Mentre si contano ancora gli ultimi voti, che comunque ormai poco cambieranno del risultato elettorale che ha incoronato Fratelli d’Italia come primo partito con oltre il 26% delle preferenze e la coalizione del Centrodestra (quindi anche Lega, Forza Italia e Noi Moderati) con circa il 44%, (si vedano qui i risultati in tempo reale, qui tutti i programmi e qui l’accordo di programma del Centrodestra), vale la pena di ricordare ai nuovi arrivati che sono tre i dossier m&a già avviati dal Governo Draghi che aspettano ora il nuovo esecutivo non appena si sarà insediato: la privatizzazione ITA Airways, l’attesa creazione di un’infrastruttura nazionale unica per la banda larga; e la ricapitalizzazione da 2,5 miliardi di euro di MPS. Mentre sullo sfondo ci sono altri temi cari al mondo della finanza che andrebbero affrontati. Per esempio il futuro del progetto per il trasferimento ad AMCO di 12 miliardi di euro di crediti in bonis (stage 1 e stage 2), past due e UTP da parte delle banche. E che tipo supporto arriverà alla produzione di energia da fonti rinnovabili ed eventualmente anche al nucleare pulito. Qui si seguito il punto della situazione e la posizione dichiarata sinora dai componenti della coalizione di Centrodestra.
Privatizzazione di ITA
A fine agosto la cordata composta dal fondo americano Certares e dalla compagnie Air France-KLM e Delta Airlines ha battuto MSC Group e Lufthansa nella corsa a ITA Airways (si veda altro articolo di BeBeez). Si è trattato, per molti, di un colpo di scena, dato che tutto sembrava favorire il tandem composto dalla compagnia tedesca e dal gruppo marittimo italosvizzero. E’ stato quindi avviato un negoziato in esclusiva con il consorzio guidato dal fondo Usa, la cui offerta è stata ritenuta maggiormente rispondente agli obiettivi fissati dal DCPM (varato l’11 febbraio scorso e depositato a marzo presso la Corte dei Conti. Gli obiettivi in questione descritti nel DCPM sono: “la stabilita’ dell’assetto proprietario, la dimensione industriale dell’integrazione, la valorizzazione degli hub nazionali, lo sviluppo sui mercati strategici e sul lungo raggio e le prospettive occupazionali”.
La scelta era stata commentata con freddezza da Giorgia Meloni, alla guida di Fratelli d’Italia: “Ricordo che l’attuale governo dovrebbe fare le cose minime”, “quindi non credo che una materia così strategica sia competenza di questo governo. Quando avrò le carte potrò pronunciarmi”. E po: “Bisognava valutare la possibilità di mantenere la nostra compagnia di bandiera”. Il che significa che la vittoria della cordata Certares non è per nulla scontata, sebbene si dica che il governo Draghi abbia scelto la cordata franco-americana proprio perché l’offerta avanzata prevede che il governo italiano mantenga una maggiore quota del capitale di ITA, il 45% circa, assicurando quindi allo Stato un maggior controllo. Certares concederebbe inoltre al ministero anche due posti su cinque in consiglio di amministrazione e il diritto di nominare il presidente della società e di esercitare un veto su alcune “scelte strategiche”.
Ricordiamo che Air France e Delta hanno fatto un salto di qualità in questa partita. Inizialmente si erano presentate come semplici partner commerciali di Certares mentre poi si sono impegnate a un investimento diretto nella compagnia aerea italiana, con Air France che investirebbe sino al 9,9% e Delta un altro 4%, accanto a Certares che comprerebbe quindi almeno il 41,1%. La cordata Certares avrebbe offerto per il 55% di pagare una prima tranche da 600-650 milioni più un earn-out se ITA centrerà buoni risultati di bilancio. Da parte della cordata Lufthansa-MSC, l’offerta presentata sarebbe invece tra gli 850 e i 900 milioni di euro per una quota dell’80%, il che significa che da un punto di vista economico le due offerte sostanzialmente si equivalgono.
