
E’ uscito nelle sale Stranizza d’amuri, il film di Giuseppe Fiorello al suo debutto nella regia, ispirato all’omicidio di due giovani nella Sicilia degli anni ottanta, uccisi dalle famiglie che non accettavano la loro relazione: ne parlano il regista e Gabriele Pizzurro, uno dei due protagonisti.
Due colpi di pistola alla tempia di ciascuno mettono fine alle vite di due ragazzi la cui unica colpa era quella di volersi bene. E’ accaduto a Giarre, provincia di Catania, nell’ottobre del 1980. Giorgio Giammona, 25 anni, e Antonio Galatola, 15, erano scomparsi da due settimane e vengono ritrovati morti in un agrumeto: sono abbracciati e accanto a loro c’è un biglietto in cui scrivevano di non voler più vivere non potendo amarsi liberamente. Nel paese erano conosciuti come gli ziti, cioè i fidanzati: Giorgio in passato era già stato fermato dalle forze dell’ordine mentre si era appartato in auto con un amico e da allora gli si era riversata addosso la feroce omofobia dei compaesani che lo avevano etichettato come “omosessuale patentato”.

Accusato del delitto fu Francesco Messina, il nipote tredicenne di Antonio che, sapendo di essere non punibile, prima confessò, affermando che erano stati gli stessi ragazzi a chiederglielo, minacciando di ucciderlo se si fosse rifiutato di farlo. Pochi giorni dopo ritrattò, dicendo che erano stati i carabinieri a costringerlo. Le indagini furono quantomeno lacunose: a partire dall’inverosimile biglietto di cui non fu mai fatta una perizia calligrafica, poi la postura dei corpi, incompatibile con un suicidio, il fatto che nessuno avesse udito gli spari, infine la palese incapacità di un ragazzino di maneggiare un potente revolver, per di più trovato con la sicura abbassata e sottoterra. Si optò per una tesi di comodo: il colpevole era proprio il nipote, ma aveva agito su preciso mandato di una o di entrambe le famiglie. Il caso venne pertanto archiviato. Ai funerali di Antonio furono presenti circa duemila persone e a Giarre arrivarono giornalisti da tutta Italia. Così forte fu l’impatto sulla comunità lgbt in seguito al delitto che solo un mese dopo a Palermo venne fondato il primo circolo Arcigay italiano a opera di Marco Bisceglia, sacerdote apertamente omosessuale, dell’allora obiettore di coscienza Nichi Vendola e da altri militanti. Fecero seguito il primo collettivo del FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) della Sicilia orientale e quello delle femministe lesbiche Le Papesse.
Nel 2013 è stato pubblicato Stranizza, libro di Valerio la Martire a cui si è ispirato Giuseppe Fiorello per il suo primo film da regista, Stranizza d’amuri, in questi giorni arrivato nelle sale. Dagli inizi accanto al fratello Rosario in radio e televisione, Fiorello ha continuato una brillante carriera che lo ha visto diviso tra cinema (dal debutto in L’ultimo capodanno di Marco Risi con cui ha poi girato Tre mogli, al Talento di Mr. Ripley di Antony Minghella, C’era un cinese in coma di Carlo Verdone, Magnifica Presenza di Ferzan Ozpetek e Benvenuto presidente di Riccardo Milani) e tv dove molti sono state le miniserie e le fiction che lo hanno visto protagonista (dal Grande Torino a Jo Petrosino, Il bambino della domenica, Sarò sempre tuo padre, Volare, dove interpreta Domenico Modugno, e tra poco lo vedremo nei panni di Francesco Baracca in I cacciatori del cielo).

Della vicenda Fiorello fornisce una ricostruzione sostanzialmente vicina alla realtà dei fatti con alcune libertà negli aspetti meno determinanti. “Era una storia che mi girava in testa da tanti anni: alla fine ho preso coraggio e l’ho fatto. E’ un film liberamente ispirato a un fatto di cronaca – afferma il regista – nessuno ha la verità in tasca: non è un film politico ma poetico, non è investigativo o di denuncia ma di pura immaginazione che poggia su elementi reali. C’è poi il contesto sociale intorno: mi sono rivisto nei due ragazzi: anche io ero adolescente ad Augusta negli anni ottanta: anni terribili, delle lupare bianche, in cui potevi scomparire nel nulla solo perché avevi pestato i piedi al delinquentello del paese, perché avevi visto qualcosa che non dovevi vedere o perché appunto amavi una persona del tuo stesso sesso. Entravi in un bar e ti scannerizzavano: se c’era il sospetto che fossi omosessuale venivi subito sbeffeggiato e insultato. Per sopravvivere dovevi affidarti alla tua forza interiore, perché anche la timidezza estrema era derisa o sospettata di qualcosa di strano. Nel sud degli anni ottanta il sospetto dell’omosessualità era onnipresente: la preoccupazione che il figlio maschio fosse gay era tanta e veniva esorcizzata con la continua richiesta su quando avrebbe presentato la fidanzata alla famiglia. Per le ragazze no: non si concepiva neppure che potesse esistere l’omosessualità femminile.”

