Le imprese che raggiungono le migliori performance ESG sono anche le più solide, ovvero quello che presentano il minor rischio di credito. Al contrario, le società con valutazione ESG bassa hanno in media una probabilità di default dalle 2 alle 5 volte maggiore rispetto alle più virtuose. A rilevarlo è la seconda edizione di ESG Connect, che Cerved Rating Agency presenterà in un convegno visibile in streaming da oggi 6 ottobre (si veda qui il comunicato stampa).
Cerved ha confrontato le differenti probabilità di default medie associate ai vari profili di sostenibilità partendo da circa 18.000 imprese italiane, a cui ha direttamente assegnato un rating, e da un numero consistente di società straniere. L’analisi, aggiornata con i dati di settembre 2022, ha riguardato oltre 3 milioni di datapoint relativi a campioni significativi ed equamente diversificati per dimensione e settore del tessuto industriale. In sostanza, nelle piccole imprese si va dal 7,25% di probabilità di fallire di chi non è sostenibile all’1,55% di chi invece lo è, mentre per le aziende medie e grandi che hanno un rating ESG la forbice va dal 3% allo 0,9% rispettivamente.
Fabrizio Negri, amministratore delegato di Cerved Rating Agency, ha commentato: “La transizione, ormai non più rinviabile, verso un’economia sostenibile si basa su investimenti in progetti e iniziative in grado di ridurre l’impatto ambientale, facilitare i rapporti tra gli stakeholder e migliorare il governo di impresa. Oggi però non ci si può più limitare ai proclami, occorre verificare se le scelte adottate hanno prodotto risultati positivi. E, in effetti, dai nostri studi e dal dialogo con i clienti notiamo un progressivo spostamento verso l’impegno in tal senso: la misurazione delle performance e degli impatti delle politiche ESG è un tassello fondamentale per contribuire a ridurre i fenomeni di greenwashing e raggiungere concretamente gli obiettivi dell’agenda climatica e sociale”.
Andrea Mignanelli, amministratore Delegato di Cerved Group, ha aggiunto: “Questa ricerca è un ulteriore contributo che il Gruppo Cerved vuole dare al Paese per stimolare un approccio data-driven ai temi sollevati dalla transizione sostenibile: è evidente a tutti che non si possono più scindere gli obiettivi di crescita economica da quelli di sostenibilità”.
Un altro punto su cui si è focalizzata l’ultima ricerca di Cerved ha riguardato la tassonomia europea, cioè la classificazione delle attività economiche che possono dirsi sostenibili secondo specifici parametri e a cui devono fare riferimento finanziatori e investitori nel favorire la transizione ecologica.
Da un’analisi di scenario, che emerge sempre dall’ultima ricerca di Cerved, è possibile prevedere ricadute in varia misura negative per diversi comparti industriali, i cosiddetti laggards: dai trasporti marittimi alla produzione di plastica, ferro, acciaio, energia da fonti fossili, mentre altri si vedranno avvantaggiati da qui al 2030. Sono i leader, ovvero quelle imprese che offrono beni e servizi funzionali al raggiungimento degli obiettivi di Parigi in tema di surriscaldamento globale, il cui vantaggio competitivo risulterà in termini di minor rischio di default (-16% al 2025 e -23% al 2030) e maggiore accesso ai finanziamenti. Si va dalla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili a quella di batterie, dall’efficienza energetica degli immobili alle soluzioni data-driven per la riduzione di emissioni.
Viceversa, la probabilità di default (stimata per effetto di un’analisi di stress) dei settori più esposti alla transizione green, cioè i laggards, è prevista aumentare del 10% entro il 2025 e del 16.4% entro il 2030. Per questo gruppo potrebbe delinearsi un deterioramento significativo della qualità creditizia dovuto al calo della domanda per i prodotti o servizi offerti. In assenza di investimenti massicci, tali imprese potrebbero essere svantaggiate dalle difficoltà di allineamento alla tassonomia green nei prossimi anni.