Rete unica
Alla fine dello scorso maggio CDP Equity (CDPE), KKR (attraverso Teemco Bidco srl), Macquarie Asset Management, Open Fiber e TIM hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) non vincolante per avviare il processo di integrazione delle reti di TIM e Open Fiber. Le parti si sono impegnate a negoziare in via esclusiva e in buona fede i termini e condizioni dell’operazione con l’obiettivo di arrivare alla firma degli accordi vincolanti entro il prossimo 31 ottobre (si veda altro articolo di BeBeez). L’annuncio seguiva quello di inizio aprile, quando TIM aveva firmato un accordo di riservatezza con CDP Equity (si veda altro articolo di BeBeez) per avviare le interlocuzioni preliminari riguardanti l’eventuale integrazione della rete di TIM con la rete di Open Fiber, di cui Cdp Equity detiene il 60% del capitale sociale, con il resto in mano a Macquarie Infrastructure dallo scorso dicembre 2021 (si veda altro articolo di BeBeez).
Obiettivo del MoU è avviare un processo volto alla creazione di un solo operatore delle reti di telecomunicazioni, non verticalmente integrato, controllato da CDPE e partecipato da Macquarie e KKR, che consenta di accelerare la diffusione della fibra ottica e delle infrastrutture VHCN (Very High Capacity Networks) sull’intero territorio nazionale, permettendo così l’accesso ai servizi più innovativi ed efficienti offerti dal mercato alla generalità della popolazione, agli enti pubblici e alle imprese.
Più nel dettaglio, l’operazione prevede che in prima battuta verranno separate le attività infrastrutturali di rete fissa da quelle commerciali di TIM e che poi le attività infrastrutturali di TIM vengano integrate con la rete controllata da Open Fiber. La presenza di KKR come controparte degli accordi è dovuta al fatto che il colosso del private equity Usa nell’aprile 2021 ha acquisito il 37,5% di FiberCop, la nuova società in cui sono confluite la rete secondaria di TIM (cosiddetto ultimo miglio, dalla cabina in strada alle abitazioni) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber, la joint-venture di TIM (80%) con Fastweb (20%). Allora KKR aveva investito in FiberCop 1,8 miliardi di euro, sulla base di un enterprise value di circa 7,7 miliardi di euro, mentre Fastweb aveva ottenuto il 4,5, in cambio dell’apporto della sua quota di FlashFiber (si veda altro articolo di BeBeez).
A esito dell’operazione così come immaginata sinora, TIM sul mercato italiano potrà focalizzare in via prioritaria le proprie attività nei servizi di telecomunicazione e trasmissione di dati. E infatti a inizio luglio il Consiglio di amministrazione di TIM ha conferito mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, a svolgere ogni attività utile per il conseguimento dell’obiettivo strategico del superamento dell’integrazione verticale e della riduzione del livello di indebitamento della società attraverso operazioni di trasferimento e valorizzazione di alcuni asset del gruppo, con il piano di scorporo, che, come già illustrato a grandi linee da Labriola in occasione della presentazione del Piano industriale 2022-2024 lo scorso marzo, prevede appunto la possibilità di separare gli asset infrastrutturali di rete fissa (NetCo) dai servizi (ServiceCo, che include TIM Consumer, TIM Enterprise e TIM Brasil) (si veda altro articolo di BeBeez).
Il successo delle trattative sul tema rete unica, che vedrebbe TIM uscire dal business delle infrastrutture di rete, non è però scontato, perché, secondo indiscrezioni, il colosso media e tlc francese Vivendi, grande azionista di TIM al 23,5%, ritiene che la rete di TIM oggi valga ben 31 miliardi di euro, compresi 10 miliardi di debito che verrebbero trasferiti a NetCo, numero questo che sarebbe lontano da quello ipotizzato dalla maggior parte degli analisti compreso tra i 17 e 21 miliardi, oltre che da CDP Equity, KKR e Macquarie che sarebbero gli azionisti finali. Si dice che alla fine la valutazione potrebbe aggirarsi sui 25 miliardi.
