
A più di settant’anni dal primo incontro tra Carlo Ludovico Ragghianti e la ceramica di Fausto Melotti, e a vent’anni dalla pubblicazione del Catalogo generale della ceramica dell’artista, una mostra, a cura di Ilaria Bernardi, racconta e approfondisce questa produzione, a torto considerata secondaria, di uno dei protagonisti della trasformazione dell’arte italiana del Novecento. Alla Fondazione Ludovico Ragghianti di Lucca fino al 25 giugno Le differenti tipologie di ceramiche di Melotti, a confronto con le ceramiche di artisti e designer a lui direttamente o indirettamente legati, ci restituiscono un ritratto dell’artista inserito nel suo tempo. La mostra nell’intenzione della curatrice che ammette che forse non sarebbe piaciuta all’artista è di recuperare una sua produzione che a pieno titolo può essere considerata fine art e che è stata poco apprezzata forse a causa dello stesso atteggiamento di Melotti. Non solo la ceramica è un’arte importante ma con Melotti si reinventa la scultura e gli stessi oggetti di uso quotidiano in ceramica in una chiave molto

contemporanea. Interessante la scelta della curatrice che ha supervisionato lo stesso allestimento, pulito, lineare e insieme immersivo con le gigantografie dello studio laboratorio di Milano di via Leopardi dove personalmente Melotti cuoceva la ceramica.
L’esposizione accosta infatti oltre l’opera dell’artista di Rovereto a quella di altri contemporanei per evidenziare quanto diversa possa essere l’espressività come nel caso dei vasi e delle coppe di Ettore Sottsass ad esempio e mette in dialogo anche le opere d’arte espressamente concepite in tal senso e gli oggetti di uso comune che diventano artistici. In quest’ultimo caso Melotti opera un’inversione di senso ad un certo punto con la defunzionalizzazione degli stessi creando un cortocircuito molto contemporaneo come le tazzine da caffè così strette che neppure un cucchiaino può girare all’interno di esse.
Nel 1948 Carlo Ludovico Ragghianti scrive un saggio nel catalogo della mostra Handicraft as a fine art in Italy a cura di Bruno Munari, ospitata alla House of Italian Handicraft a New York. Tra le opere esposte anche i vasi in ceramica di Fausto Melotti, che insieme alle opere di Afro, Casorati, Consagra, de Pisis, Fontana, Fornasetti, Guttuso, Morandi e molti altri, volevano dimostrare come in Italia la produzione delle cosiddette arti applicate fosse da considerarsi a tutti gli effetti fine art. L’evento è ricordato dall’esposizione lucchese che crea un percorso ritmico relativamente contenuto dove le quattro sale hanno in qualche modo lo stesso peso. Particolarità dell’esposizione, realizzata in collaborazione con la Fondazione Fausto Melotti di Milano e il MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza – il museo più importante al mondo nel suo

genere dove sono custodite 30 opere di Melotti – con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e il patrocinio della Regione Toscana e della Provincia e del Comune di Lucca, è un leggero tappeto musicale che accoglie il visitatore: i Notturni di Friederich Chopin suonati dal maestro Maurizio Pollini, nipote dello stesso artista. La mostra sarà accompagnata da un libro-catalogo pubblicato dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, con le riproduzioni di tutte le opere esposte, documenti e materiali d’epoca e i saggi di Ilaria Bernardi, curatrice della mostra; Edoardo Gnemmi, direttore della Fondazione Fausto Melotti; e Claudia Casali, direttrice del MIC – Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e con una prefazione del direttore della Fondazione Ragghianti, Paolo Bolpagni.
La Fondazione Ragghianti con quest’iniziativa desidera non soltanto rendere omaggio a un artista che ha saputo coniugare la tradizione classica con le avanguardie europee, la conoscenza scientifico-matematica con quella musicale, l’abilità poetico-letteraria con quella di disegnatore, pittore e scultore, ma vuole soprattutto ricordare la sua multiforme e innovativa produzione in ceramica attraverso una mostra che, individuandone le tipologie più ricorrenti, possa delineare una nuova mappatura di quella che Germano