Infine, un altro aspetto toccato da Cerved Rating Agency ha riguardato l’analisi della supply chain, la cui complessità e forte connotazione comporta un elevato impatto ambientale e in particolar modo di emissioni di gas clima-alteranti (GHG). Dalle evidenze emerse su un campione di società italiane ed estere prese in esame da Cerved, è emerso che soltanto un numero contenuto di imprese include all’interno delle proprie dichiarazioni non finanziarie il risultato di un esercizio di rendicontazione delle emissioni Scope 3: il 45% di quelle italiane, e il 55% a livello globale.
Oltre al mero impatto ambientale, lo studio del Cerved ha evidenziato come solo un’azienda su tre svolga un’attività di screening avanzato sulla propria catena di fornitura, considerando non solo elementi documentali ma effettuando valutazioni di tipo ESG e svolgendo attività di verifica mediante audit. Ciò impedisce ai principali stakeholder di un’impresa, principalmente intermediari finanziari, di effettuare una valutazione esaustiva circa l’impatto ambientale e i rischi complessivi lungo la catena del valore delle proprie controparti.
Ricordiamo che nel maggio 2020 Cerved Rating Agency aveva acquisito Integrate srl, startup specializzata in rating ESG in linea con le best practice internazionali, potendo disporre di un ricco database di informazioni sulla sostenibilità (si veda altro articolo di BeBeez). Da allora ha sviluppato un approccio evoluto di soluzioni e valutazioni ESG per comprendere quali fattori possano tradursi in rischi e opportunità per le imprese e quale sia il loro impatto sugli elementi economico-finanziari, anche tenendo conto degli elementi che possono incidere sui modelli di business o sull’orientamento strategico delle aziende. A questo scopo, è stata definita una heatmap dei fattori di rischio ESG sui principali macrosettori industriali, così da avere un termometro della rilevanza specifica di alcune variabili.
Il Gruppo Cerved è tra i maggiori operatori indipendenti nella valutazione e gestione di crediti in bonis e problematici, oltre che di beni a questi connessi, di cui azionista di riferimento è Castor spa, il veicolo che fa capo a ION Investments, il fornitore tecnologico globale del settore finanziario, fondato più di 20 anni fa dall’imprenditore italiano Andrea Pignataro, e al suo coinvestitore GIC, fondo sovrano di Singapore, a seguito dell’opa lanciata nel 2021 e cha ha portato al delisting di Cerved da Piazza Affari all’inizio di quest’anno (si veda qui il comunicato stampa sui risultati definitivi, qui quello sui risultati preliminari e qui il documento informativo sulla procedura di obbligo di acquisto).
La società ha chiuso i primi nove mesi dello scorso anno (ultimo dato disponibile) con 360,9 milioni di euro di ricavi consolidati (dai 349,3 milioni di settembre 2020) e un ebitda rettificato di 149,1 milioni di euro (da 143,9 milioni), con risultati positivi delle Business Unit Risk e Marketing Intelligence rispetto alla Business Unit Credit Management nella quale la flessione dei ricavi non si è riflessa sulla leva operativa, a causa della maggiore incidenza dei costi fissi di struttura. (si veda qui il comunicato stampa). Sul fronte del debito, a fine settembre 2021 ammontava a 525,168 milioni di euro, in lieve flessione rispetto ai 587,6 milioni di un anno prima. Da evidenziare il rimborso a gennaio 2021 della linea revolving per 10 milioni di euro, e la rilevazione nella parte corrente dell’indebitamento non corrente della tranche del finanziamento Term Loan che dovrà essere oggetto di rimborso entro i dodici mesi.
Naturalmente il debito non include il bond da 1,4 miliardi di euro che ha rifinanziato il debito contratto per l’acquisizione e il debito esistente di Cerved (si veda qui il comunicato stampa), essendo l’emissione stata lanciato lo scorso 7 febbraio (si veda altro articolo di BeBeez).
A fine gennaio 2020, Cerved Group aveva rilevato per 43,25 milioni di euro, tramite la controllata Cerved Credit Management srl, il restante 50,1% di Quaestio Cerved Credit Management, la società con la quale Quaestio Holding sa e Cerved avevano acquisito nel 2017 da Mps la piattaforma di gestione dei crediti deteriorati Juliet e contestualmente si erano assicurati un contratto decennale di servicing per la gestione in outsourcing dei flussi futuri a sofferenza di tutte le banche italiane del Gruppo Mps (si veda altro articolo di BeBeez).