Ricordiamo, infine, che, se da un lato la costituzione di NetCo è prodromica all’integrazione delle reti di TIM e Open Fiber, dall’altro TIM ha parlato chiaramente di eventuale ingresso di nuovi soci di minoranza in TIM Enterprise, parte di ServiceCo. Su questo punto ricordiamo, infatti, che CVC Capital Partners a fine marzo aveva recapitato al Cda del gruppo tlc un’offerta non vincolante proprio per il 49% dell’area Enterprise (si veda altro articolo di BeBeez). Ma che il dossier interessa anche altri operatori di private equity, in particolare Apax Partners.
Tutto questo, però, ora dovrà tenere conto della posizione del nuovo governo e anche qui Giorgia Meloni nei mesi scorsi ha rilasciato dichiarazioni piuttosto chiare. In particolare, lo scorso agosto ai microfoni di Radio 24 aveva dichiarato: “La posizione di FdI è di una rete unica, come accade in tutte le grandi democrazie occidentali, che sia di proprietà pubblica non verticalmente integrata, quindi il punto è scorporare la proprietà della rete, che secondo me non può essere privata come non lo è da nessuna parte per un fatto di sicurezza nazionale e tutela dell’interesse nazionale, dalla vendita del servizio, che si deve fare in regime libera concorrenza tra tutti gli operatori” (si veda qui il Corriere Comunicazioni).
D’alta pare il concetto è scritto chiaro anche nel testo del programma comune del Centrodestra: si parla di “potenziamento e sviluppo delle infrastrutture digitali ed estensione della banda ultralarga in tutta Italia” e di “difesa delle infrastrutture strategiche nazionali“. Dove quella di infrastrutture strategiche è una definizione che lascia spazio alle più ampie interpretazioni e può far immaginare in proposito anche un maggior ricorso al golden power di quanto il governo non abbia fatto sinora in occasione di operazioni di m&a che coinvolgano controparti estere. Un dossier caldo in questo senso potrebbe essere quello della paytech Nexi, viste le basse quotazioni di borsa e l’interesse che potrebbe riscuotere tra gli operatori industriali e i fondi di private equity internazionali (si veda altro articolo di BeBeez).
Ricapitalizzazione di MPS
Lo scorso 15 settembre l’Assemblea di Montepaschi ha dato il via libera definitivo all’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro (si veda qui il comunicato stampa), che sarà però sarà scindibile. Il che significa che il successo dell’aumento di capitale non presupporrà la totale sottoscrizione dei titoli offerti. Certo, una buona parte si sa che sarà comunque sottoscritta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha il 64,23% e che ha già comunicato che farà la sua parte (si veda qui il comunicato stampa), cioé verserà 1,6 miliardi di euro. Ma il resto da dove arriverà? Probabilmente non dagli altri attuali soci, bensì da nuovi investitori e ovviamente tra questi potrebbero esserci fondi di private equity, che come noto a più riprese negli anni hanno studiato il dossier MPS (si veda altro articolo di BeBeez). Sebbene i nomi che circolano tra i probabili investitori terzi siano ora quelli di Axa e Anima Holding.
Sul tema, poco prima dell’assemblea, Maurizio Leo, che coordina l’ufficio economia e finanza del partito della Meloni, aveva dichiarato a Bloomberg: “Dobbiamo rimandare la decisione sull’aumento di capitale. È un momento difficile ed è meglio aspettare il nuovo governo. Quella del Monte dei Paschi è un’operazione importante, che deve tutelare sia i posti di lavoro sia un asset strategico per l’economia italiana”. L’assemblea però appunto ha votato a favore con il MEF che si è impegnato. Difficile a questo punto rimangiarsi la parola, ma non impossibile. Quindi anche su questo punto si vedrà.
