un progetto di comunicazione al quale ha collaborato Sara Fumagalli, curatrice del catalogo edito da Mousse Publishing. L’artista nasce da famiglia operaia nel 1939 nel New Jersey e vive tra New York e Wellfleet nel Massachessetts con la moglie, Suzanne McConnell, scrittrice. Nella Sala delle Capriate sono presentate le opere di medie a grandi dimensioni che caratterizzano la sua arte fortemente influenzata dal Minimalismo americano del tempo che però Gary cerca di sovvertire, prediligendo la ricerca della libertà d’espressione e il rigore nel portare avanti questa visione. Nella sede della GAMeC sono presentate le opere tra gli anni Settanta e Ottanta con una formula di dialogo e contrasto tra la forma e i materiali e l’interpretazione psicologica che, ha sottolineato il curatore Giusti, “l’artista non esclude, senza però forzare una lettura in tal senso.” Nella prima sala la scoperta del ferro negli anni Sessanta, poi successivamente recuperato e le forme che Gary ritiene le figure eterne, rispettivamente il cerchio, quadrato e triangolo, che si diverte a modificare, deformare, piegando i materiali tradizionalmente duri. Dalla sala sul tema connessione e separazione si passa a due sale dedicate al dialogo-contrasto tra adattamento e deformazione. Protagonista di questa sessione il cuneo, che il Costruttivismo ha studiato a lungo, e che deforma la figura originaria. Pur essendo essenzialmente scultore si lascia conquistare dalla pittura con le black paints che però interpreta in modo singolare. Creare delle recinzioni delineando delle forme geometriche che riempie di colore con la siringa, “quella che gli chef – ci ha raccontato – usano per mettere la salsa sul tacchino.” Passando alla sala successiva, si scopre il titolo della mostra, preso da un’opera che il Curatore ha notato come una delle poche denominazioni evocative, mentre normalmente l’artista assegna titoli molti semplici alle opere che alludono a forme e materiali. Le ultime due sale contengono le Serie di Berlino e il dialogo libertà e limite dove sono presenti alcuni lavori che ricordano lo stencil, di forme geometriche su lastre di rame e alcuni modelli che poi sono serviti all’artista per realizzare i multipli delle opere.
Il Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – ENTERPRIZE
ENCHANTED BODIES / FETISH FOR FREEDOM a cura di Bernardo Mosqueira per l’edizione 2018, da 15 anni con l’alternanza tra una mostra e un convegno ha permesso di ospitare al museo curatori internazionali – il riconoscimento è dedicato ai curatori under 30 – e giovani artisti che poi spesso hanno avuto successo. Quest’anno diciassette artisti, di diverse nazionalità, in gran parte sudamericani, si sono espressi su un massimo comune denominatore: sono tutti migranti, che lavorano sulla contaminazione tra la cultura d’origine e quella del paese ospitante. L’allestimento in forma di ellisse con le opere una di seguito all’altra, circondate da stuoie di paglia, tipiche degli spazi sacri della cultura afro-brasiliana. L’idea del Curatore è di immaginare uno spazio zero nel quale il visitatore entra in rapporto di partecipazione interattiva con le opere e gli artisti. Curiosa la presenza di piante di basilico, di origine africana e molto diffuse nel Mediterraneo, sono strettamente legate allo spirito più importante della religione Candomblé, trasformano lo spazio in un luogo magico, ricordando ai visitatori che il sacro può celarsi anche negli oggetti più comuni. Il premio, ci ha raccontato la figlia di Lorenzo Bonaldi nasce dalla volontà della madre di ricordare e tenere in vita la passione del padre, grande collezionista.
La collezione impermalente con la presenza di opere di Dan Perjovschi, artista rumeno, classe 1961, invitato a progettare in modo provocatorio una campagna pubblicitaria per gli spazi cittadini e per i canali social della Galleria è a cura di Valentina Gervasoni e Fabrizia Previtali. Il nuovo allestimento consente di mostrare molte più opere dell’assetto precedente con un’alternanza dei vari fondi. Al momento in esposizione il fondo Stucchi, Zucchelli e Lorioli. Da segnalare la cosiddetta stanza “degli antenati” contente opere prima all’Accademia di Carrara, tra le quali due opere di Antonio Mancini, il dipinto preparatorio di Mario Sironi per l’affresco dell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma; Luca Vitone, la cui opera era stata concepita già per questo spazio con un concetto fortemente contemporaneo; come la Cassaforte di Maurizio Cattelan all’ingresso (una reale cassaforte smurata).
All’interno anche l’opera Delfino di Pino Pascali, ultima importante acquisizione, pervenuta alla GAMeC per volontà di Tito Spini.
Da segnalare la donazione di Lanfranco Colombo, gallerista che ha fondato Diaframma, la prima galleria fotografica italiana, un fondo di oltre 200 immagini, esposte solo in minima parte, interessante non solo per il valore degli scatti quanto per il rapporto del gallerista con i diversi artisti, da Scianna a Mulas a Berengo-Gardin che negli anni lo hanno omaggiato di alcuni lavori.
Infine Artists’ Film International, giunta alla X edizione, a cura di Sara Fumagalli e Valentina Gervasoni presenta l’intervista a Marcel Duchamp come ingresso in una collezione di video arte che dal 2008 coinvolge alcune tra le più importanti istituzioni d’arte contemporanea internazionali.
GAMeC
Via San Tomaso, 53 – Bergamo
Ufficio Stampa Lara Facco P&C, press@larafacco.com
Grazie a Ilaria Guidantoni.