Celant chiamò la galassia Melotti. Tra l’altro partire da un aspetto meno noto di un artista è proprio nelle corde di Ilaria Bernardi perché consente di sollecitare il pubblico e gli studiosi, offrendo in questo caso una mostra accessibile a tutti, grazie anche alla leggibilità, alla sua leggerezza, in senso calviniano, senza contare la piacevolezza estetica; quanto di stimolo per chi propende per una lettura approfondita.
Scultore, pittore, disegnatore e poeta, Fausto Melotti, nato a Rovereto nel 1901 e morto a Milano nel 1986, è stato un raffinato ceramista e, dal secondo dopoguerra sino ai primi anni Sessanta, in questa tecnica ha trovato uno strumento di invenzione e trasformazione della sua scultura. Leggendo la sua storia si comprende come la dimensione artistica, quella dell’armonia musicale (studia pianoforte, armonia e organo), si intrecci con il rigore che gli proviene dagli studi tecnico-scientifici condotti presso il Reale Istituto Tecnico “Galileo Galilei” di Firenze (dove si era trasferito nel 1915), poi dal 1918 gli studi alla facoltà di fisica e matematica dell’Università di Pisa quindi la laurea in Ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano. Ulteriori suoi punti di riferimento Adolfo Wildt da cui mutua l’abilità nello svuotare la materia liberandola dal peso e una grande

raffinatezza e Lucio Fontana dal quale impara a far vibrare la materia dandole vita; entrambi conosciuti all’Accademia di Brera. L’avvicinamento alla ceramica che egli definisce un ‘pasticcio’, una realtà ‘anfibia’ e che occupa solo un periodo della sua produzione nasce per altro per un’esigenza economica. La sua produzione inizia negli Anni Trenta quando conosce Gio Ponti e inizia una collaborazione con la Richard Ginori. La sua voglia non è però di farsi strada nella ceramica quanto di essere riconosciuto come scultore astratto. Nel 1935 infatti tiene una mostra personale a Milano presso la Galleria Il Milione con 18 sculture di assoluta purezza geometrica e rigore formale. L’esito è sconfortante: nessuno ha capito le sue opere e nessun ha scritto una sola riga. Melotti ne è fortemente prostrato. A questo si aggiunge il dolore della Seconda Guerra Mondiale dalla quale esce molto provato quando, dopo aver trascorso due anni a Roma, rientra a Milano e trova lo studio distrutto ne rimane molto provato; segue infatti un periodo di profonda crisi e anche di delusione. Decide però di noleggiare un forno a muffola e cominciare a produrre piccole sculture in ceramica. Il successo arriva ma l’artista se ne vergogna e mette fine a questo tipo di produzione.
Il percorso espositivo si sviluppa in quattro sezioni.
La prima inserisce e storicizza la produzione ceramica di Melotti all’interno della sua vita e della sua attività, attraverso una cronologia illustrata che dalla nascita nel 1901 giunge alla sua scomparsa nel 1986. La cronologia sarà accompagnata da

teche per accogliere importanti documenti del suo archivio legati specificatamente alla produzione in ceramica, tra cui tre suoi quaderni mai esposti finora.
La seconda sezione è dedicata alle più note tipologie di sculture in ceramica concepite dall’artista: dalle ceramiche a carattere sacro ai bassorilievi, dagli animali alle figure femminili, dai cosiddetti Onu fino ai Teatrini. Tra le opere esposte anche la preziosa Lettera a Fontana (1944), esposta nel 1950 alla Biennale di Venezia.
Nella terza sezione il video In prima persona. Pittori e scultori. Fausto Melotti (1984), di Antonia Mulas, include l’unica intervista in cui l’artista, analizzando il proprio percorso e la sua concezione dell’arte, parli della ceramica.
Anticipata da un focus sui multiformi vasi realizzati dall’artista, l’ultima parte del percorso della mostra include differenti tipologie di ceramiche – coppe, tazzine, lampade, piatti – che, anche se ispirate a oggetti d’uso quotidiano, sono state concepite dall’artista svincolandole dalla loro funzione e rendendole vere e proprie sculture.
Accanto alle opere di Melotti sono esposte come anticipato quelle di importanti artisti e designer con cui direttamente o indirettamente ebbe contatti, concesse in prestito dal MIC di Faenza, che conserva la raccolta di arte ceramica più grande al mondo: da Giacomo Balla (in mostra con servito di tazzine da caffè) a Lucio Fontana, da Leoncillo ad Arturo Martini, da Enzo Mari a Bruno Munari, e ancora Gio Ponti, Emilio Scanavino, Ettore Sottsass e altri.
a cura di Ilaria Guidantoni