“Siamo sempre più attenti quando si tratta di investire in settori come il gambling o la plastica”. Parola di Yann Chareton, managing director di Ardian, intervenuto ieri alla Private Capital Conference organizzata da Aifi in collaborazione con Linklaters e PwC.
“L’Esg oggi è tra i fattori alla base della creazione di valore. Per questo nel nostro team 5 fund manager lavorano esclusivamente su questo aspetto” ha detto ancora Chareton, che ha aggiunto: “Nell’ultima campagna di fundraising abbiamo avuto in merito non meno di 75 richieste specifiche da parte di investitori istituzionali, come quella di non investire in aziende che producono o fanno uso di energia di origine fossile. Nella precedente campagna di raccolta queste richieste erano state poco più di un terzo. Abbiamo tenuto ben 45 meeting con gli investitori sull’argomento. Questo perché i limited partners entrano sempre più nel merito con riferimento a responsabilità sociale e sostenibilità ambientale”.
Il punto di vista di Ardian, tra i principali investitori mondiali in private equity, è molto importante anche per l’Italia, visto che i fondi Ardian sono molto attivi nel nostro paese (per una panoramica sul portafoglio si veda BeBeez Private Data, clicca qui per abbonarti). Tra gli investimenti spiccano il 49% di 2i Aeroporti (in cordata con il gruppo Crédit Agricole, si veda altro articolo di BeBeez) e, più recentemente, il 14,2% di Inwit (si veda altro articolo di BeBeez).
Le parole di Chareton fanno capire quanto importante sia diventato ai fini delle scelte di portafoglio il tema dell’ESG (acronimo di Environmental, Social e Governance) cioè l’investimento nelle aziende e nei progetti particolarmente attenti ai temi della sostenibilità ambientale, della responsabilità sociale e della parità di trattamento tra investitori. Temi fino a qualche anno fa percepiti più come argomenti di moda, importanti ai fini dell’immagine ma di marginale impatto sull’operatività degli investitori. Oggi le cosa sono radicalmente cambiate. Questo anzitutto all’estero, ma anche in Italia l’ondata verde fa sentire i suoi effetti. Al punto che i parametri di sostenibilità sociale e ambientale stanno sempre più orientando le strategie delle aziende investite dai private equity, come accertato da una recente indagine dell’AIFI (si veda altro articolo di BeBeez).
Gli investitori in tutto il mondo sono infatti sempre più consapevoli che l’impatto incontrollato dell’attività produttiva sull’ambiente va incontro a costi e penalizzazioni crescenti, con effetti immediati sulla redditività prospettica dell’azienda e quindi dell’investimento. “L’ESG sarà presto necessario per competere in futuro, un po’ come è successo con la presenza delle aziende sul web: un tempo era un vantaggio competitivo, oggi è indispensabile per stare sul mercato”, ha spiegato, sempre in occasione della Private Capital Conference, Marco Anatriello, co-fondatore e partner di Blugem Capital Partners, società londinese di private equity il cui ultimo investimento italiano è nel gruppo di prodotti per la cura dei capelli Pool Service-Medavita (si veda altro articolo di BeBeez). Una realtà molto esposta alla sensibilità per l’ambiente e la salute dei consumatori. “In fase di due diligence analizziamo a fondo la situazione dell’azienda sul fronte dell’impatto ambientale e anche della responsabilità sociale, un aspetto quest’ultimo molto sentito Oltreoceano mentre in Europa si guarda molto più ai temi ambientali”, ha aggiunto Anatriello, il quale comunque ha chiarito che “una performance non buona in termini ESG non preclude l’investimento, anzi può essere un’area di intervento per creare valore”.
I temi socio-ambientali hanno portato a definire procedure specifiche, in cui le aziende sono analizzate in base a una precisa lista di parametri. “Adesso si valuta un’azienda anche in funzione del suo impatto sugli aspetti ESG, alla luce dei 17 Obiettivi per uno Sviluppo Sostenibile definiti dall’Onu”, ha spiegato Luca Bucelli, country head per l’Italia di Tikehau Capital. Nello specifico “si scelgono tra quei parametri uno o più Key Performance Indicators, per esempio la diversità tra generi del management, o il divario di retribuzione tra uomini e donne, o ancora le condizioni di lavoro. Tali indicatori diventano dei veri covenant in positivo. Se l’azienda li rispetta o li migliora nell’arco della vita di un prestito, ottiene una riduzione del tasso di interesse”, ha continuato Bucelli.
Tra l’altro i temi sociali possono sollevare problemi non indifferenti. Ha raccontato Giorgio Fantacchiotti, equity partner di Linklaters, tra i principali studi legali del mondo: “All’estero ci è capitato di perdere importanti incarichi dopo aver mandato dai possibili clienti dei team composti solo da maschi europei bianchi”.