di Francesca Vercesi
Il gruppo Ferretti, l’iconico produttore italiano di yacht controllato dalla conglomerata cinese Weichai, dopo 22 anni torna in Borsa. Malgrado l’alta volatilità dei mercati azionari globali in seguito al conflitto tra Russia e Ucraina, ieri ha preso il via il collocamento di 83,5 milioni di azioni di Ferretti Group (si vedano qui il comunicato stampa e qui Il Prospetto dell’ipo) che saranno quotate a Hong Kong (si veda altro articolo di BeBeez).
Al termine della fase di pre-marketing chiusa lo scorso venerdì, è stata fissata una forchetta di prezzo tra 21,82 e 28,24 dollari di Hong Kong (2,53-3,27 euro, al cambio di 8,60 HK$), con l’obiettivo di raccogliere, interamente in aumento di capitale, un equivalente compreso tra 211 e 273 milioni di euro (i 300 milioni di dollari Usa di cui si parlava nei giorni scorsi), rispettivamente senza e con l’esercizio dell’opzione di over allotment, per arrivare quindi a una capitalizzazione compresa tra 845 milioni e poco meno di 1,1 miliardi di euro con un flottante iniziale del 25% (senza esercizio della greenshoe).
Nella gestione dell’operazione è coinvolto Cicc (China International Capital Corporation) in qualità di sponsor a Hong Kong, a sua volta anche global coordinator insieme a Intesa Sanpaolo e Bnp Paribas. Secondo quanto appreso l’iter di raccolta dovrebbe appunto avere tempi piuttosto veloci.
L’enterprise value, considerata la liquidità netta a fine 2021, circa 85 milioni di euro, e assumendo un prezzo di collocamento corrispondente al valore medio della forchetta, sarebbe di circa 841 milioni di euro, mentre, considerando l’ebitda preliminare 2021 di 94,9 milioni, si arriva a un multiplo di valutazione di 8,9 volte, che per un prestigioso gruppo del lusso appare alquanto vantaggioso, ma occorre tenere conto della fase molto volatile dei mercati indotta della crisi politica internazionale e dal Covid che sta rialzando la testa.
Il 30 marzo sono attesi l’annuncio del prezzo dell’offerta e i risultati finali del collocamento, mentre il debutto è fissato per il 31 marzo.
Dovrebbe quindi essere la volta buona. Che Ferretti ci stesse riprovando, dopo la fallita quotazione a Milano nel 2019 causa un prezzo che l’azienda considerò inadeguato, (si veda altro articolo di BeBeez), era noto dallo scorso ottobre (si veda altro articolo di BeBeez). Poi alla vigilia di Natale il gruppo ha comunicato ufficialmente di aver depositato domanda di quotazione alla Borsa di Hong Kong (si veda qui il comunicato stampa).
Ferretti si era quotata la prima volta, a Piazza Affari, nel 2000, ai tempi di Noberto Ferretti ed era durata solo fino al 2002, anno dell’offerta pubblica di acquisto totalitaria di Permira. Al fondo sono subentrati prima un altro fondo, Candover, poi il colosso manifatturiero cinese Weichai Holding che, dal 2012, controlla l’86,06% delle azioni del colosso della nautica e che adesso ritenta la quotazione, non più a Piazza Affari ma alla Borsa di Hong Kong.
I proventi dell’ipo saranno destinati almeno per il 70% a espandere il portafoglio del gruppo e a migliorare le attività, con lo sviluppo di nuovi modelli di super yacht di punta. Con l’operazione sarà così garantito l’ingresso di nuovi azionisti che affiancheranno il socio di maggioranza Weichai e l’azionista di minoranza, Piero Ferrari, che detiene l’11,14% tramite F Investments, che però potrebbe anche decidere di limare lievemente la propria quota, fanno sapere alcune fonti vicine all’operazione.
Dal gruppo nautico trapela poco ma una precisazione c’è: “Weichai non ha alcuna intenzione di uscire dall’investimento in Ferretti. La vendita di azioni è successiva a un aumento del capitale dell’azienda, e il raccolto sarà reinvestito per accelerare il piano industriale. Le due grandi direttrici sono la ricerca e lo sviluppo”. Oggi il gruppo investe in R&D circa 300 milioni (dai 21 del 2015).
Il colosso della nautica ha tra i suoi marchi Riva, Wally, Pershing e Itama, CRN e Custom Line. Barche dagli 8 ai 95 metri che offrono tutto lo spettro possibile del mondo della nautica, dai motoscafi super performanti agli yacht di estremo lusso. La società ha anche in mente di esplorare anche nuove opportunità nei servizi accessori come il brokeraggio, il noleggio, il refitting post-vendita e le attività di brand extension. “Ferretti continuerà a perseguire la sua missione strategica di progettare, produrre e fornire impareggiabili capolavori del mare, realizzando il puro lusso italiano. Barche sempre più belle, eleganti e spaziose, costruite con materiali sempre più leggeri, come le fibre in carbonio e mosse da tecnologie innovative”, ha precisato il ceo Alberto Galassi.