Quello che si evince anche dalla chiusa finale è che comunque lui sposa la tesi dell’omicidio. “Dico che furono uccisi perché si amavano ma erano già morti prima degli spari. Quando la cattiveria ti accerchia sei già un uomo morto: sono stati uccisi dalle scritte contro i gay sotto casa, dalla grettezza barbara, dal bullismo domestico. Sono padre di due adolescenti e ho sentito un trasporto paterno per questi due ragazzi e il film è dedicato a tutti quelli che si battono contro l’omofobia.”
Fiorello sposta la vicenda due anni dopo i fatti, nel 1982, anno dei mondiali di calcio vinti dall’Italia. Qui i ragazzi si chiamano Gianni e Nino: il primo, bellissimo, viene accolto, reduce dal riformatorio, nella casa dal compagno della madre Lina che lo detesta e solo per compiacere la donna gli consente di lavorare nella sua officina come meccanico. Gianni, da quando una sua amica ha rivelato ai compaesani di averlo colto durante un fugace rapporto sessuale consumato in auto con un altro uomo (e per questo mandato poi in casa di correzione) è diventato vittima della feroce omofobia dei presunti maschi eterosessuali del paese. Presunti perché alcuni fra quelli che lo deridono arrivando sino alla violenza fisica, in segreto lo cercano per accoppiarsi a lui.
E’ proprio uno di questi galantuomini che, inseguendolo in motorino, provoca uno scontro tra gli scooter di Gianni e Nino: il loro primo contatto è la respirazione bocca a bocca che il secondo pratica a Gianni, privo di sensi dopo la caduta. Da questo primo, fortuito incontro nasce man mano una bella e pura amicizia, alimentata dalla condivisione di luoghi incantati nella natura e da un affetto sincero e fraterno. Gianni, abbandonato sin da piccolo dal padre biologico, viene accolto con calore dalla famiglia allargata di Nino: desideroso di lasciare l’odiato patrigno e poter un giorno affittare una casa solo per lui e la mamma, accetta tramite loro prima un pesante lavoro in una cava e poi quello di assistente ai fuochi d’artificio nell’impresa nel padre di Nino, costretto a prendersi un periodo di riposo per problemi di salute. Il ragazzo, una volta venuto brutalmente a conoscenza del passato e dei pettegolezzi che circondano Gianni in paese, non se ne cura affatto e, lavorando e passando il tempo libero insieme, forse inconsciamente, fa salire l’asticella della loro intimità, subito ricambiato: dopo poche settimane l’amicizia si evolve in amore, siglato da un casto bacio.

Tutto sembra procedere al meglio quando le voci della loro presunta relazione arrivano a Carmela, la madre di Nino, che però tace con il marito sino a quando Lina, che ha nei confronti del figlio un comportamento ambivalente, diviso tra l’amore e la salvaguardia della sua precaria condizione di mantenuta, per evitare ritorsioni sul compagno decide di confermare la cosa all’altra donna, consigliandola di allontanare per sempre il figlio dal suo. Da questo momento si scatena l’inferno: prima interviene il padre di Nino che, licenziato e minacciato Gianni, con il fratello e il padre, mette il ragazzo alle strette per fargli confessare non tanto la relazione quanto il rapporto sessuale da cui sono tutti ossessionati. Per evitare sicure punizioni corporali e altri castighi, il ragazzo nega tutto e, pur disperato, abbandona l’amico, ma non basta: i suoi omofobi familiari organizzano una spedizione puniva nei confronti di Gianni e lo riducono quasi in fin di vita, senza che ovviamente nessuno dei presenti, compreso il pusillanime patrigno, intervenga per difenderlo, tranne la sventata ma generosa amica.
Passano i giorni e si arriva alla notte della vittoria ai mondiali. Ciccio, lo zio più giovane e seduttivo di Nino, noto per essere lo sciupafemmine della famiglia, lo prende da parte e gli fa capire che non bisogna fermarsi alle apparenze: a lui piacciono anche gli uomini e basta fare le cose di nascosto per far sì che nessuno ti venga a rompere le scatole… E’ la spinta che serviva a Nino per tornare, tra la folla impazzita di gioia, da Gianni e fuggire insieme. Nell’ultimo fotogramma li vediamo all’alba, teneramente abbracciati, poi il buio e due colpi di pistola.
Quello che del film di Fiorello, che nel titolo cita una canzone di Franco Battiato, oltre alla sensibilità e delicatezza nel raccontare una storia d’amicizia e d’amore, ci ha più colpito, è il potente ritratto d’ambiente che ci presenta una Sicilia colma di luci e ombre, con la costante presenza di una società dai tratti maschilisti che, pur se in evoluzione, ancora oggigiorno non è scomparsa. Non certo solo siciliana ma diffusa in tutto il nostro Paese è per molti la scelta della segretezza per condurre una doppia vita in cui ci sia posto anche per l’omosessualità, senza arrivare agli estremi di coloro che fra questi teorizzano o praticano anche l’omofobia. La sua mano felice ci introduce nelle dinamiche familiari, esplora la bellezza di una natura aspra e selvaggia, spesso ancora incontaminata ma con lo sfondo delle ciminiere delle fabbriche, i rituali dei pranzi domestici, le sontuose processioni religiose culminanti coi botti multicolori, la pigra vita di paese con il tempo trascorso tra chiacchiere e rozze facezie ai tavolini de bar Mocambo: percepiamo tutto il suo amore per quella terra, per quei luoghi, la parlata, per quel mondo che gli appartiene.

