
di Alessandro Albano
Gli sviluppi socio-economici e geopolitici hanno causato un’importante inversione nell’attività dei mercati dei capitali UE nel 2022, con I finanziamenti alle imprese dai mercati regolemantati che sono scesi a livelli pre-Covid, mentre si è confermato cospicuo l’apporto dei private markets. grazie all’accumulo di dry powder (capitale disponibile non investito), che alla data del rapporto risultava di 231 miliardi di euro (dati Mergemarket). A rivelarlo è la quinta edizione del rapporto “Unione dei mercati dei capitali – Indicatori chiave dell’andamento” stilato dall’Associazione per i Mercati Finanziari in Europa (AFME), in collaborazione con altre 11 organizzazioni europee e internazionali e presentato ieri a Bruxelles (si veda qui la ricerca completa).

Lo studio, che traccia i progressi nell’unione dei mercati dei capitali in Europa, evidenzia che il totale delle nuove emissioni di debito e azionarie è diminuito del 32% su base annua nella prima metà del 2022, con un calo particolarmente marcato (86%) delle IPO europee, a cui si aggiunge un allargamento del divario europeo in termini di capitale di rischio: la capitalizzazione delle azioni quotate nel mercato dell’Unione Europea è scesa infatti dal 18% del 2000 ad appena il 10% sul totale globale nel 2022.
A causa dell’aumento del costo del capitale, l’Europa è quindi scesa ulteriormente dietro gli Stati Uniti e il Regno Unito nella classifica della competitività nei capital markets internazionali, mentre tengono botta gli investimenti in capitale di rischio pre-IPO nelle piccole e medie imprese con nuovi flussi di investimenti di capitale pari a 34,3 miliardi di euro nella prima metà del 2022, circa il 73% dell’importo investito nel 2021. Tuttavia, l’AFME avverte che una sfida crescente per gli investitori è la difficoltà nell’uscire dagli investimenti (exit), in quanto il mercato delle Ipo “resta sottotono e i mercati pubblici registrano valutazioni inferiori”.
In stridente contrasto rispetto alle Ipo si mostra l’andamento degli investimenti dei business angel, dimostratisi straordinariamente resilienti durante la pandemia. I sondaggi sul sentiment del FEI indicano che il contesto economico per gli investimenti degli angel nel 2021-22 è stato molto positivo, con aspettative favorevoli per i prossimi 12 anni mesi. Ciò si è riflesso in un’attività record degli investimenti nel 2021 con una crescita del 90% e una crescita del 14% dell’investimento medio per azienda beneficiaria. I dati di Dealroom suggeriscono che l’importo medio nella prima metà del 2022 ha già superato la media del periodo 2018-20.
Passando alle cartolarizzazioni, le operazioni sono scese ai livelli più bassi mai registrati, con la percentuale di prestiti in essere nell’UE trasferiti tramite cartolarizzazione e vendite di portafogli di prestiti scese all’1,6%, minimo storico e la metà di quello del 2018 (3,2%). Contrariamente al contesto statunitense, dove le emissioni di prodotti cartolarizzati sono cresciute del 74,5% nel 2020-2021 rispetto al 2017-2019, mentre le emissioni europee sono calate del 10,9% nello stesso periodo. Per questo, avverte l’associazione, “sono necessari la nuova normativa sulle quotazioni in Borsa che è in fase di approvazione e strumenti di natura ibrida in ambito europeo per sostenere le PMI in un momento in cui i finanziamenti che derivano dal mercato sono scesi a livelli pre-Covid”.
Una nota positiva arriva dal comparto ESG, notevolmente cresciuto negli ultimi cinque anni (da 61 miliardi nel 2017 a 360 miliardi nel 2021, e che si è confermato anche quest’anno nonostante la corsa ai combustibili fossili dopo le interruzioni del gas russo tramite il Nord Stream1: le emissioni di green bond nell’UE hanno continuato a crescere nel 2022, anche se a un ritmo più lento quest’anno, con volumi in aumento dell’8% su base annua nella prima metà del 2022, rispetto all‘aumento del 74% nel 2021 dovuto in larga misura alle emissioni sovrane, viene sottolineato nel report.
In Italia, il quadro non cambia e anzi in alcuni casi peggiora. Le emissioni, per esempio, sono anch’esse diminuite nel primo semestre, con solo il 7,8% delle società a utilizzare strumenti di debito quotati, rispetto all’11,5% del 2021. Nello stesso tempo, è aumentata l’erogazione di nuovi prestiti bancari, cresciuta dell’8% rispetto al 2021 (-17% dal 2019), ma l’Italia rimane indietro agli altri Paesi dell’UE nel finanziamento delle PMI. Avendo un’economia basata in gran parte sul settore bancario, viene fatto notare dall’AFME, l’Italia si distingue come uno dei Paesi dell’Unione Europea “con il maggiore potenziale per aumentare i finanziamenti da capitale di rischio”. Solo l’1,6% del finanziamento totale delle PMI nel primo semestre del 2002 proviene da equity, contro il 6,8% in media delle PMI dell’UE.
Con il processo di derisking delle banche italiane che va avanti spedito (il coefficiente di NPL in Italia è sceso dal 6,8% nel 2020 al 3,8% nel 2022), l’Italia ha registrato il volume più elevato di cessioni di portafogli prestiti di qualsiasi Paese dell’UE con 17,8 miliardi di euro oggetto di transazioni nel Paese nel 2022, in aumento dell’8% rispetto al 2021 ma in calo del 6% rispetto al 2019. Si è registrata, inoltre, una diminuzione della quota dei prestiti trasferiti in strumenti dei mercati dei capitali a causa di un significativo calo delle emissioni totali di cartolarizzazioni, in diminuzione del 57% rispetto al 2021 e del 75% rispetto al 2019.

L’Italia conferma invece il primato per il maggior numero di ELTIF commercializzati, con 38, e per il maggior incremento nel numero di fondi commercializzati, da 26 nel 2021. Ricordiamo che Eltif sta per “European Long-Term Investment Fund”, e il cui indicatore (Eltif indicator) misura la disponibilità di prodotti del Fondo europeo per gli investimenti a lungo termine (ELTIF) per il finanziamento di progetti a lungo termine e alle piccole e medie imprese.
Adam Farkas, Chief Executive di AFME, ha dichiarato: “In un momento in cui le imprese europee devono far fronte a nuovi problemi legate all’incertezza economica, all’aumento dell’inflazione e agli shock dei prezzi dell’energia, il progetto dell’Unione dei mercati dei capitali (CMU) resta vitale e importante come non mai per contribuire a finanziare l’economia. L’UE nel suo complesso sta perdendo ulteriore terreno rispetto ad altre giurisdizioni in termini di attrattività globale per le imprese, accessibilità a vasti pool di capitali e possibilità di quotazioni in Borsa”.
“Il nostro rapporto – ha aggiunto Farkas – mostra due ostacoli principali che frenano il progresso dell’ unione dei mercati europei. Si tratta della carenza di capitale azionario, che continua ad accentuarsi rispetto ai player a livello globale, e del debole mercato delle cartolarizzazioni, che si conferma una perdita significativa per il sistema finanziario dell’UE” .