Il dialogo tra arte contemporanea e storia attraversa la città di Treviso grazie a un progetto di Fondazione Benetton Studi Ricerche e Fondazione Imago Mundi, fino al 29 maggio 2022. In tal modo la cittadina veneta diventa una tappa nel viaggio del contemporaneo sul percorso della Biennale di Venezia.
Il nostro viaggio, grazie a una straordinaria visita privata che gli organizzatori hanno riservato a BeBeez, inizia dalle Gallerie delle Prigioni in piazza Duomo, simbolicamente uno dei centri della città, a due passi da piazza dei Signori.
Il progetto si sviluppa a partire da una piattaforma espositiva di tre mostre in tre diversi luoghi nel cuore della città e che agiscono con il tema comune “Mappare il mondo”, creando un percorso dove però ogni esposizione ha una sua autonomia.
La Fondazione Imago Mundi nasce nel 2018, cugina della Fondazione Benetton nata nel 1987, come centro di studio del paesaggio e dell’architettura, legandosi poi in modo ampio alla cultura, essendo il Presidente Luciano Benetton collezionista e appassionato di arte.
Le mostre sono legate anche dal nome dell’architetto Tobia Scarpa che ha restaurato i luoghi contenitori delle esposizioni, con una mano particolarmente felice, nel segno del restauro conservativo, che ha però saputo conferire ai luoghi grande modernità, ariosità e leggerezza, come nel caso delle vecchie prigioni che pure conservano tutti gli elementi architettonici e le scritte delle celle.
Di grande impatto l’illuminazione, proprio perché non invasiva, pur diventando essa stessa installazione artistica, con elementi sottili, che sembrano quasi dissolversi e nello stesso tempo vivere di vita propria. L’avvio della collaborazione per Atlante temporaneo, è un’occasione per unire il lavoro delle due Fondazioni. Imago Mundi rappresenta con la sua attività una mappatura istantanea dell’arte contemporanea con una collezione di 26mila opere, per quasi altrettanto artisti, in una soluzione no profit.
Gli artisti donano infatti la propria opera e la Fondazione li promuove in un catalogo – una serie di libri colorati che disegnano un viaggio attraverso il mondo – in tre, e in certi casi quattro, lingue: l’italiano, l’inglese e la lingua nazionale o della comunità alla quale appartiene l’artista. Il punto di partenza è nazionale con un riferimento forte al territorio ma non in senso cartografico tecnico.
Ad esempio per il Pakistan è stato scelto l’urdu come terza lingua mentre per un artista curdo si è optato per due diversi dialetti della comunità, rispettivamente con caratteri latini e arabi.
Quest’ultimo caso è stata una sfida ardua perché unisce stati diversi che insistono sulla stessa comunità. Oltre la lingua anche i materiali sono particolarmente significativi e raccontano la specificità di un territorio come nel caso degli Inuit che utilizzano molto la pietra saponaria.
Con l’esposizione in corso, si intende promuovere un dialogo tra la collezione permanente e gli artisti temporanei, rendendo questo luogo un centro di attività e un laboratorio di idee. Ci ha accompagnati nella passeggiata Mattia Solari, Curatore associato di Atlante temporaneo con un focus sul tema delle mappe intese come strumenti che aiutano a collocarci nello spazio fisico e a interpretare lo scenario sempre più complesso, globale e incessantemente connesso all’interno del quale oggi ci muoviamo.
Il Direttore artistico della Fondazione Imago Mundi, Enrico Bossan, ha sottolineato che la collaborazione tra le due fondazioni nasce per far vivere i luoghi nell’ottica del territorio, mettendoli in rete tra di loro e rientrano nell’idea di Luciano Benetton di investire sull’identità della città.
La collaborazione non è però una forma esclusiva ma potrebbe diventare un modus operandi periodico. Gli artisti in mostra sono Oliver Laric, Jeremy Deller, Paul Maheke, Matt Mullican, James Lewis, Kiki Smith, Walid Raad, Ibrahim Mahama, Otobong Nkanga, Rochelle Goldberg, Seymour, Chwast, Enam Gbewonyo, Sanford Biggers e Sarah Entwistle.
In particolare, l’inglese Jeremy Deller ha realizzato un corto circuito tra Brass Bans, le bande di ottoni con le loro fanfare e Acid House, la musica fine anni Ottanta, facendo suonare ai primi alcuni pezzi di questo genere. Ha disegnato in modo schematico un tappeto come fosse una lavagna realizzando la mappa della sua Inghilterra con gli scioperi dei minatori, alcuni processi di industrializzazione, le proteste urbane di quel periodo o il fenomeno dei Rave party. Paul Maecke, artista di origini congolesi residente a Londra, utilizza invece il rame con processi ossidativi valorizzandone la valenza di materiale polivalente con l’obiettivo di far emergere l’invisibile. Matt Mullican, artista americano piuttosto noto, studia in tutta la sua carriera artistica il segno per evidenziare il modo in cui diventa significato e in questa traduzione si gioca il valore dell’interpretazione della mappa. Interessante anche la serie fotografica dell’artista libanese Walid Raad, dedicata a Beirut e giocata sull’escamotage di un libro trovato sul quale sono state riportate delle frasi in arabo che poi l’artista ha tradotto originariamente in inglese e che è un modo per raccontare la storia del proprio paese. Infine tra gli altri ci ha colpito l’artista Enam Gbewonyo, una ghanese residente a Londra, che lavora con i collant, letti quale simbolo dell’oppressione della donna e del razzismo più in generale – è un’attivista dei diritti civili – ché ad esempio evidenzia come tradizionalmente la calza da donna sia ‘color carne’, intendendo però la sola ‘carne bianca’. In queste mappe di indumenti laceri e ritessuti in modo artistico vi è la sua esperienza di emigrata e in particolare la storia della madre, infermiera, costretta a indossare delle calze realizzate per altre donne.
a cura di Ilaria Guidantoni