Altrettanto riusciti sono i ritratti dei personaggi, sia i protagonisti che quelli minori e benissimo ha fatto il regista a scegliere un cast in gran parte siciliano, come gli attori Enrico Roccaforte, Roberto Salemi, Giuseppe Spata e Giuseppe Lo Piccolo, senza dimenticare Antonio De Matteo, Anita Pomario e Giuditta Vasile, tutti assai bravi e incisivi. Simona Malato è una perfetta Lina, preda di conflitti e ambivalenze nei confronti del figlio, asciutta e ombrosa; Fabrizia Sacchi dà alla sua Carmela la giusta tenerezza, remissività e struggimento. Per Gianni, Fiorello ha voluto Samuele Segreto, 19 anni, siciliano di Monreale e valente ballerino nel programma Amici di Maria De Filippi, ma con alle spalle la partecipazione al film di Pif In guerra per amore e a quello per la tv Mario Francese. A Gianni conferisce prima i registri della sofferenza interiore e dell’infelicità di chi, oppresso dal suo stesso fascino, è da sempre alla ricerca di un affetto mai trovato, viene bullizzato e schernito, e poi quelli della serenità e dell’appagamento sentimentale accanto all’amico. Nino è il motore della storia e Gabriele Pizzurro è una vera rivelazione. Viso mutevole ed espressivo senza bisogno di verbalizzare, sorriso irresistibile, forte di un entusiasmo e gioia di vivere anche nella semplicità delle piccole cose quotidiane tra gli affetti domestici ma altresì capace di esprimere rabbia impotente e dolore lancinante per la separazione. Romano, anche lui diciannovenne, ha mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo a soli 5 anni, in particolare nel teatro con una predilezione per il musical: da poco ha terminato la tournée di L’amico ritrovato, pièce tratta dal romanzo di Fred Uhlman, adattato per la scena dal drammaturgo catalano Josep Maria Mirò. Lo abbiamo sentito in occasione della presentazione di Stranizza d’amuri a Milano.

“Quando mi è stato offerto il ruolo di Nino sono stato contento ed emozionato: mi ha subito interessato l’evoluzione del personaggio, il suo essere cresciuto in una famiglia molto aperta, in spazi grandi, opposti a quelli angusti e quasi claustrofobici in cui vive Gianni. Una volta entrato in contatto con lui attraverso l’incidente nasce una bellissima amicizia che, senza vergogna, dopo poco diventerà amore. E’ stato un percorso non facile da caratterizzare: da parte mia c’è un innamoramento silenzioso, fatto di sguardi e sorrisini più che di parole. Penso – continua Gabriele – sia Nino a mettere in moto quella che poi sarà la reciproca attrazione: ci sono parecchie scene in cui porto Gianni nel mio mondo, come quando andiamo a fare il bagno nella riserva naturale. Sono molto intraprendente e potrei aver dato il là alla relazione anche se all’inizio non la vedo come amore ma più come affettuosa amicizia, mentre lui, più consapevole e già discriminato nel paese, sin dall’inizio ci vede qualcosa di più. Appena ho saputo del progetto sono andato a leggere il libro di Francesco Lepore sul delitto di Giarre e mi sono documentato a fondo. Se mi chiede circa il cambiamento della società rispetto all’omosessualità, penso che, non solo in Sicilia ma in tutta Italia le cose stiano cambiando ma troppo lentamente: sono però fiducioso che la situazione andrà sempre migliorando. Credo che troppo spesso la Sicilia sia vittima di un pregiudizio riguardo a questa problematica: lo dimostra il fatto che l’omicidio ha fatto nascere là il primo movimento per i diritti omosessuali. Mi sono trovato d’accordo con la sceneggiatura che non prevedeva scene di sesso: troppo spesso dell’omosessualità viene enfatizzato l’aspetto sessuale e invece questa storia vuole raccontare l’amore puro: il bacio che i ragazzi si danno è tenero e più che di omosessualità parlerei di omoaffettività. Ho conosciuto Samuele ai provini e ci siamo trovati subito bene, diventando poi anche amici: è stato facile costruire il rapporto tra i nostri personaggi e durante le riprese ci siamo divertiti senza imbarazzarci né vergognarci di quello che stavamo facendo.”
Giuseppe Fiorello ha dedicato Stranizza d’amuri a Giorgio e Antonio.
a cura di Mario Cervio Gualersi