Niyaz Azadikhah e Alireza Shojaian alla Fondazione Imago Mundi di Treviso
Fondazione Imago Mundi presenta Iran: Stitches on the body of freedom-Donna, Vita, Libertà, un progetto di Niyaz Azadikhah e Alireza Shojaian, una performance partecipativa a sostegno della lotta per i diritti in Iran.
Dal Centre Pompidou di Parigi, lo scorso 9 ottobre, alla Fondazione Imago Mundi a Treviso, la performance dei due artisti iraniani concepita per affermare la loro solidarietà con la rivolta iraniana iniziata dopo la morte della giovane curda Mahsa Amini, accompagnata da una mostra, fino all’11 dicembre 2022. Alla stampa è stato presentato il duo che lavora a un telo sul quale sono cucite le parole dello slogan gridato durante le manifestazioni, in francese perché tutto è partito da Parigi dove i due artisti sono esuli e che la Fondazione
trevigiana ha accolto nei propri spazi in linea con l’attenzione al sociale come già lo scorso anno aveva fatto con l’Afganistan. Anche in termini di allestimento la perfomance è stata inclusa all’interno di Ca’ Scarpa, come a dire che l’Europa, al centro di un’esposizione in corso nelle sedi della Fondazioni, deve aprirsi al mondo e non può ignorare quello che accade fuori dai suoi confini e che per altro coinvolge molti dei suoi abitanti se non cittadini. D’altronde anche lo spirito del progetto legato alla battaglia per i diritti delle minoranze è aperto e universale e l’augurio è che possa continuare a viaggiare in altri paesi e scriversi in nuove lingue, intrecciando tanti capelli, il cui taglio è il gesto simbolo delle proteste in Iran.
La prima volta la presentazione è stata nella piazza antistante il Centre Pompidou, non autorizzata e ostacolata, mentre la seconda all’interno del Centre, prova che l’idea era stata istituzionalizzata e proprio questo aspetto ci pare importante sottolineare: il mondo delle istituzioni può legittimare e dare forza a movimenti e proteste spontanee, assecondando appunto lo spirito di questi due artisti che hanno deciso di lavorare insieme. Solo con una rete si possono spingere i governi e mobilitare le comunità a intervenire. La spinta iniziale è comunque forte perché l’Iran è un paese giovane con trenta milioni di persone, oltre il trenta per cento, con età al di sotto dei 34 anni e settanta milioni al di sotto dei 54 anni, che hanno molto da perdere.
A Treviso il drappo realizzato durante la performance a Parigi insieme a tre opere in tessuto di Azadikhah, rispettivamente Uncle(Zio), Essence of Being (L’essenza dell’essere) e Memories of a Table (I ricordi del tavolo), realizzate con una tecnica del cucito che ricalca l’effetto del disegno, sarà esposto alle Gallerie delle Prigioni.
L’artista iraniana, già nella collezione Imago Mundi – che sta realizzando una mappatura mondiale dell’arte contemporanea, in occasione della collezione dedicata all’Iran – non utilizza il ricamo ma i punti intesi in senso chirurgico, quali suture per ricucire il dolore, le ferite e tenere insieme tutti coloro che intendono partecipare a una costruzione umana migliore e libera. Niyaz è emigrata all’indomani di messaggi minatori ricevuta da agenti sotto copertura del Ministero della censura che si sono infiltrati nelle esposizioni della galleria con la quale operava. In linea di principio ogni volta che si realizza una mostra chi la promuove deve inviare preventivamente le foto delle opere in esposizione al Ministero preposto per ottenerne l’approvazione. In quell’occasione la galleria non ha però mandato la scultura che rappresentava un ventre cinto da due mani. Lavorando molto sul tema del corpo e queer, pur non qualificandosi come artista queer, era entrata nel mirino della censura anche perché donna; come Alireza Shojaian, artista queer, in un paese nel quale l’omosessualità è punita con la morte.