A inizio settembre 2021 il gruppo ha rinnovato un accordo con Mtu, società del gruppo Rolls Royce, per la progettazione e costruzione di sistemi a propulsione ibrida, elettrica e diesel. Con più di 1.500 dipendenti e un margine operativo lordo, nel 2020, di 59 milioni di euro, Ferretti vuole crescere nei paesi emergenti. L’Asia è l’11% del mercato, mentre il 57% è distribuito tra Europa, Medio Oriente e Africa, e per un restante 32% agli Stati Uniti. L’azionista è cinese, ma la produzione è tutta in Italia: Forlì, Sarnico, Cattolica, Mondolfo, Ancona e La Spezia.
Ricordiamo che la quotazione a Milano di Ferretti nell’ottobre 2019 era naufragata all’ultimo minuto perché advisor e investitori chiedevano che il collocamento avvenisse a un prezzo molto più basso rispetto alla forchetta proposta inizialmente, compresa fra 2,50 e 3,70 euro, più ampia quindi di quella dell’attuale ipo, pari a un equity value pre-aumento di capitale compreso tra 627 e 928 milioni di euro, corrispondente a una capitalizzazione post aumento di capitale compresa tra 727 milioni e 1,076 miliardi (si veda altro articolo di BeBeez). Per venire incontro alle richieste del mercato il prezzo di collocamento era stato portato a 2-2,50 euro per azione, appunto un livello considerato poi da Galassi troppo basso. Tanto per fare un confronto, nella primavera 2019 per Ferretti circolavano valutazioni pre-money attorno a 750 milioni di euro sulla base di un multiplo di 14 volte l’ebitda 2018 che era stato di poco meno di 53 milioni a fronte di 609 milioni di ricavi (si veda altro articolo di BeBeez).
Il Prospetto dell’ipo indica ricavi netti preliminari per tutto il 2021 per circa 900 milioni di euro (927,5 milioni di euro i ricavi lordi), un ebitda, di 94,9 milioni e un utile netto di 37,4 milioni. Nei primi nove mesi del 2021, gli utili netti del gruppo erano risultati pari a 32 milioni di euro, quasi sei volte quelli dei 9 mesi dell’anno precedente di 5,7 milioni di euro e con ordini per oltre 900 milioni di euro, dei quali più di 220 milioni di euro registrati nel solo mese di settembre, il tutto a fronte di ricavi netti nei 9 mesi per poco meno di 670 milioni e di un ebitda di 82,5 milioni. Il 2020 si era invece chiuso con ricavi netti per 611 milioni, un ebitda di 52,8 milioni, un utile netto di 22 milioni.
Numeri che quindi giustificano una valutazione ben maggiore di quella riconosciuta dal mercato nel 2019, quando i risultati del gruppo erano solo in modesta crescita rispetto al 2018. Il gruppo Ferretti aveva infatti chiuso il 2019 con 649,3 milioni di euro di ricavi consolidati (+6,5% dal 2018), un ebitda rettificato di 62,2 milioni (+16,3%), un ebitda margin del 9,6% (dall’8,8%) seppure con un debito finanziario netto di 80 milioni, in netto calo dai 265 milioni di fine dicembre 2018 , ma questo grazie alla conversione in capitale del prestito soci da 212 milioni condotta come nell’agosto del 2019 (si veda altro articolo di BeBeez).
Ferretti attualmente è controllata all’86% da Weichai dal 2012 tramite Ferretti International Holding spa, con Piero Ferrari (figlio di Enzo, fondatore della casa automobilistica del Cavallino Rampante) che possiede l’11,1% e il partner tecnico AdTech che ha il 2,79%; Finvestments detiene la quota restante di Ferretti. Weichai aveva investito nel gruppo di yacht a inizio 2012, nell’ambito di un complesso processo di ristrutturazione del debito. Allora il gruppo cinese aveva investito 178 milioni di euro in equity e aveva contestualmente acquistato debito di Ferretti dal fondo Oaktree, da Rbs e da Strategic Value Partners, che era stato poi convertito in equity, con Weichai che era arrivata al 75% del capitale. Contestualmente le banche Rbs e SVP avevano convertito in equity il resto del debito, arrivando al 25%. Successivamente Weichai aveva arrotondato al rialzo la sua quota e nel 2016 Piero Ferrari ha comprato il 13,6%. Tutto questo accadeva dopo la grande crisi vissuta da Ferretti a cavallo del 2008.
Ricordiamo che invece ai tempi d’oro, nel 2006, Permira aveva ceduto il 52% di Ferretti a Candover (mantenendo una partecipazione dell’8%, mentre il fondatore Norberto Ferretti e i manager erano saliti al 40%), sulla base di una valorizzazione di ben 1,7 miliardi di euro, a fronte di ricavi per 770,4 milioni a fine dell’anno fiscale 2006 (agosto) e un ebitda di 118,4 milioni. (si veda altro articolo di BeBeez).