Progetto AMCO
Il governo Draghi ha notificato nei mesi scorsi alla Commissione l’intenzione di autorizzare le banche a trasferire ad AMCO, la società specializzata nella gestione dei crediti deteriorati guidata da Marina Natale e partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, circa 12 miliardi di euro sotto forma di due tipi di prestiti: quelli che beneficiano della garanzia statale approvata nell’aprile 2020 a norma del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato varato durante l’emergenza Covid-19, e altri non garantiti degli stessi debitori o di debitori a questi collegati. A fine agosto la Commissione Europea ha dato il suo via libera al piano, riconoscendo che il trasferimento dei crediti alla piattaforma e la remunerazione dei servizi di AMCO saranno condotti a prezzi di mercato e che quindi l’operazione non è classificabile come aiuto di Stato. Il governo Draghi, però, allora già in carica solo per gli affari correnti non ha potuto varare il decreto necessario per rendere operativo il progetto, che quindi andrà ora sul tavolo del nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze (si veda altro articolo di BeBeez). Sul tema sinora non ci sono state dichiarazioni da parte di rappresentanti di Fratelli d’Italia
In ogni caso, tornando al progetto AMCO, nella sua nota la Commissione spiega che il regime prevede che i prestiti siano prima trasferiti dalle banche alla piattaforma di AMCO e il loro prezzo si basi sulle offerte degli investitori privati. In cambio dei prestiti trasferiti, gli investitori, che possono essere anche le banche cedenti, riceveranno note asset-backed di cartolarizzazione. Se le banche cedenti decideranno di mantenere in portafoglio tutte le note, il prezzo di cessione dei crediti sarà concordato tra tutte le banche in modo che non vada a vantaggio di alcun portafoglio di prestiti. Il prezzo sarà inoltre verificato da un valutatore terzo indipendente. Lo schema dell’operazione, elaborato da AMCO con il supporto dell’advisor finanziario UBS e dei legali dello studio Cappelli RCCD, prevede che il portafoglio di crediti da trasferire sia composto sia da posizioni in bonis (stage 1 e stage 2) sia da crediti deteriorati (ma solo past due e UTP) e che dopo questa prima tranche possano essere previsti conferimenti successivi. Le posizioni confluiranno in patrimoni separati della piattaforma in base al livello di garanzia mentre il financing sarà appunto affidato a cartolarizzazioni di cui le banche potranno detenere la tranche senior. In ogni caso, AMCO non acquisterà nessuna delle note abs con il suo bilancio. AMCO sarà invece responsabile della loro gestione e delle procedure di recupero, per le quali si affiderà come d’uso a vari servicer privati. Inoltre AMCO potrà erogare nuova finanza ad alcune delle aziende debitrici in temporanea difficoltà, anche in pool con altri finanziatori privati. Infine AMCO potrà erogare finanziamenti a breve alla stessa piattaforma per coprire squilibri di cassa dovuti a mismatch temporali tra incassi dai prestiti e pagamenti delle cedole dei titoli.
Transizione energetica
Il programma comune del Centrodestra prevede tra i punti di attenzione la transizione energetica sostenibile, intesa come aumento della produzione dell’energia rinnovabile e diversificazione degli approvvigionamenti energetici e realizzazione di un piano per l’autosufficienza energetica. In particolare, si parla di pieno utilizzo delle risorse nazionali, anche attraverso la riattivazione e nuova realizzazione di pozzi di gas naturale in un’ottica di utilizzo sostenibile delle fonti, promozione dell’efficientamento energetico, sostegno alle politiche di price-cap a livello europeo e ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro. Sul punto produzione di energia da fonti rinnovabili e nucleare gli investitori di private capital italiani ed esteri potrebbero avere un ruolo importante.