In Iran è sempre esistita la tradizione di tagliarsi i capelli in un momento di lutto e di dolore, che è altresì simbolo di rinascita visto che i capelli ricrescono e in questo caso l’azione diventa un gesto di protesta. L’impatto della performance dipende molto anche dalla portata del coinvolgimento del pubblico soprattutto nelle occasioni pubbliche del 25, 26 e 27 novembre presso Ca’ Scarpa e Gallerie delle Prigioni. In questo caso i due artisti cuciranno i capelli donati dai visitatori e da chiunque voglia partecipare attraverso una call-to-action al progetto di solidarietà.
La call per la partecipazione si è chiusa venerdì 25 novembre 2022, e per candidarsi era necessario inviare per posta o consegnare di persona la propria ciocca di capelli (ben legata e in una bustina) alla Fondazione Imago Mundi di Treviso oppure la può consegnare agli artisti, nel corso della performance.
Questo progetto si inserisce nello spazio de L’Europa non cade dal cielo – Riflessioni
attraverso l’arte contemporanea, esposizione promossa da Fondazione Imago Mundi, in collaborazione con il Comune di Treviso fino all’11 dicembre 2022 presso Gallerie delle Prigioni, Ca’ Scarpa, Casa Robegan, Museo Bailo, che intende offrire una riflessione sul nostro continente nel tempo presente, le sue sfide e le sue opportunità. La mostra si sviluppa come itinerario all’interno della città di Treviso e coinvolge quattro sedi esponendo una selezione di lavori di venti artisti: Matthew Attard, Gabriele Basilico, Maurizio Cattelan, Jasmina Cibic, Braco Dimitrijević, Claire Fontaine, Olexa Furdiyak, Marco Godinho, Dan Halter, Emilio Isgrò, Yurii Ivantsyk, Annette Lemieux, Richard Mudariki, Arcangelo Sassolino, Santiago Sierra, Giulio Squillacciotti, Slavs and Tatars, Giuseppe Stampone, Paolo Ventura e Dominique White. Utilizzando diverse pratiche artistiche – dall’installazione alla pittura, dal suono alla fotografia fino al video – gli artisti in mostra invitano a considerare i temi dibattuti oggi in Europa.
A queste opere si affianca una selezione di 42 raccolte di Imago Mundi Collection dedicate ai
Paesi europei. Le opere in mostra, nel formato 10×12 cm, concorrono a esprimere la ricchezza variegata e affascinante della cultura visiva e concettuale del nostro continente, in un abbraccio che si estende dal Mediterraneo fino all’Artico. L’inizio della mostra è dedicato all’Est Europa proprio perché il territorio che è stato più soggetto a divisioni con pannelli estremamente variegati e interessanti che spesso presentano dittici. Tra l’altro gli espositori, disegnati da Tobia Scarpa, sono molto leggeri e si accoppiano a due a due rendendone il trasporto facile, nella propsettiva di far girare la mostra.
Il titolo dell’esposizione si ispira a un testo di Altiero Spinelli, da molti considerato uno dei padri del federalismo europeo, che nei suoi scritti del secondo dopoguerra espone e anticipa alcuni dei temi all’epoca urgenti e oggi ancora attuali, come la creazione e lo sviluppo di una identità europea, la gestione delle fonti energetiche, il ruolo della diplomazia europea nello scacchiere internazionale e l’impegno per la pace. La mostra vuole contribuire a far riflettere sulle identità dell’Europa di oggi, anche in considerazione delle sfide che in questi ultimi anni ha affrontato: dai flussi migratori all’emergenza sanitaria, dalla crisi climatica alle vicende geopolitiche, fino ai recenti conflitti.
Non è un caso che il percorso di apra con un’opera di Richard Mudariki, artista dello Zimbabwe che vive in Sud Africa, un lavoro realizzato appositamente per questa mostra, che illustra le sfide del presente che l’Europa deve affrontare attraverso una reinterpretazione di una celeberrima opera di Roy Lichtenstein; così il sudafricano Dan Halter riprende Il Principe di Machiavelli, ritenuto da molti il primo ad aver teorizzato un’Europa dove la diversità culturale è fonte di ricchezza. E ancora l’installazione luminosa del collettivo Claire Fontaine è una scritta in romaní, la lingua dei Rom, la minoranza etnica più numerosa d’Europa, e vuole esplorare il senso di appartenenza a una comunità. I lavori di Olexa Furdiyak e Yurii Ivantsyk testimoniano l’emergenza del presente, mentre la trave di legno lentamente pressata da un pistone di Arcangelo Sassolino simboleggia le
attuali tensioni sociali e lo scontro tra artificiale e naturale; l’opera del regista Giulio Squillacciotti presenta in un ipotetico futuro uno scenario limite sulla disgregazione dell’Unione.
La mappa di Emilio Isgrò con le sue inconfondibili cancellature immagina un’Europa libera, priva di confini e pacifica; nelle sue staged photographies Paolo Ventura, con indosso le divise dei soldati della Grande Guerra, ci fissa quasi a chiederci il senso del loro sacrificio; il collettivo Slavs and Tartars indaga come la lingua sia determinante nelle dinamiche di inclusione ed esclusione da un gruppo; Marco Godinho impiega la parola “Europa” per soffermarsi sui molteplici interrogativi dell’essere europei; le nature morte di Jasmina Cibic, dedicate agli ispiratori dell’Unione Europea, rivelano la transitorietà della memoria politica e ideologica; gli elmetti su ruote dell’artista americana Annette Lemieux, liberi di muoversi in ogni direzione, sono la metafora della costante ricerca di risposte dell’uomo contemporaneo. Quest’ultima installazione è stata scelta dalla Fondazione perché mima proprio quella moltitudine che si muove in ordine sparso brancolando nella semioscurità alla ricerca di un senso.
A Ca’ Scarpa il focus è sul concetto di incontro tra culture diverse, tra Nord e Sud e trova espressione in Stadium, opera di Maurizio Cattelan, presentata qui dopo trent’anni dalla sua ultima esposizione in Italia: un calcio balilla lungo oltre 6 metri con 22 postazioni, 11 per parte, che si attiva con happening artistici in cui due squadre si affrontano. Con quest’opera Maurizio Cattelan riesce a condensare le ossessioni e le contraddizioni dell’Italia degli anni Novanta del Novecento, con tutti i limiti di cui il nostro Paese ancora oggi è carico: la paura del diverso, dell’invasore, la pelle nera a cui non si fa caso nel sistema miliardario delle squadre di serie A, ma è invece marchio d’infamia se appartiene a chi non possiede nulla. Il calcetto verrà azionato da un vero e proprio campionato a squadre; la prima partita si terrà il 22 ottobre tra il Benetton Rugby e
l’Associazione Integrart, che si occupa di integrazione per i richiedenti asilo in Italia. A completare il percorso espositivo, le collezioni Imago Mundi dedicate al Nord Europa.
A Casa Robegan l’attenzione si concentra sul Mediterraneo, con le collezioni Imago Mundi dei Paesi che vi si affacciano. Si propone qui una ricerca sui confini mentali e fisici che delimitano il continente europeo, con il mare che da sempre rappresenta una barriera: se da un lato arresta il cammino, dall’altro apre nuovi orizzonti. Così, le piccole barche di Giuseppe Stampone simboleggiano i viaggi da Sud a Nord per varcare la frontiera liquida tra l’Europa e gli altri continenti; l’opera sonora e immersiva di Santiago Sierra riproduce contemporaneamente gli inni nazionali dei 27 Paesi dell’Unione, in una moltitudine di suoni che diventa cacofonia ed evidenzia le dissonanze, più delle armonie; le foto di Gabriele Basilico ritraggono i porti d’Europa, luoghi di arrivi e di partenze, frontiere e varchi insieme; Dominique White si concentra sulla diaspora africana, e introduce il tema del colonialismo europeo; Matthew Attard sposta la riflessione sulla mobilità che un passaporto è in grado di concedere o negare; Braco Dimitrijević si interroga sul nostro rapporto con la storia e la coesistenza delle diversità.
Il Museo Luigi Bailo accoglie infine la raccolta di Imago Mundi Collection dedicata all’Italia, che si affianca alla mostra in corso su Antonio Canova, in un ideale filo rosso che unisce l’arte neoclassica a quella contemporanea e celebra il genio artistico e la creatività del nostro Paese.
a cura di Ilaria Guidantoni