Sul tema ricordiamo per esempio che proprio nei giorni scorsi EOS Investment Management, gestore di diritto britannico di fondi alternativi creato da Ciro e Natalino Mongillo, tramite il fondo EOS ReNewable Infrastructure Fund II, e Capital Dynamics, attraverso la strategia Clean Energy Infrastructure Fund IX, hanno acquisito le autorizzazioni per la costruzione di un maxi impianto fotovoltaico nel Lazio in grid parity (senza incentivi statali), di potenza complessiva pari a 87,1 MW che garantirà 182 Gwh, l’equivalente del fabbisogno annuo di 68 mila famiglie, con un risparmio di oltre 73mila tonnellate di CO₂ pari alle emissioni assorbite in un anno da oltre 35 mila ettari di foresta (si veda altro articolo di BeBeez). Quest’ultimo impianto va ad aggiungersi ad altri tre grandi progetti laziali in grid parity da 87,5 MW complessivi, già presenti nel portafoglio di EOS ReNewable Infrastructure Fund II e Capital Dynamics Clean Energy Infrastructure VIII e IX (si veda altro articolo di BeBeez), per i quali le due società si erano assicurate all’inizio dell’anno un green loan della durata di 15 anni da oltre 55 milioni di euro da ING e UniCredit, assistito dalla garanzia green di SACE (si veda altro articolo di BeBeez).
Sul fronte del nucleare, invece, ricordiamo per esempio che Newcleo, scaleup con sedi in Gran Bretagna e Italia, che punta a sviluppare reattori nucleari di quarta generazione, che contribuiscano a eliminare la dipendenza dai combustibili fossili riutilizzando le scorie inquinanti per produrre altra energia, lo scorso marzo ha siglato un accordo con ENEA per creare fuori dall’Italia il primo prototipo di reattore di nuova generazione modulare raffreddato a piombo. La scaleup nell’ultimo anno ha raccolto due round di investimento dagli investitori internazionali, uno a settembre 2021 da 118 milioni di dollari, e l’altro lo scorso giugno da 300 milioni di dollari (si veda altro articolo di BeBeez). I reattori veloci raffreddati al piombo (lead-cooled fast reactors, LFR) di Newcleo consentono di trasformare completamente i materiali di scarto tossici prodotti dai comuni reattori nucleari in nuovo combustibile da bruciare per la produzione di energia. Il nuovo aumento di capitale sarà quindi finalizzato a costruire entro sette anni il primo prototipo di reattore raffreddato al piombo di quarta generazione al mondo in un paese in cui la produzione di energia nucleare è ammessa e successivamente a commercializzarlo poi a livello internazionale per sostituire gradualmente gli attuali reattori di seconda e terza generazione. Per questo motivo, newcleo ha aperto una filiale in Francia e ha intrapreso una campagna di assunzioni per il suo team con sede nel Regno Unito. Ma a questo punto magari il nuovo governo potrà fare in modo che la sperimentazione possa essere condotta anche direttamente in Italia.
Politica fiscale espansiva per le imprese
Ricordiamo infine che il programma comune del Centrodestra prevede una riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi; il taglio del cuneo fiscale in favore di imprese e lavoratori e politiche fiscali ispirate al principio del “chi più assume, meno paga”, oltre che una estensione della flat tax per le partite IVA fino a 100 mila euro di fatturato e l’introduzione di una flat tax sull’incremento di reddito rispetto alle annualità precedenti, con la prospettiva di ulteriore ampliamento per famiglie e imprese. Vengono escluse imposte patrimoniali dichiarate o mascherate e vengono inoltre proposti l’introduzione del “conto unico fiscale” per la piena e immediata compensazione dei crediti e dei debiti verso la PA; la defiscalizzazione e incentivazione del welfare aziendale, anche attraverso detassazione e decontribuzione premi di produzione e buoni energia; l’estensione della possibilità di utilizzo dei voucher lavoro, in particolar modo per i settori del turismo e dell’agricoltura.
Nel programma comune non viene citato il mondo delle startup e delle pmi innovative, ma il tema viene ampiamente trattato e supportato nel programma della Lega, che, sebbene alle elezioni abbia portato a casa solo poco meno del 9% dei consensi, resta comunque la seconda forza della coalizione vincitrice.